Sui 21 milioni di abitanti delle aree metropolitane nel nostro paese, ben 15 milioni sono soggetti a degrado e vivono nelle periferie. E’ un dato che dovrebbe far riflettere e agire molti. Certo le condizioni di degrado sociale e urbano non investono solo le dodici città metropolitane, ma è evidente che in queste si concentrano quantitativamente e qualitativamente come contraddizione sempre più detonante, sul piano sociale ma anche sul piano politico. E’ un segmento consistente di blocco sociale antagonista sul quale da tempo è in atto un percorso di analisi, ricomposizione e azione nei territori.
Sabato prossimo scade infatti il mandato della “Commissione di inchiesta sulla sicurezza e sul degrado delle città e delle periferie”, istituita dal Parlamento un anno fa e che aveva come compito principale “la verifica dello stato del degrado e del disagio delle città e delle loro periferie”, con particolare riguardo alle implicazioni socio-economiche e di sicurezza, attraverso l’esame di una serie di fattori:
- struttura urbanistica e composizione sociale dei quartieri periferici;
- realtà produttive presenti nelle periferie urbane e fenomeni ad esse collegate, quali: tassi di occupazione, disoccupazione (in particolare femminile e giovanile), lavoro sommerso, lavoro precario, situazione dei giovani che non studiano, non lavorano, non seguono corsi di formazione professionale (i cosiddetti NEET o né-né);
- forme di povertà, marginalità e di esclusione sociale;
- istruzione e offerta formativa;
- distribuzione delle risorse infrastrutturali e situazione della mobilità;
- distribuzione dei servizi collettivi: scuole, strutture formative, sanitarie, religiose, culturali e sportive;
- presenza di migranti, di loro associazioni e di organizzazioni finalizzate alla mediazione culturale e all’inclusione.
La Commissione inoltre ha i seguenti compiti:
- accertare il ruolo delle istituzioni locali nelle gestione delle politiche rivolte alle periferie e le forme di partecipazione attive della cittadinanza;
- acquisire le proposte di miglioramento sociale delle periferie da parte delle istituzioni territoriali e dalle associazioni locali (associazioni di cittadini, parrocchie, sindacati, organizzazioni di utenti e consumatori, organizzazioni delle diverse etnie presenti);
- verificare lo stato di attuazione delle zone franche urbane;
- valutare le esperienze positive realizzate nelle città italiane ed europee;
- riferire alla Camera dei deputati proponendo interventi, anche di carattere normativo, al fine di contrastare le situazioni di degrado delle città.
Su venti membri della Commissione, ben nove sono del Pd, due sono transfughi dal Pd oggi nel Mdp, mentre solo due (uno dei quali ha la presidenza) sono di Forza Italia e uno solo del M5S. Una proporzionale dell’attenzione al tema delle periferie che la dice lunga e che in qualche riverbererà anche nella prossima campagna elettorale.
Hanno ascoltato “esperti” delle periferie come Gianluigi Bovini (?), già direttore dell’area programmazione controlli e statistica del comune di Bologna; il prof. Salvatore Settis (?), accademico dei Lincei. Non poteva mancare il Ministro degli Interni Minniti (quello che sta distribuendo Daspo urbani a gogò). Affermano di aver sentito anche le realtà sociali delle periferie, ma l’unico segnale che abbiamo ricevuto da Tor Bella Monaca a Roma ci riferisce di un confronto solo con alcune associazioni “amiche”. Ed anche il pedigree di alcuni importanti esponenti della Commissione – come il vicepresidente Morassut – non lo esime da forti responsabilità sul come si è investito proprio nelle periferie negli anni passati, ad esempio con la truffa dei Piani di Zona sulle aree della Legge 167 dedicate all’edilizia sociale convenzionata oggi al centro di fortissime proteste e delle indagini della magistratura.
Il lavoro di questa Commissione (che dovrà produrre un video documentario della Rai sui risultati della sua indagine nelle periferie), ha reso noti alcuni primi risultati. Tra questi si segnalano scarsi e spesso inutili investimenti, le occupazioni abusive di case popolari, la presenza dei campi rom come luogo di illegalità e di smaltimento illecito di rifiuti, centri urbani degradati e periferie dimenticate.
