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Il lavoro dopo l’Università? Spionaggio e cyber security…

Il nostro mondo è veloce, rapidissimo. Talmente denso di informazioni e notizie che uno non può stare li, testa bassa sui giornali, a leggerle tutte e pensarci su. Notizie flash, notizie usa e getta, notizie non per ragionare ma per distrarsi quando sei alla fermata dell’autobus o in pausa sigaretta. Ogni tanto però bisogna sforzarsi di metterne in relazione alcune, e per questo ci vuole un po' di tempo. Proviamoci.

Un paio di settimane fa, per alcune ore, la prima notizia su tutti i media del pianeta è stata la rivelazione da parte di Wikileaks della scoperta di un cyberg arsenale, messo in piedi dalla più nota agenzia di Intelligence al mondo. L'obbiettivo dichiarato è quello di mettere sotto controllo tutto quello che può essere utile ai governi, anche attraverso metodologie non del tutto ortodosse. La notizia è rimbalzata su tutti i quotidiani e la retorica con la quale è stata presentata dai media mainstream è sempre la stessa: è necessario privarci della libertà per difendere la nostra società e il nostro stile di vita.

Sempre un paio di settimane fa, è uscita la relazione annuale dei servizi di sicurezza della Repubblica italiana. È da tempo che, nella nostra penisola come in gran parte del mondo, gli apparati d'intelligence fanno un'apparente sforzo di "comunicazione e trasparenza" nei confronti dei cittadini: lo fanno attraverso l'apertura alla società e in particolare verso il mondo accademico e verso i centri di ricerca.

Possiamo leggere nella relazione dei servizi segreti presentata al parlamento le testuali parole: "l’intelligence attraverso la relazione con l’Accademia si pone in condizione di offrire ai decisori pubblici e agli operatori privati un prodotto informativo arricchito dal patrimonio di conoscenze elaborate in sede scientifico-accademica; dall’altro, l’Università trova nel Sistema per la sicurezza della Repubblica – a tutto vantaggio dell’interesse nazionale – un importante terminale della propria attività di ricerca, concorrendo nell’interpretazione di dinamiche sociali, culturali e politiche in continua evoluzione, e nel predisporre modelli e strategie efficaci ai fini della protezione degli interessi politici, militari, economici, scientifici ed industriali dell’Italia”.

Dal 2013 in poi abbiamo assistito ad un fiorire di accordi di collaborazione tra la maggior parte delle università del territorio italiano e il DIS, Dipartimento per le Informazioni della Sicurezza, ovvero l'ente che coordina l’intera attività di informazione per la sicurezza. Nelle principali università italiane –in primis la Sapienza di Roma e successivamente a Milano (Università Bocconi, Università Cattolica del Sacro  Cuore, Università degli Studi di Milano e Politecnico), Politecnico di Torino, Pavia e Trento, Firenze e ancora Roma (Roma Tre, LUISS), Ancona e L’Aquila, e ancora Bari, Reggio Calabria e Lecce, Cagliari e Palermo – è partito un vero e proprio tour ideato nell'ambito dell'iniziativa intellingece live.

Un tour definito Roadshow in cui, tappa dopo tappa, i servizi segreti si presentavano al mondo universitario raccontando la nobile mission di difesa degli interessi politici, militari ed economici cui erano chiamati. Il tour era rivolto in particolare agli studenti e a quel pezzo accademico impegnato direttamente in ambito scientifico, economico e industriale. Gli obbiettivi di questa connessione erano stati definiti per "sensibilizzare le future classi dirigenti del Paese ai temi della sicurezza nazionale, raggiungere e coinvolgere le migliori intelligenze del Paese in grado di ottimizzare la capacità analitica e di proiezione strategica del comparto e sviluppare studi di intelligence relativi alla stessa funzione informativa".

Non ci si è fermati qui. Presso gli atenei italiani il DIS ha istituito premi e concorsi grazie ai quali – in maniera diversificata rispetto ad età e al percorso formativo in atto – giovani e giovanissimi possono dare un loro contributo alla riflessione e al dibattito sui temi della sicurezza nazionale e possono partecipare a interventi formativi e progetti di ricerca nel settore.

Quale modo migliore per contribuire quindi a rafforzare e difendere la nostra democrazia? Senza dubbio stiamo assistendo ad un vero e proprio reclutamento, tanto che l'alleanza tra università e intelligence è definita “di importanza strategica”. Al tradizionale reclutamento nelle forze armate e di polizia si affianca dunque l'ingaggio di giovani neo-laureati individuati nelle eccellenze degli atenei italiani. Ecco come lo Stato aiuta il mondo del lavoro, perché non bastavano il Job Act e lo smantellamento dei diritti, bisognava offrire anche dei posti di lavoro concreti: nei servizi segreti.

