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I presidi-manager della scuola classista e razzista

C’è un filo perverso nell’Italia che peggiora, quello di credere di migliorare tornando al passato. Come se le conquiste d’un cinquantennio addietro, ricordato solo per scadenza e moda retrò intervistando giovani-simbolo di quel Sessantotto che ha scosso costumi e pensieri dell’intera società, fossero tutte fasulle o peggio. Ovviamente le contraddizioni mostrate da quell’epoca e dalle successive annate sono state numerose, ma l’attuale spirito di rivalsa, che da sempre caratterizza i cicli storici, si spinge talvolta a umiliare anche la ragione più pura.

Accanto al riemergere di quegli spettri finora bollati da superficiali quanto velleitari “mai più”, crescono intolleranza e razzismo addirittura in strutture preposte a istruzione e cultura: le scuole. Non parliamo del bullismo del branco, purtroppo maledettamente radicato, o di forme di pseudo autogestioni che degradano la funzione propositiva di queste iniziative in ambito didattico. Ci riferiamo alla “vendita” del prodotto scolastico da parte di certi presidi-manager diventati più realisti del re. In una struttura che, com’è giusto, dev’essere efficiente ed efficace nella formazione delle nuove generazioni alcuni licei italici si lanciano in un’esaltazione del proprio passato, rispolverando un blasone classista.

Il “Giuseppe Parini, liceo storico milanese creato da Maria Teresa d’Austria dove fra gli altri studiarono Manzoni e Cattaneo, Manara e Cavallotti, Gadda, che ne fu anche docente, e Buzzati e Sraffa, si presenta sul sito del Miur ricordando che: “Gli studenti del classico, per tradizione, hanno provenienza sociale più elevata. Ciò nella nostra scuola è molto sentito”.

La dichiarazione d’intenti lascia trasparire più che un classicismo un classismo di ritorno, che fa tabula rasa non tanto della tradizione interna di una “Zanzara” ormai archiviata, ma di decenni di apertura della didattica a ogni ceto. Perché è questo che certuni presidi-manager detestano quando affermano, come fa il liceo pariolino “Santa Giuliana Falconieri”: “Gli studenti del nostro istituto appartengono prevalentemente alla medio-alta borghesia romana… Negli anni sono stati iscritti figli di portieri e custodi di edifici del quartiere. Data la prevalenza quasi esclusiva di studenti provenienti da famiglie benestanti, la presenza seppur minima di alunni provenienti da famiglie di portieri e custodi comporta difficoltà di convivenza dati gli stili di vita molto diversi”. E sì, anche l’operaio vuole il figlio dottore: non c’è più morale, Contessa…

E non basta, poiché non contenti si vuole alzare l’asticella. Un altro liceo classico romano, il “Quirino Visconti”, in pienissimo centro storico, a poche centinaia di metri da Camera e Senato di quella Repubblica che garantisce a tutti il diritto allo studio, così si pubblicizza: “Tranne un paio, gli studenti sono italiani e nessuno è diversamente abile. Tutto ciò favorisce l’apprendimento”. Capiamo bene, l’apprendimento dei “normodotati”. Rotto ogni tabù si va a ruota libera e si propone il modello dell’apartheid, sentite come si presenta il liceo genovese “Andrea D’Oria”: “L’assenza di gruppi particolari (ad esempio nomadi o provenienti da zone svantaggiate) dà un background favorevole”.

Il pensiero vola a quel passo della “Lettera a una professoressa”, dove gli studenti montanari della scuola di Barbiana parlando delle pluriclasse cui erano costretti dal disagio e dall’abbandono statale chiosavano: “E’ il sistema che adoperano in America per creare le differenze fra bianchi e neri. Scuola peggiore ai poveri sin da piccini”. Se il Miur ha un Ministro, ma ne dubitiamo leggendo sul sito istituzionale simili oscenità, può organizzare fra i suoi presidi-manager corsi di lettura e commento di quel testo. Nell’Italia che torna al passato, don Milani resta profeticamente attuale.

 

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2 Commenti


  • gio

    Ho letto frasi simili nelle schede di autovalutazione di tutti gli istituti della mia città. Credo sia direttiva MIUR quella di aggiungere tali informazioni “demografiche”.


  • Michel Huysseune

    Effettivamente molto triste. Fortunatamente ci sono tante esperienze diverse in Italia. Ho potuto osservare un po’ cioé che si fà in una scuola media a Bologna, ed era assolutamente l’opposta di quello che viene descritto qui, una scuola dove si era molto attenta ad includere tutti gli alumni a prescindere delle loro origini, e dove anche i “nomadi” erano benvenuti ed apprezzati.

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