Matteo Renzi, l’affabulatore, colui che ha associato alla politica termini come “rottamazione”, o, “accozzaglia”, che parla spesso in un’ altra lingua, l’inglese, battuto da un semplice segno associato ad un universale ed arcaico monosillabo: NO.
L'analisi impietosa apparsa sul quotidiano inglese The Indipendent all'indomani del referendum, che smota molti dei luoghi comuni e delle autodifese dei renziani.
Traduzione e cura di Francesco Spataro
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Il “NO” al referendum costituzionale italiano, non ha avuto nulla a che vedere con il populismo, aveva a che fare solo con Matteo Renzi.
Il fronte del “NO” ha mobilitato persone di destra, come di sinistra: populisti, e anti-populisti; appartenenti alla élite liberale, come membri di aree o di gruppi meno potenti.
James Newell, The Independent, 5 Novembre 2016.
Nel pomeriggio, Renzi si recherà al palazzo del Quirinale per rassegnare le dimissioni.
Come per la Brexit che per l’elezione di Donald Trump, il risultato del referendum italiano è stato una grande sorpresa per tutti, ma per tutt’altre ragioni: i sondaggi suggerivano un risultato che dava una vittoria per misura, ed invece il risultato è stato inequivocabile, e determinante: con una affluenza molto alta, il 68%, gli italiani, hanno voltato le spalle alle riforme costituzionali proposte, con un 60% di voti contrari contro un 40% di favorevoli.
Vediamo di essere chiari: questa non è stata una “rivolta populista anti-establishment” . La divisione fra lo schieramento del “SI” e quello del “NO”, ha attraversato trasversalmente, le consuete divisioni sociali e politiche. Il fronte del “NO”, ha mobilitato persone di destra come di sinistra; populisti ed anti-populisti; membri della élite più o meno progressista e appartenenti ad aree o gruppi meno potenti. Renzi non rappresentava l’establishment, al contrario, ha tentato di vendere le riforme proposte, come parte di una campagna per fare piazza pulita di una serie di interessi da tempo acquisiti da una classe politica. Le sue proposte – ridurre i poteri del Senato ed i costi della politica, tagliare il numero dei parlamentari – erano tutte presentate, nei termini populistici di maniera.
I grandi numeri del “NO”, screditano le semplicistiche interpretazioni del risultato elettorale visto come un ulteriore espressione di fervore populista. Invece, il voto, è stato espressione di una vasta gamma di “NO”: un “NO” specifico alle riforme costituzionali che erano state proposte; un “NO” alle élite politiche in generale; un “NO” all’ attuale malessere sociale ed economico; un “NO” infine, e soprattutto al governo Renzi. Dopotutto è stato Renzi stesso che, alcuni mesi fa, aveva legato a doppio filo il suo futuro al risultato referendario, rendendo la tornata elettorale un plebiscito su di lui ed il suo esecutivo.
Ma, malgrado tutti i successivi tentativi del Presidente del Consiglio per cambiare la sua posizione, il referendum, de facto, si è trasformato in un voto nei confronti del suo premierato. E’ stato un voto, aperto a tutti, e che ha visto in competizione con sé stesso un primo ministro che aveva governato perché non aveva un’ alternativa valida all’ opposizione, ad un primo ministro contrastato, da una parte dal centro-destra, e dall’altra dal Movimento 5 stelle (M5S), che non avevano nulla a cui spartite, l’uno con l’altro. Ora che questa “accozzaglia” di forze (per usare proprio un’espressione Renziana), è stata capace di riunirsi per gareggiare in un franco e diretto confronto, per un “SI” od un “NO”, Renzi è stato – per il momento – privato del suo potere.
Nel pomeriggio di Lunedì, Renzi si è recato al Quirinale, per rassegnare le sue dimissioni. Il Presidente Mattarella, sta consultando le forze politiche, per verificare quali possibilità ci siano nel presente; verosimilmente per formare un nuovo governo, che riesca a dirigere una maggioranza parlamentare, quindi può: invitare Renzi a tornare in Parlamento per riferire e verificare, attraverso un voto di fiducia, che questo governo abbia il supporto necessario e sufficiente per andare avanti; può conferire a Renzi un mandato per formare un nuovo governo da solo; può conferirgli un mandato per formare un governo con qualcun altro – un portavoce di una delle altre forze politiche, od un “tecnocrate”, che avrebbe competenze specifiche, ed in questo caso, per assicurare l’ approvazione da parte del Parlamento, di una nuova legge elettorale, prima di tenere nuove elezioni.
Una prosecuzione dell’esperienza Renziana, non sembra essere esclusa, essendo il suo capitale politico non del tutto esaurito. Egli è alla guida di un partito, sempre più “personalizzato”, e “presidenzializzato”; e, se il “NO” non concerne solamente i suoi oppositori, il “SI”, quel 40% che ha votato “SI”, si riferiva solo a lui. E’ un voto, diviso, che corrisponde esattamente alla quota che gli fece aggiudicare le elezioni Europee del 2014, salutata come una grande vittoria per il suo partito. Il suo problema attuale, sembrerebbe essere quello di mantenere la sua alleanza con i piccoli partiti di centro, a soli quattordici mesi dalla fine della legislatura.
L’esito del referendum, inoltre, era legato anche ad un’ urgente ridefinizione della legge elettorale. Era stata introdotta nel Luglio scorso, presumendo che la riforma costituzionale sarebbe passata, e, senza la quale, ci si sarebbe trovati nel caos; l’attuale legge assegna la maggioranza alla lista vincente se raggiunge almeno il 40% dei voti, oppure, rimanda tutto ad un ballottaggio; questa legge, è sembrata essere un regalo al M5S, sebbene quest‘ ultimo si fosse opposto, sulla base del fatto che concentrava troppo potere nelle mani del Primo Ministro; ora, però, con un impressionante voltafaccia , il Movimento, dichiara, che vuole andare ad elezioni immediate, in base alla legge attuale. In tal caso, sia la Camera dei Deputati, che il Senato, continuerebbero ad avere gli stessi poteri legislativi, ma quasi certamente, sarebbero composti molto differentemente: lo stesso partito avrebbe la maggioranza dei seggi alla Camera, ed una minoranza in Senato. Perciò o il M5S dimostra la volontà di governare da solo, e se ne assume ogni responsabilità, o forma un governo di coalizione, ed in questo caso non è chiaro, di quale coalizione si tratterebbe. In ogni caso, rimane una questione aperta, se un partito che raccoglie un sostegno politico trasversale, ed è stato finora un partito di protesta, sarebbe capace di rimanere coeso davanti alle pressioni che scaturirebbero, al momento di governare . La sua esperienza nei governi locali, non fa ben sperare.
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