Ad uno dei veterani del giornalismo nel nostro paese, Ennio Remondino, ex inviato RAI, non è sfuggito quanto è accaduto a Nicola Borzi, giornalista del Sole 24 Ore, al quale sono stati sequestrati tutti i supporti informatici per l’inchiesta sui conti bancari dei servizi segreti nella Banca Popolare di Vicenza e destinati a giornalisti, conduttori di talk show su televisioni pubbliche e private etc.
Nel suo blog remocontro.it, contestualizza l’accaduto ricordando un episodio che merita di non essere dimenticato: quando nel 1993 gli venne sequestrato quasi in diretta un servizio che sarebbe dovuto andare in onda al Tg delle 20 (praticamente quello centrale). Allora i servizi segreti si chiamavano Sisde, oggi si chiamano Aisi, e anche in quella occasione la rogna erano i conti neri dei servizi segreti e il loro uso.
In giro si sentono starnazzamenti vari sul fatto che i servizi russi possano manipolare l’informazione, i mass media e addirittura le elezioni anche nel nostro paese. Quello che invece sta trapelando concretamente è che gli apparati dello Stato “italiano” influenzano giornalisti e mass media pagandoli con bonifici della Banca Popolare di Vicenza (adesso acquisita e blindata da Banca Intesa). La cosa può non sorprendere ma non può passare senza una adeguata reazione, a cominciare dal mondo dell’informazione e poi nel resto della società.
Adesso fuori i nomi!!
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Giornalismo, magistratura e spie. Quando sequestrarono il Tg1
di Ennio Remondino*
Toccare in qualche modo le spie, soprattutto quelle dei servizi segreti interni, tutte con origini dalla polizia giudiziaria e quindi di frequentazione stretta con la magistratura inquirente, sono guai garantiti. A consolazione del collega Nicola Borzi, del Sole 24Ore, una storia di 25 anni fa, per molti versi simile alla vicenda che lo coinvolge oggi. Memoria per omaggio al suo operato e per un po’ di storia del giornalismo non sempre smidollato e consenziente.
A Borzi hanno sequestrato la memoria del suo computer e archivio, e non si capisce bene il perché, a me sequestrarono un pezzo pronto per andare in onda nel Tg1 delle 20. Lui la Finanza, io la Digos, ma analoga ordinanza della procura di Roma; la storia che si ripete. Allora, il conduttore del Tg1 pronto in studio in attesa della sigla, e il direttore Demetrio Volcic alle prese col capo della Digos con tanto di ordinanza del magistrato.
Telefonate concitate con i vertici aziendali, il pezzo di Remondino sfilato dal sommario, e alla fine Volcic che va in studio a dire in diretta agli stupefatti telespettatori del sequestro avvenuto. Mai accaduto prima e dopo, per quanto a me noto, in tutta la storia del giornalismo in Paesi democratici.
Che c’entra quella lontana storia con la vicenda d’attualità? Il coinvolgimento dei servizi segreti, quelli interni, oggi Aisi, ai miei tempi Sisde. E l’intervento ‘decisamente forte’ – delicatezza lessicale – della Procura di Roma in entrambi i casi. Sulla base di quali ‘input’, violazione di legge evidente, segnalazione o denuncia che sia?
Anno 1993, tra tangentopoli e il primo governo Berlusconi. Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro. Personaggi ai vertici del Sisde, il direttore amministrativo Maurizio Broccoletti e altri agenti segreti del suo giro personale che gestiscono miliardi di fondi neri, necessari -dicono- alle operazioni coperte di spionaggio. Soldi pubblici e vantaggi molto privati, si scoprirà dopo.
La banda Broccoletti, chiamiamola così, cerca di diffamare la famiglia del presidente della Repubblica. Probabile vendetta contro l’ex ministro dell’interno.
Giornalista ficcanaso, vengo in possesso di documenti molto delicati sulla possibile gravissima crisi istituzionale. Attenti riscontri svelano la montatura e la pericolosa minaccia, e di quello scrivo con attorno direttore e tante preoccupazioni. Persino la consulenza preventiva di avvocati Rai (ricordo Franco Coppi al capezzale del pezzo delicatissimo), e il ponderato ‘si stampi’.
Peccato che le spie che mi spiavano non avessero capito un bel nulla. Temevano un attacco al presidente (o forse il contrario?), e corsero dal magistrato. Procura della Repubblica e l’azione di forza finale già narrata. A salvare almeno in parte l’onore del giornalismo un ripetuto va e vieni tra Procura e Rai. Primo ordine di sequestro delle registrazioni sul presidente. ‘Mi dispiace ma non ho registrazioni’. Qualche ora dopo, il ritorno per il sequestro del ‘materiale’. Il ‘materiale’ c’è, ma sequestro notificato alla persona sbagliata. Mica è roba del giornalista! Lo sequestrino al direttore generale Rai, se lo trovano. Alla fine e come sempre ha prevalso la forza.
Pigliatela come una storia curiosa, ricordi di giornalismo datato. Con una lezione utile ancora oggi che motiva questo ripescaggio di memorie lontane. L’inevitabile conflitto di ruoli tra chi fa informazione, chi deve tutelare i segreti (legittimi), e l’arbitro giudiziario tra chi ‘segreta’ e chi svela.
Con un sospetto che ricavo dai due casi di cui ci stiamo occupando. Colpire il bersaglio sbagliato, Borzi o Remondino che sia, o far colpire il bersaglio giusto con una motivazione truccata?
Caro Nicola Borzi del Sole 24Ore, ho il sospetto, da vecchio investigativo, che le tue inchieste sulle porcate delle banche venete non siano estranee a quanto ti sta accadendo. Ed ecco che strumentalizzare qualche nota vocazione d’autorità diventa facile, e a volte basta ‘aggiustare’ un po’ la verità. Le vie del cielo sono infinite, e quelle delle pressioni/ritorsioni trasversali quasi altrettanto.
Finale sull’equilibrio possibile tra segreti da svelare segreti da tutelare. Il rispetto reciproco dei diversi ruoli diventa il solo comportamento possibile, se da tutti praticato. Purtroppo invece, prevaricazioni gerarchiche ed esercizio d’autorità sono le pratiche più diffuse. Atti legittimi quanto vuoi, ma percepiti come ‘oltre misura’ da parte del giornalismo e di chi ancora lo considera bene primario per la democrazia, e lo difende.
Quel giornalismo che ama la magistratura e la difende da sempre, a volte anche a costo di rischi personali in tempo duri, molto duri, quando fu tra terrorismi di casa e mafie.
Pretendere rispetto, come quello che ha chiesto Nicola Borzi, nella sua lettera in pagina su Remocontro.
Pretendere rispetto per diritto di dignità e per quell’articolo 21 della Costituzione che in troppi sembra abbiano dimenticato.
vedi anche:
i soldi dei servizi segreti per influenzare i mass media
i giornalisti non devono ficcare il naso, ma possono “obbedir tacendo”
Guerra alle fake news per fare “il ministero della verità”
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