Iniziamo oggi a pubblicare una serie di approfondimenti sulla vicenda della possibile chiusura della Casa Internazionale delle Donne a Roma.
La questione rientra a pieno diritto nello scontro tra legalità e diritti inaugurata a Roma dalla giunta Marino con la famigerata delibera 140 del 2015, proseguita dal Commissario Tronca e resa modello di gestione da parte dell’amministrazione pentastellata.
Il Comune – in breve – vuole 800 mila euro di arretrati, ignorando sia il valore e l’utilità sociale della struttura, sia i soldi spesi per la manutenzione, sia il valore anche economico dei servizi erogati negli anni alla collettività
La scorsa settimana è stata approvata in Aula Giulio Cesare una mozione che chiede la “messa a norma” della gestione dello stabile, che in poche parole significa liquidazione dell’esperienza della Casa Internazionale delle Donne e la messa a bando del servizio.
Insomma, un nuovo capitolo della messa a profitto del patrimonio pubblico cittadino che viene ormai regolarmente sottratto alle strututre che da anni operano nel sociale ed offrono servizi gratuiti o a basso costo alla collettività. Una linea di condotta politica ben precisa che sta trovando nel legalitarismo “duro e puro” del Movimento Cinque Stelle un volano perfetto.
In questa prima parte dello Speciale proponiamo una intervista con Francesca Koch, presidente della Casa Internazionale delle Donne.
Koch, proviamo a riassumere gli avvenimenti di questi ultimi mesi fino ad arrivare all’approvazione della mozione Guerrini.
“La storia inizia a novembre, nel momento in cui abbiamo ricevuto improvvisamente l’ingiunzione di pagamento di un debito pregresso di più di 800 mila euro, pena la chiusura. A quel punto si è aperto un tavolo con l’assessore al Patrimonio, che ci rassicurò rispetto alla possibilità di uno sgombero: finchè era in corso la trattativa, non erano previste soluzioni estreme.
Siamo andati avanti fino a gennaio: noi abbiamo consegnato una memoria in cui ribadivamo le nostre proposte insieme alla nostra visione della situazione.
Secondo noi il valore del debito va decurtato almeno della metà, in nome dei crediti che la Casa Internazionale delle Donne vanta con il comune di Roma: parliamo della manutenzione, dei lavori di restauro deliberati e non finanziati… Noi abbiamo prodotto questa documentazione all’Assessorato al Patrimonio ed abbiamo lanciato delle proposte, a cominciare dall’utilizzo della legge sul terzo settore che prevede il canone gratuito o quantomeno solo simbolico per le realtà che fanno attività sociale.
A quel punto abbiamo iniziato ad attendere le risposte, che in questi mesi non sono mai arrivate. Forse sull’onda della mozione Guerrini qualcosa si è sbloccato, e domani (oggi, ndr) andremo a sentire cosa hanno da dirci”.
Si parla di soldi e di burocrazia, ma il problema è più di natura politica, giusto?
“Beh, l’argomento è un contenzioso finanziario, però è chiaro che il problema non è quello. Il problema sta nella volontà di questa giunta di fare piazza pulita e di chiudere con tutte le realtà associative romane che agiscono nel sociale, tanto è vero che la nostra situazione è simile a quella di molte altre realtà che si sono viste revocare convenzioni, hanno ricevuto ingiunzioni di pagamento della sede a prezzi di mercato, hanno subito il mancato rinnovo di convenzioni scadute… Un trattamento molto rigido di cui non si capisce il senso: dal mio punto di vista una giunta dovrebbe far tesoro delle realtà che collaborano al benessere ed alla vita della città.
Noi ad esempio riteniamo di essere una risorsa per il Comune di Roma, non una realtà solo morosa: è questo punto di vista che non riusciamo a far accettare, e che permetterebbe di spostare il ragionamento su un piano di carattere più politico che ragionieristico, con al centro del dibattito le prospettive della città”.
L’approccio legalitario e “ragionieristico”, come lo hai definito, sembra una delle caratteristiche più evidenti di questa giunta, che appare molto rigida rispetto questioni e temi – come quello sociale appunto – che forse necessiterebbero di un atteggiamento diverso.
“Molta rigidità, si, e anche – se posso dire – una visione asfittica, limitata. Una città non si gestisce guardando solo i conti, ma valutando anche il valore anche economico, tra l’altro, delle attività svolte.
Nel nostro caso, ad esempio, lo stesso Ufficio del Patrimonio aveva riconosciuto il valore economico dei nostri servizi, valutati intorno ai 700.000 euro l’anno. Di che parliamo, quindi? Si tratta di giocare con le cifre, anche perchè poi noi non siamo solo una realtà che offre servizi, siamo un soggetto a carattere internazionale, abbiamo relazioni con tutte le reti internazionali… Tutto questo ha anche un valore economico di cui la Giunta farebbe bene a tener conto”
Il fatto di anteporre i conti e la legalità ai servizi e all’effettivo benessere della collettività è iniziato – nella nostra città – con la Giunta Marino. L’attuale amministrazione ha estremizzato il concetto, facendolo coincidere con il legalitarismo che è caratteristica del Movimento 5 Stelle…
“Più che caratteristica appare come una gabbia! La legalità astratta fa scempio di tutta la giustizia sociale: penso agli sgomberi delle famiglie di via Curtatone, di via Quintavalle… Cosa si è ottenuto, applicando il principio di legalità in modo così assoluto? Si è aumentato il disagio sociale e l’ingiustizia sociale”.
Tornando alla questione della Casa Internazionale delle Donne: si tratta “solo” di legalitarismo o intravedi una volontà politica rispetto alla fine di quella storica esperienza?
“Non tocca a me dirlo. Vedremo nei prossimi giorni nquale sarà la risposta. Ovviamente ci auguriamo che non ci sia una volontà politica: loro hanno sempre detto che la volontà di proseguire il progetto c’è, poi… le chiacchiere stanno a zero. Staremo a vedere i fatti, a partire da domani (oggi, ndr)”.
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