Quanto avviene in Germania è una tra le troppe notizie importanti tenute in freezer dal perverso complesso politico/mediatico. Mentre in Italia ci frantumano i neuroni con il dogma della governabilità, in molti omettono di segnalare che nel cuore della kerner europe e della stabilità – la Germania – è quasi un mese e mezzo (dal 24 settembre per l’esattezza) che non riescono a formare un governo.
La risicata vittoria elettorale della Merkel e la fine del modello della grosse koalition con i socialdemocratici, ancora non è riuscita a produrre i numeri per una nuova maggioranza di governo.
Tanto che sono dovuti ricorrere ad un agente “esterno” ossia il ministro dell’economia francese Le Maire. Questi era in Germania per un convegno, ma ha approfittato dell’occasione per fare un giro di “consultazioni” sia con ministri dei cristiano/democratici (il partito della Merkel), sia con esponenti di altri partiti come i liberali e i Verdi per convincerla della necessità di entrare nel governo di coalizione. Colloqui che, secondo il Corriere della Sera “per il resto dei politici tedeschi sono stati una sorpresa, qualcuno li considera il segno dell’interesse primario di Parigi e Berlino a lavorare assieme, altri li considerano una interferenza”.
La vicenda, anomala ma non più eccezionale, da un lato conferma la crisi di tutti i modelli di stabilità politica europei. Prima nella Gran Bretagna del maggioritario assoluto, poi nella Spagna di Rajoy ed ora nella Germania della governabilità perfetta, le elezioni non hanno più prodotto quella “presa ferrea” dei partiti espressioni delle classi dominanti, sia nella loro versione liberale di destra che nella versione liberale “di sinistra”.
Sullo sfondo agisce quel “pilota automatico” guidato da Bruxelles che assicura l’andamento delle priorità stabilite dai gruppi finanziari e dalle multinazionali europee indipendentemente dalle formazioni politiche chiamate a realizzarle in ogni singolo paese. Anni fa un altro paese centrale dell’Unione Europea, il Belgio, è stato più di un anno e mezzo senza riuscire a formare un governo, ma questo non aveva prodotto particolari scossoni. I programmi antipopolari di austerità erano andati avanti lo stesso perché nessuna delle forze politiche principali vi si opponeva.
La crisi di questo modello di governance fortemente centralizzato sul piano decisionale da Bruxelles (Commissione Europea) e Francoforte (Bce), sta però producendo strappi e contraddizioni in tutti i paesi europei. In Gran Bretagna Corbyn fa virare a sinistra il Labour mettendo fine, almeno per ora, alla vergognosa stagione del blairismo e capitalizzando gli effetti sociali dirompenti della Brexit; in Spagna la rottura della Catalogna ha smascherato l’insano patto tra un governo di destra come quello di Rajoy e il Partito Socialista.
In Italia era stato il referendum del 4 dicembre a stoppare l’operazione controcostituzionale di Renzi condotta proprio in nome della govarnabilità. In Germania infine è stato l’ingresso al Bundestag della destra di Alternative for Deutscheland a far saltare i conti.
L’unico paese ad aver assicurato finora la governance richiesta dalle classe dominanti era stata la Francia dell’esagerato plebiscito intorno al machurian candidate, Macron. Un risultato che vede però già un crollo di consensi ed una forte capitalizzazione politica della France Insoumis di Melenchon, nata per dare priorità – e con successo – alla lotta contro la subalternità all’Unione Europea e all’euro.
Dunque per provare a rimettere in piedi una maggioranza di governo in Germania, questa volta serve un agente francese. Una sorta di legge del contrappasso che racconta con evidenza la crisi di legittimità delle forze politiche espressione della borghesia anche nei principali paesi europei. Sarà per questo che in Italia la politica e i mass media tengono la notizia ben nascosta e fuori dal dibattito pubblico. Sono dei miserabili. E’ tempo di spazzarli via.
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