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Di nuovo marea! L’8 marzo di “Non Una Di Meno” a Genova

Questo 8 marzo sarà di nuovo un giorno di lotta, grazie allo sforzo organizzativo di “Non Una Di Meno”.

È sembrato quanto mai necessario dare un quadro del percorso e dei principali nodi affrontati da questa esperienza a livello genovese nei suoi intrecci con la traiettoria che questo movimento ha delineato a livello nazionale.

Per questo ho posto alcune domande alle attiviste che, a Genova, animano questa esperienza e che ringrazio per la disponibilità.

– Uno dei tanti meriti di “Non Una di Meno” è stato trasformare l’8 marzo nuovamente in una giornata di lotta ridonandole il suo significato originario e rendendola una giornata di sciopero. Potete spiegare come si articolerà la giornata dell’8 marzo a Genova e in cosa si differenzierà dalla riuscita mobilitazione dello scorso anno?

– Beh… Quest’anno abbiamo un Piano! A partire dallo scorso 25 novembre è stato pubblicato il piano femminista contro la violenza maschile sulle donne e la violenza di genere, un testo frutto della scrittura collettiva di migliaia di donne e soggettività alleate: https://nonunadimeno.files.wordpress.com/2017/11/abbiamo_un_piano.pdf

Il lavoro di scrittura, diviso per tavoli tematici, ha attraversato tutto un anno di mobilitazioni, nazionali e territoriali, che hanno seguito i grandissimi cortei del marzo 2017, e in questo modo Non una di Meno è cresciuta, ha allargato i propri orizzonti, arrivando oggi a mobilitare in una realtà come Genova, nuovi soggetti, come alcune lavoratrici della Rinascente, le lavoratrici delle imprese di pulizia che lavorano negli ospedali, le operatrici dei consultori, La Casa di Quartiere di Trasta e altri.

Uno degli aspetti dirimenti delle mobilitazioni di “Non Una Di Meno” a livello cittadino è la lotta contro lo svuotamento dei consultori ed in generale l’impoverimento dei servizi sanitari alle donne, in una fase di privatizzazione del diritto alla salute. Potete spiegare meglio questo nodo rilevante della mobilitazione, alla luce tra l’altro dell’ultimo presidio di fronte al consultorio di via Bertani a cui avete attivamente partecipato e dato risalto?

Certamente al centro della battaglia che Non una di Meno porta avanti c’è l’idea che ogni donna debba essere libera di autodeterminarsi nelle proprie scelte di salute e riproduttive, potendo avere piena consapevolezza e capacità di intervento sulla propria salute e sul proprio corpo. Riconoscendo un ruolo fondamentale ai consultori in questo senso è importante difendere una realtà costantemente sotto attacco, sia per la progressiva sottrazione di fondi sia per la progressiva erosione del loro ruolo politico e sociale. Crediamo sia fondamentale che i consultori tornino ad essere luoghi d’incontro e di dibattito delle donne, luoghi di formazione ed autoformazione oltre che centri erogatori di servizi.

– La condizione della precarietà al femminile, che ha delle sue importanti specificità è spesso sottovalutata o rimossa nel dibattito politico pubblico e talvolta anche nell’agenda politica dei “movimenti”, nonostante interessanti studi mostrino chiaramente come gli attuali processi di valorizzazione in senso capitalistico avvengano “strategicamente” sui corpi delle donne sia a livello concreto che “ideologico”. Come affrontate questo punto e che specificità vedete nella divisione sessuale del lavoro attuale, come si inserisce la condizione particolare della donna nell’alternanza scuola-lavoro che prepara le donne di fatto all’accettazione del lavoro gratuito e a forme di ricatto che talvolta sfociano in vere e proprie violenze?

