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Condono, pace fiscale, deficit

Il governo, in questa fase convulsa di preparazione della manovra, gioca sulle parole tra “Condono” e “Pace Fiscale”: in realtà si sta preparando un grosso premio a quella che è stata l’enormità dell’evasione fiscale accumulata nel corso degli anni.

Si parla di 1.050 miliardi.

Arrivano al pettine i nodi creati dal modello economico – produttivo ispirato dal centro-destra nella sua versione “classica” degli ultimi anni’90 del XX secolo e del primo decennio del secolo che stiamo vivendo: quello degli “spiriti animali del capitalismo”, della “imprenditoria rampante”, di un in molti casi ingiustificato e avventuristico, “spirito imprenditoriale” alimentato dalla filosofia del “sogno”, stile “american way life”.

Tutto questo emerge benissimo, ad esempio, in un’intervista rilasciata dall’ex-sindaco di Padova e attuale sottosegretario, Bitonci, che in un assoluto crescendo giustificazionista parla di “ci hanno imposto il nero o non abbiamo potuto lavorare, aiutateci”.

E’ la filosofia del considerare lo stato criminogeno e di considerare quindi l’evasione un “diritto naturale”, del resto proclamata dallo stesso Berlusconi nel suo famoso discorso di giustificazione dell’evasione e dell’elusione tenuto all’ANCE il 2 aprile del 2008 nel corso della campagna elettorale che registrò una rimonta del centrodestra, superato dall’eterogenea “Unione” per soli 24.000 voti.

Il centrosinistra dell’epoca ebbe le sue pesanti responsabilità sotto quest’aspetto per aver espresso una contraddittorietà di fondo tra la “bellezza delle tasse” evocata da Padoa Schioppa e l’adesione complessiva al modello che, a partire dal discorso sulle privatizzazioni dell’industria pubblica, approdò all’accettazione piena e supina del neo – liberismo.

Sono risultati profondamente sbagliati i modelli dei “distretti del Nord – est”, della “fabbrichetta”, del “sciur Brambilla” anni ’80: è lì che nasce la questione dell’evasione fiscale a dimensioni gigantesche, equilibrata drammaticamente dall’esplosione del debito pubblico e fautrice di disuguaglianza, sfruttamento, lavoro nero svolto in particolare dagli immigrati (pensiamo alle concerie di Vicenza), di arricchimenti indebiti.

Così sono stati distrutti i settori portanti e decisivi dell’industria italiana, si è abdicato a qualsiasi idea di programmazione economica, si è data via libera a un mercato selvaggio del quale – appunto – i 1.050 miliardi di evasione e contenzioso fiscale rappresentano l’espressione più evidente, si sono impoveriti interi pezzi di società, demoliti settori portanti come quelli dell’amministrazione pubblica, della scuola, dell’Università.

La differenza tra centro destra e centro sinistra, a suo tempo, è stata quella che il centro destra ha perseguito ferocemente la strategia dell’arricchimento per poco e della disarticolazione e anestetizzazione della società italiana, mentre il centro sinistra in alcune sue parti ha perseguito una stupida politica di accreditamento a palazzo e in altre parti esaltandola necessità di unirsi contro il pericolo della destra facendo finta di non accorgersi di stare sviluppando proprio la politica della destra (un classico “storico”).

So bene che la giustificazione a tutto ciò è stata data dal procedere della tecnologia, dalla necessità di scrostare imposizioni corporative, dall’irrompere della globalizzazione, dallo spostarsi dell’economia verso la finanziarizzazione da cui la scaturigine della crisi del 2008. Non mi è parso però il caso di starci dentro all’epoca, accumulando anche una buona quota di propaganda espressa da luoghi comuni, in una sorta di adeguamento continuo al ribasso, come è stato fatto anche attraverso il tirar fuori come alternativa“i beni comuni”, il “mutualismo” in attesa di riscoprire i falansteri di Fourier e i pre- marxisti. Tutte belle cose ma del tutto insufficienti rispetto alla bisogna che stava esprimendosi pesantemente sulle condizioni materiali di vita, di lavoro, di ambiente.

Sono questi punti sui quali riflettere, così come sarebbe il caso di pronunciarci sulla questione del deficit.

Abbiamo sempre sostenuto la necessità di utilizzo del “deficit – spending” e osteggiato fortemente le politiche rigoriste imposte dall’UE.

Adesso è il caso di affermare che la questione risiede nell’utilizzo dei margini di deficit (al di là della trattativa con Bruxelles): un conto è l’utilizzo del deficit allo scopo di varare un forte piano di programmazione economica e di intervento pubblico destinato all’innovazione tecnologica, alla creazione di lavoro “vivo e vero”, di adeguamento delle infrastrutture, di difesa ambientale (come dimostra purtroppo ancora Taranto) e ben diverso è il quadro che si presenta di utilizzo del deficit per misure assistenziali come il reddito di cittadinanza.

Questo va detto chiaro: il reddito di cittadinanza contiene in sé il rischio di rivelarsi una misura assistenziale che nasconde anche una idea negativa del lavoro (ben diversa dall’idea marxiana del “liberarsi” del lavoro); ricordando anche e sempre che, ad esempio, il tema delle pensioni dovrebbe essere legato, per quel che riguarda l’INPS, alla scissione tra assistenza e previdenza di cui si parla dal 1958 e adesso sparita dall’agenda.

Così come è sicuramente una misura di ulteriore agevolazione verso i ricchi l’altra faccia della medaglia per la quale si vorrebbe utilizzare il “deficit – spending”.

Assistenzialismo, “pro ricchi”, aumento delle diseguaglianze questa pare essere, in pratica, la cifra che esprime attualmente il governo italiano anche oltre il tema politico generale dello spostamento a destra insito nelle logiche razziste – sovraniste.

Personalmente con nessun timore, anzi con orgoglio, di essere definito un retrogrado cultore delle “magnifiche sorti e progressive” e dell’antico scontro di classe: ma rimane questo il punto vero di distinzione filosofica e politica.

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