Forse alcuni esponenti di governo, presi dal vortice delle parole, dei tweet, dei post, dei selfvideo etc., non si sono resi conto in questi mesi di aver sdoganato una parola ed un tema che per almeno venticinque anni era stato rimosso e combattuto dai governi precedenti: le nazionalizzazioni.
Il crollo del ponte Morandi a Genova e l’aver scoperchiato il verminaio sulle concessioni ai privati dei beni pubblici, hanno obiettivamente depotenziato la sbornia privatizzatrice e ultraliberista che ha portato alla svendita e alla regalìa “dei servizi e dei beni di tutti” ai prenditori privati.
Intorno all’appello “Nazionalizzare, qui ed ora!”, sindacalisti, giuristi, esponenti politici e attivisti sociali hanno dato appuntamento a Roma il prossimo 20 ottobre per una manifestazione nazionale.
“Il vergognoso abbandono che avvolge i paesi del terremoto, lo stallo nelle grandi vertenze ILVA e Alitalia, il degrado della rete autostradale, la devastazione dei servizi pubblici e dei territori, impongono ormai scelte immediate e decisive” è scritto nell’appello. Ma in esse viene anche indicata, finalmente non il solito NO, ma la soluzione possibile: “La strada delle nazionalizzazioni, che porti con sé anche una nuova e diversa concezione del modello di sviluppo, che preveda partecipazione delle comunità e controllo popolare, salvaguardia del territorio, del bene comune, del lavoro NON ammette più ritardi, né tentennamenti da parte di questo governo”. Da qui l’appello a procedere alle nazionalizzazioni qui ed ora, come atto concreto e controtendenza rispetto ai diktat imposti negli anni da quel “ce lo chiede l’Europa” che è stata la maledizione di questo e di altri paesi periferici europei.
La manifestazione del 20 ottobre punta a rimettere al centro dell’agenda politica il ruolo del soggetto pubblico – a livello nazionale e a livello locale – nella pianificazione e nella piena gestione dei servizi strategici e dei servizi sociali, mettendo fine a quella privatizzazione vergognosa che ha smantellato le reti dei servizi nei trasporti, telecomunicazioni, energia, le industrie utili, il welfare, le università… e tutte le banche, dalla Banca d’Italia alle vecchie Bin (Banche di Interesse Nazionale) per finire alla Cassa Depositi e Prestiti in cui le fondazioni bancarie private la fanno da padrone (anche sul risparmio degli utenti). Ma la privatizzazione ha anche significato consegnare mani e piedi l’acqua, i territori, il patrimonio abitativo e l’ambiente agli speculatori privati che ne hanno fatto una sistematica devastazione e profitto, potendo contare su istituzioni apertamente complici o rese impotenti.
In questi ventincinque anni c’è stata una svendita sistematica e colossale del paese (l’Italia ha privatizzato più della Gran Bretagna thatcheriana e più di qualsiasi altro paese europeo). Operata sia dai governi di centro-sinistra che di centro-destra, che hanno assicurato concessioni ai privati con clausole capestro che prevedono “l’obbligo e la remunerazione del capitale investito” sulla pelle degli utenti e degli abitanti.
Il dramma di Genova per molti versi ha strappato il velo su questa vergogna, indicando sia una contraddizione esplosa tra i piedi delle diverse forze che compongono il governo, sia la possibilità di rimettere in campo una proposta per tutto il paese di rovesciamento dei parametri sui quali fino ad oggi sono state obbligate tutte le soluzioni.
Sull’appello per le nazionalizzazioni si segnalano le firme di Paolo Maddalena, vicepresidente emerito della Corte Costituzionale, di sindacalisti come Pierpaolo Leonardi o Guido Lutrario, di esponenti politici come Giorgio Cremaschi e Viola Carofalo di Potere al Popolo, dell’europarlamentare del Prc Eleonora Forenza, del deputato di Sinistra Italiana Stefano Fassina di economisti e accademici come Luciano Vasapollo, Ernesto Screpanti, Carlo Cellamare e ma anche dei rappresentanti sindacali di realtà significative come Ilva (Francesco Rizzo) e Alitalia (Francesco Staccioli) che hanno sostenuto, e continuano a sostenere, quella della nazionalizzazione come la soluzione più credibile sia per i lavoratori che per le ripercussioni sull’ambiente e la popolazione a Taranto o sul servizio di trasporto aereo.
Sull’appello per la manifestazione del 20 ottobre, oltre le adesioni personali, ora si stanno raccogliendo anche le adesioni politiche delle organizzazioni e delle realtà collettive. Le adesioni vanno inviate a nazionalizzareora@gmail.com
Il testo integrale dell’appello e i primi firmatari
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