– La precarizzazione delle esistenze crea nella vita di tutti, ma soprattutto nelle vite delle donne, una condizione di drammatica criticità. Il riferimento a tutte quelle forme di “allenamento” alla gratuità del lavoro, di cui l’alternanza scuola-lavoro fa parte, ha un corrispettivo storico, ma mai davvero risolto, nello sfruttamento del lavoro gratuito femminile (pensiamo a tutte le mansioni di cura che in ogni nucleo familiare vengono svolte, in maniera gratuita, dalla compagine femminile). In questo senso trovare forme di resistenza al ricatto salariale e alla violenza del lavoro gratuito è un compito non solo delle donne, ma di tutte quelle categorie (dalle/dai migranti alle/i studenti) che oggi individuano nel rifiuto della schiavitù e nella rivendicazione di un reddito di autodeterminazione, una prospettiva concreta di lotta. È evidente che spesso è proprio la dipendenza economica e il ricatto salariale a rendere complessa l’uscita delle donne da situazioni di violenza domestica.

La denuncia pubblica delle violenze subite partita da alcune importanti figure dello spettacolo ha dato forza per far parlare sempre più donne di ciò che avviene nella loro vita di tutti i giorni riguardo agli innumerevoli ricatti – talvolta sottili, talvolta espliciti – che vivono in ambito lavorativo, che arrivano fino a veri e propri episodi di violenza tout-court. La trasformazione della denuncia individuale #MeToo in quella collettiva #WeToogether come attraversa la mobilitazione e che valenza le date, considerata la sua innegabile capacità di “bucare” l’immaginario collettivo?

– C’è solo una violenza ancora più odiosa della violenza in sé e per sé: la violenza del silenzio, l’impossibilità di prendere parola e raccontare, nel momento in cui ci si senta in grado di farlo, quello che ti è successo, a prescindere che si tratti di una violenza verbale, fisica o sessuale, di un ricatto economico o la violenza subita durante il viaggio dal proprio paese d’origine sino all’Europa. La cosa peggiore è essere sminuite/i, non credute/i, essere ridicolizzate o essere costrette/i a rivivere tutto daccapo attraverso la colpevolizzazione delle/i sopravvissute/i che viene fatta dalla società. Dal #metoo al #wetoogether significa rompere il silenzio, riprenderci la parola che vorrebbero toglierci e difendere i nostri percorsi di liberazione dalla violenza patriarcale in maniera collettiva. Con il wetoogether stiamo dicendo che bisogna uscire dalla retorica della donna vittima che deve essere difesa, abbiamo consapevolezza della nostra potenza, una potenza fatta di solidarietà: chi tocca una tocca tutte! Non a caso questo 8 Marzo, accanto alle consuete matriosche, che simboleggiano la nostra molteplicità, abbiamo scelto come simbolo una bocca. Una famosa e bellissima poesia di Audre Lorde nel finale dice: “ma quando stiamo zitte anche allora abbiamo paura, perciò è meglio parlare, ricordando che non era previsto che sopravvivessimo”.

Un ultima domanda riguarda la situazione delle donne migranti a Ventimiglia, in un contesto che non ha nulla di differente – se non in termini peggiorativi – a quello riscontrabile nei vari campi profughi dei tanti conflitti a livello mondiale. Sebbene la “jungle” di Ventimiglia sia situata in una zona di confine – molto lontana da una guerra – le condizioni sono atroci, e la tratta sessuale ed in generale la violenza sulle donne sono aspetti rimossi, favorendo quel processo di “dis-umanizzazione” verso i migranti che è il senso comune del razzismo. Potete fare un quadro della situazione che avete trovato e dire in che modo state agendo?

– E’ davvero difficile essere esaustive e sintetiche su questo punto, anche perché la situazione è in costante e progressivo peggioramento, di ora in ora. Al momento esistono alcune realtà che cercano di portare solidarietà alle persone bloccate sul confine italo-francese, nel totale silenzio istituzionale e mediatico. Tra queste realtà esiste una realtà che ha aperto un punto informativo e di assistenza: Eufemia, con il quale Non Una Di Meno Genova collabora attivamente per cercare di creare momenti dedicati alle donne migranti, doppiamente vessate dalla violenza delle frontiere. In questo senso l’appello è quello di mettersi a disposizione, attraverso un impegno volontario sul territorio ventimigliese, affinché si possano moltiplicare gli spazi di solidarietà e confronto politico sulla lotta alla violenza delle frontiere.

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Una precedente intervista ad una esponente di Non Una Di Meno Genova: https://contropiano.org/news/politica-news/2017/11/13/marea-genova-intervista-ad-anna-lucia-dimasi-nonunadimeno-097616

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