A oggi il governo Gentiloni, con decine di protocolli di intesa firmati con le principali città, ha stanziato solo 500 milioni per migliorare la situazione delle periferie ma utilizzati senza alcun parametro quantitativo e qualitativo sul piano delle priorità e delle emergenze.
E qui cominciano le dichiarazioni roboanti: “L’Italia ha bisogno di un Piano Marshall delle periferie, è una questione di democrazia”, sostiene Andrea Causin, deputato di Forza Italia e presidente della Commissione. La spara al rialzo Roberto Morassut, il vicepresidente Pd della commissione, secondo cui “bisogna rendere stabile il finanziamento delle periferie con un investimento di almeno 20-25 miliardi”.
I parlamentari della Commissione riferiscono di aver ascoltato decine di persone in grado di fornire pareri competenti, sono stati a Scampia, tra i carruggi di Genova, nel quartiere Zen e alla Vucciria a Palermo, nelle periferie torinesi e in quelle romane, e ovunque vi sia un’area degradata in Italia. “Bisogna riportare le periferie al centro dell’agenda politica. Almeno 15 milioni di persone in Italia vivono in situazioni soggette a degrado situate nelle periferie ma anche nei centri urbani. È un problema anche di democrazia”, segnala il presidente Causin.
I problemi emersi in questi dodici mesi di lavoro sono molti. È evidente il profondo degrado in particolare delle costruzioni realizzate negli ultimi cinquant’anni. “In tutte le grandi città italiane” – fanno sapere dalla commissione – “le scelte architettoniche di pianificazione delle periferie compiute per affrontare l’emergenza abitativa, invece di risolvere il problema lo hanno aggravato. Accade in quartieri come Scampia a Napoli, lo Zen a Palermo, Corviale a Roma, le Dighe a Genova, il San Paolo a Bari”.
Secondo la Commissione esistono vaste aree nei centri urbani dove sarebbe più utile demolire e ricostruire invece di continuare a spingere le costruzioni in zone dove è più difficile e costoso portare servizi e trasporti e quindi è più probabile che si creino sacche di emarginazione.
La commissione chiederà un intervento per fermare le occupazioni abusive di immobili pubblici e privati. È un fenomeno diffuso da nord a sud ma in particolare nel centro e nel sud dell’Italia dove il 30-40% di case popolari sono occupate da abusivi ma si arriva anche a quote record del 100% a Palermo. “È una problematica talmente grave da aver creato in alcune città, come Roma e Milano” – denuncia una prima bozza di relazione messa a punto dalla commissione -, “un vero e proprio racket, che è in mano a gruppi e organizzazioni criminali di italiane di stranieri, che dà vita a una sorta di commercio illegale della casa popolare, con gravissimo pregiudizio per le fasce più deboli e anziane della popolazione”. Una visione, quella della Commissione, molto semplificata e strumentale rispetto a denunce assai più concrete avanzate negli anni dalle organizzazioni popolari che si battono per il diritto all’abitare.
“È urgente un intervento per ripristinare la legalità” – va alla carica il presidente della Commissione Causin -. “Sono a favore dell’introduzione del reato di associazione per delinquere e di una generale revisione del Codice penale in materia di reati urbani”. Musica per le orecchie del ministro Minniti.
La Commissione consiglia poi il superamento della politica dei bandi seguita finora per gli interventi. Le leggi di stabilità 2015-2016 hanno messo a disposizione circa due miliardi. La critica della commissione è ai criteri di premialità che “hanno portato i Comuni a richiedere fondi su progetti infrastrutturali spesso poco attinenti ma che avevano il solo vantaggio di rendere immediatamente accessibili i fondi, che raramente sono stati impiegati per alleviare o migliorare le condizioni di vita dei residenti nelle aree periferiche o degradate”.
Dunque le periferie in cui il modello Minniti vorrebbe emarginare tutti i soggetti sociali deboli o marginali (do you remember il “devono sparire”) per ridare “decoro” ai centri urbani, stanno diventando un problema politico oltre che sociale anche per le classi dominanti. Adesso cominciano a preoccuparsene, ma è di come se ne “preoccupano” che dovremo preoccuparci anche noi.
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