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Notte fonda per il giornalismo, non solo italiano

Ho tanti colleghi giornalisti tra gli amici, qui.

Chiedo: ma solo a me la cosa del giornale online di Mentana mette una gran malinconia addosso?
Cioè, ho letto un po’ di commenti sotto al post in cui lui annuncia l’avvio delle selezioni per la nuova redazione e ho visto tanti giornalisti – giovanissimi e non – chiedere lavoro col cappello in mano, nella versione Facebook del caporalato (che, ahinoi, nel nostro settore è pratica consolidata).

Mi pare una specie di Masterchef per cronisti: aspiranti qualcosisti che sperano di diventare qualcuno grazie alla benevolenza dell’uomo delle maratone televisive, quegli spettacoli ai limiti del sadomaso in cui noti chiacchieroni passano intere nottate a discutere seggio dopo seggio dei risultati elettorali facendo a gara a chi ha azzeccato di più il pronostico della vigilia, come al bar dopo la domenica di campionato, ma senza Varnelli.

È triste sperare di pendere dalle labbra della star che «blasta laggente», pratica che tra l’altro ho sempre trovato orribile, perché è anche troppo facile umiliare a parole il commentatore medio, nel senso di mediamente incolto e mediamente sgrammaticato. E più di Mentana che lo fa, mi spaventa chi si esalta nel leggerlo.

Il mio mestiere, quello del cronista, è in crisi nera: i giornali in edicola praticamente non li compra più nessuno, la credibilità di chi fa questo nella vita è al minimo storico, in molti ce l’hanno con noi, spesso e volentieri con più ragioni che torti. Il motivo è abbastanza semplice: il giornalismo – su carta, sul web, in tivvù, alla radio – si approccia alla realtà con superficialità e sciatteria (una volta sul Post ho letto il direttore Luca Sofri vantarsi di aver rifiutato il servizio di un freelance che stava a Londra durante i riot di qualche anno fa, perché sosteneva di avere una copertura migliore dell’evento, comodamente seduto in redazione a Milano…), quando non con profonda disonestà e malafede (vabbè, lasciamo perdere).

Il giornalismo sta morendo perché nessuno si preoccupa più di cercare notizie, che a conti fatti sarebbero il cuore del nostro mestiere: senza quelle, il nostro diventa un lavoro tedioso, masturbatorio e tendenzialmente inutile.

Leggiamo un giornale, accendiamo la tivvù: non c’è una notizia a pagarla oro, solo chiacchiere di chiacchiere su altre chiacchiere che corrono parallele ad ulteriori chiacchiere: prendi Salvini e non gli chiedi che fine abbiano fatto i 49 milioni di euro spariti (notizia ghiotta) ma qual è il suo parere sulla decisione dei giudici di sequestrare i conti del suo partito (chiacchiere noiose, oltre che inutili).
[Il che non vuol dire che non esistano bravi giornalisti, al contrario: le redazioni ne sono piene, tantissimi stanno ingiustamente a spasso. E non è un caso che quando ci si incontra, per lo più, si parli quasi solo di quanto siamo in mezzo alla merda]

Da un po’ di tempo a questa parte, il Washington Post ha messo una frase sotto la sua testata per spiegare al mondo (e al presidente Trump) a cosa servirebbe il giornalismo: «Democracy dies in darkness», la democrazia muore nel buio.

Non so voi cosa ne pensiate, ma qui, adesso, a me pare notte fonda.

* da Facebook

 

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