Si è aperto sulle colonne del Manifesto un dibattito sul tema della “complessità del pensiero comunista” in relazione alle scelte elettorali che stanno presentandosi sulla scena del sistema politico italiano.
Il dibattito nasce da una affermazione di Luciana Castellina che ha annotato la necessità di “costituire, in un momento di pericolo per la democrazia, un presidio dentro il parlamento, capace di ridare un senso e chiarezza all’agire politico” giudicando al contempo la scelta di Rifondazione Comunista di partecipare alla formazione di “Potere al Popolo” : “una protesta elementare che rinnega proprio la ricca complessità del pensiero comunista”.
Si sono già avute delle risposte a questo proposito, ma mi permetto di intervenire proprio sul punto relativo alla “complessità del pensiero comunista”.
Cercando, magari maldestramente, di utilizzare una categoria gramsciana ritengo che ci si debba confrontare proprio con questa categoria della complessità dopo aver valutato la realtà della fase nella quale ci troviamo: se, come penso, la fase è quella della “guerra di posizione” allora – ponendoci sul piano delle dinamiche del sistema politico, così come queste si sono sviluppate nel corso delle più recente vicende italiane – l’idea di ricostruire il “centrosinistra” e di una “sinistra di governo” come intende LeU, utilizzando prevalentemente lo schema dell’autonomia del politico e della personalizzazione, semplicemente non risponda alla necessità della fase (prescindendo comunque da metodo e sostanza del tipo di aggregazione dalla quale è sorta la stessa LeU).
Serve, nel caso, il recupero di una rappresentanza istituzionale (scelta che sicuramente mi trova d’accordo) collegata direttamente proprio alla complessità delle fratture sociali ponendosi, sia pure sul terreno scivoloso delle istituzioni, in una posizione di “opposizione sistematica”.
“Opposizione sistemica” che, appunto in questo caso, non appare davvero come protesta elementare ma come esigenza ineludibile richiesta dalla realtà della fase, quindi provvista di quel realismo politico che sempre ha fatto parte del nostro bagaglio.
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