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Il balletto osceno sull’art. 18

La sagra dell’ipocrisia è andata in scena alla Camera. Canovaccio: l’articolo 18, ossia l’impossibilità per le aziende di “licenziare senza giusta causa”, ovvero per “colpa grave” del lavoratore.

Si discuteva del cosiddetto “decreto dignità”, quel nulla che di fatto – nelle formulazione originaria presentata da Di Maio – conservava integralmente il Jobs Act di Renzi, con qualche irrilevante modifica cosmetica che ha fatto gridare ai peggiori tra gli industriali italiani (600 imprenditori veneti, quelli che una volta “piccolo era bello”) ci volete rovinare!

Tanto è bastato a spaventare i leghisti e di conserva i grillini, sempre timorosi di veder saltare la loro prima esperienza di governo nazionale. Quindi, sì alla reintroduzione dei voucher e altra spazzatura cancellata nientepopodimeno che da Gentiloni (ma solo per evitare il referendum, mica per una valutazione etica…).

In questo clima fetido, gli ex Pd di Liberi e Uguali piazzano la propria bandierina: un emendamento per reintrodurre proprio l’art. 18, la cui cancellazione  era considerata dalle imprese come la “scossa” che avrebbe permesso all’economia italiana di eguagliare i tassi di crescita degli anni ‘50 (ve ne sarete accorti, no?, dopo tre anni non sappiamo più come spendere lo stipendio…).

Il primo firmatario dell’emendamento è Guglielmo Epifani, ex segretario generale della Cgil poi eletto senatore col Pd, ora alla Camera con Leu. Ossia un vero esperto dell’argomento, uno che aveva votato senza problemi l’abolizione di quella norma in obbedienza ai diktat renziani e dell’Unione Europea. Una mossa per cercare di ricostruire la verginità perduta della pattuglia di Leu, senza alcuna pretesa di successo. Anzi, con la assoluta certezza che non sarebbe mai passata, nemmeno per sbaglio.

E infatti. I Cinque Stelle – che in campagna elettorale avevano promesso la reintroduzione dell’art. 18 – votano compattamente contro. Così come la Lega e ovviamente Forza Italia, mentre il Pd si astiene. Solo i 13 “leuisti” approvano l’emendamento e tutta la parte davvero importante finisce lì.

Il resto è la sagra dell’infame. Quelli del Pd rilasciano dichiarazioni di fuoco contro i Cinque Stelle per “aver tradito le promesse elettorali”, pur essendosi rifiutati di votare (se non altro per bandiera polemica) l’emendamento. Un’astensione che avrebbe consigliato delle persone intellettualmente oneste a tacere…

I Cinque Stelle, altrettanto ovviamente, hanno glissato, con il “chiacchiera” Di Maio che si è sdilinquito in altre recite fantasmagoriche: “il governo sta tutelando il lavoro dagli abusi e le imprese dalla concorrenza sleale di chi prende i soldi pubblici e poi scappa in altri Paesi”. Silenzio sull’argomento art. 18…

C’è un’autostrada larghissima e infinita per voglia davvero costruire l’opposizione sociale e politica in questo disgraziato paese. Certo, dovremmo tutti smettere di pensare che si possa percorrere con vecchie carrette e qualche frammento del disperso “ceto politico” finto-progressista. Tipo quello che prima cancella un diritto vitale e poi fa credere di volerlo reintrodurre; ma solo quando è sicuro che non si possa fare…

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