C’è dell’altro. In un’era dove le informazioni in formato digitale sono cresciute in maniera esponenziale, il patrimonio di capacità e conoscenze di cui dispone il mondo dell’università e della ricerca è orientato sempre di più verso le dottrine che, dopo terra, mare, aria e spazio, studiano il cyberspazio e ne sviluppano tecniche di cyber security. Nella relazione annuale dei servizi segreti si legge ancora chel’alleanza intelligence-università è particolarmente feconda in tema di sicurezza cibernetica. Tra le numerose iniziative in corso, riveste rilievo la collaborazione strutturata con il Consorzio Interuniversitario Nazionale per l’Informatica (CINI) – cui partecipano centinaia di accademici e ricercatori appartenenti a decine di Università Italiane – che ha dato vita al Laboratorio Nazionale in tema di cybersecurity finalizzato allo sviluppo di progetti di ricerca e capace di erogare formazione di livello avanzato nel settore di riferimento”.

Il tema della sicurezza cybernetica è un processo in costante evoluzione, che necessita di personale qualificato e di tecnologie all’avanguardia, ed è per questo che diventa strategico il rapporto intelligence-accademia. Nel nostro paese ha già costituito una "rete di sicurezza partecipata" fatta da oltre 500 docenti di 34 facoltà italiane.

A livello mondiale, nel 2015 l’industria della cyber security ha sfiorato un giro di affari di oltre 75 miliardi di dollari e per il 2020 se ne prevede il raddoppio. Nessuno si vuol far trovare impreparato. Negli Stati Uniti la strategia di Cyber Security si propone di accelerare il processo di correlazione tra le attività di ricerca e sviluppo del Pentagono con quelle del Dipartimento della Difesa (DoD), per raggiungere una sorta di dottrina di riferimento. Ciò dovrà approdare alla creazione di una guida per costruire delle competenze e, di conseguenza, una forza lavoro capace di supportare il cyber command che, in tempi relativamente brevi, dovrà raggiungere un organico di 6.200 unità. Inoltre, dal 2017 è prevista l’attivazione di percorsi formativi, per una spesa di 150 milioni di dollari.

La Cina, che da alcuni decenni ha effettuato investimenti corposi nel settore, ha annunciato la creazione dell’Associazione Cyber Security del Paese, con sede a Pechino. Partecipano ai tavoli di ricerca e studio dell’Associazione eminenti esperti di istituti accademici, società specializzate in sicurezza informatica, esperti di comunicazione, personale degli apparati d’intelligence e di aziende che operano nel settore dei social media. Anche in Nuova Zelanda, attraverso il New Zealand National Cyber Security Centre, la nuova strategia di sicurezza cibernetica si basa su un processo di partnership tra le aziende, le industrie, gli enti governativi e il mondo accademico, che mira alla condivisione di idee, ricerche, competenze e innovazioni.

Nel 2015, in Israele, gli investimenti nel settore della sicurezza informatica sono aumentati del 20%, incrementando le commesse delle aziende operanti nel settore da 3,5 a 4 miliardi di dollari. In Israele operano attualmente 250 società d’informatica e le sue esportazioni di tecnologie digitali rappresentano il 5% del mercato mondiale, per un valore di oltre 75 miliardi di dollari. Sono numeri che confermano lo stato di Israele come capofila mondiale del settore, e non è un caso che Tel Aviv stia realizzando un centro di cyber security, noto come CyberSpark, dove saranno posizionate diverse società che lavoreranno in sinergia con la Ben-Gurion University e con l'unità dell’intelligence militare. Come se non bastasse sono stati inseriti anche programmi di introduzione al cyber nelle scuole primarie: "Vogliamo che i bambini inizino ad apprendere le basi di computer science sin dall’infanzia" ha affermato Eviatar Matania, capo dell’Israel National Cyber Bureau. Dunque l’Italia non può più stare con le mani in mano, urge prendere esempio e costruire una democrazia sicura e protetta. Proprio come Israele insomma.

Se a livello sociale l'università diventa l'interlocutore primario del comparto dell'intelligence nazionale, forse è tempo di analizzare la trasformazione che è in corso nel sistema universitario – e la funzione sociale che esso svolge. La relazione dei servizi segreti di quest’anno è uno degli strumenti che ci possono aiutare a rendere chiaro il processo di ristrutturazione attuato a livello accademico, una politica che punta alla costruzione di un modello universitario d'élite, orientato alla formazione delle future classi dirigenti, formate in poli di eccellenza accessibili sempre più solo a pochi privilegiati.

E se il prezzo della libertà è l'eterna vigilanza, il prezzo che sta pagando la cosiddetta "generazione Erasmus" è l'aumento sempre maggiore del fenomeno dell'emigrazione verso immaginari lidi felici. Come dire: o speri in un futuro migliore in nord Europa, o ti lasci sfruttare qui nel sud Europa… o vieni ingaggiato dai servizi segreti. Per controllare se per caso qualcuno non tenti una strada diversa, quella di chi alza la testa e rifiuta lo stato di cose esistenti.

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