Una nuova stangata è stata decisa “dalle autorità” sulle tariffe per l’elettricità e il gas. Dopo gli aumenti già scattati a luglio, dal primo ottobre, secondo quanto ha stabilito l’Arera (Autorità per l’energia), la luce costerà il 7,6% in più (pari a 32 euro in più nell’anno ‘scorrevole’ 2018), mentre il metano salirà del 6,1% (+61 euro). A luglio erano scattati gli aumenti del 6,5% per la luce e dell’8,2% per il gas. Facendo la somma stiamo parlando del 14,1% di aumento sull’elettricità e del 14,3% sul gas.
Secondo le autorità a pesare sono in particolare l’aumento delle materie prime energetiche, la crescita del prezzo dei permessi di emissione di Co2 e lo stop dei reattori nucleari in Francia.
“Per far fronte ai forti aumenti dei prezzi delle materie prime energetiche e delle quotazioni all’ingrosso dell’energia elettrica e del gas che hanno raggiunto in Italia e in Europa livelli record”, per la luce Arera afferma di aver rinnovato il blocco degli oneri generali di sistema: con questa manovra l’Arera “utilizza nella misura massima possibile la sua azione di ‘scudo'” ottenendo “il contenimento della spesa” per circa 1 miliardo. Gli oneri generali di sistema pesano per il 20% sull’energia elettrica e per il 4% sul gas (dove però l’Iva viene conteggiata anche sull’imposta di consumo, praticamente una tassa… sulla tassa).
La prima osservazione che balza agli occhi è che nessuna retribuzione è aumentata o verrà aumentata in proporzione agli aumenti su questi servizi di prima necessità. Tutti i meccanismi di adeguamento dei salari al carovita sono stati aboliti “perchè facevano aumentare l’inflazione”. I più giovani non sanno che fino al 1993 esisteva un meccanismo di adeguamento automatico. Lo avevano taglieggiato già nel 1984 (governo Craxi) e lo hanno eliminato totalmente con l’accordo di concertazione tra governo (Ciampi), Confindustria e Cgil Cisl Uil nel 1993, il secondo dei “governi di Maastricht” con cui è iniziato il declino generale delle condizioni di vita di lavoratori e settori popolari.
La seconda osservazione è che “l’abbassamento dell’inflazione” perseguito con criminale metodicità dal 1992 in poi su input del modello tedesco, ha prodotto una deflazione ancora peggiore. Paradossalmente, la prima (l’inflazione) è, dentro certi limiti, un indicatore di vivacità del sistema economico, la seconda (la deflazione) è un indicatore di stagnazione.
Dopo anni di lotta contro una inflazione inesistente, i salari e quindi i consumi e gli investimenti sono stagnanti. I gruppi capitalisti vorrebbero far quadrare il cerchio tenendo bassi i salari e pretendendo che i consumi crescano lo stesso. Hanno puntato sistematicamente a ovviare a tale incongruenza seguendo pedissequamente il modello mercantilista tedesco fondato sulle esportazioni. La depressione del mercato interno era funzionale alla competizione sul mercato mondiale. Ma il giochetto ha fatto corto circuito. Da qui la perversa soluzione di riscaricare sulle tariffe, e quindi sulle condizioni di vita delle famiglie, l’accumulazione di profitti ai privati nonostante le tensioni internazionali sulle materie prime energetiche.
Quindi salari fermi e aumento delle tariffe. Nei decenni trascorsi questo avrebbe provocato immediatamente scioperi, blocchi stradali, reazioni sociali furibonde. Ma oggi? Oggi, Cgil Cisl Uil hanno consapevolmente consentito questa situazione. Per riorganizzare una seria lotta contro il carovita (autoriduzione delle bollette etc.) serve una nuova generazione di militanti e attivisti. Al governo non c’è più l’odiata “casta” né i volenterosi maggiordomi di Bruxelles ma un triumvirato di annunciatori mirabolanti e di restauratori materiali delle disuguaglianze sociali.
Quando arriveranno le bollette/stangata di luce e gas a novembre, sarà difficile accollare il problema agli immigrati o alla “casta”. Le autorità stanno consentendo, ancora una volta, l’assicurazione della remunerazione alle società private a cui hanno svenduto i servizi pubblici essenziali, a quei capitalisti “bollettari” e parassiti che incassano senza dover muovere un dito e con un rischio di impresa pari a zero.
Ce n’è abbastanza per cominciare ad alzare la testa, alzare la voce, impugnare il lato del tavolo da rovesciare. A cominciare dalla manifestazione nazionale del prossimo 20 ottobre per le nazionalizzazioni proprio dei servizi e delle reti strategiche.
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