Nella seduta del Parlamento di Strasburgo dedicata al ventennale dell’introduzione dell’euro (sic!), il presidente della Commissione Europea Jean Claude Junker (anche lui a fine mandato come Draghi), si è lasciato andare alle lacrime di coccodrillo sui danni sociali provocati dalla gabbia europea affermando che le politica di austerità dell’Eurozona sono state a volte “avventate”. Sì – ha ammesso Junker -, c’è stata dell’austerità avventata. Non perché abbiamo voluto punire coloro che lavoravano o che erano disoccupati, ma perché le riforme strutturali, indipendentemente dal regime monetario in cui ci si trova, restano essenziali”. Ma Junker ha impropriamente cercato di allontanare da sé e dagli apparati europei gran parte delle responsabilità sul massacro sociale imposto alle popolazioni europee, in particolare a quella greca. “Mi rincresce – ha continuato il presidente della Commissione – che abbiamo dato troppa importanza all’influenza del Fondo Monetario Internazionale (uno dei tre apparati della troika insieme a Commissione europea e Bce, ndr) . Se la California entra in difficoltà – ha chiosato Junker -, gli Usa non si rivolgono al Fmi, si rivolgono agli Stati Uniti, e noi avremmo dovuto fare lo stesso”. “Mi è sempre dispiaciuta la mancanza di solidarietà che è apparsa al momento di quella che è chiamata la crisi greca. Non siamo stati abbastanza solidali e abbiamo insultato e coperto di invettive la Grecia”. Oggi, ha concluso Junker, “mi rallegro di vedere che la Grecia e il Portogallo hanno ritrovato non dico un posto al sole, ma un posto tra le vecchie democrazie europee”.
La chiosa di Junker è forse la parte peggiore. La sua declinazione del fatto che il prezzo per stare dentro “le vecchie democrazie europee” sia l’immane costo sociale imposto alla Grecia, la dice lunga sull’idea che questa gente ha del mondo in cui viviamo. E se la Grecia sulla base di un mandato popolare (il referendum e l’Oxi del 2015) avesse invece deciso di sganciarsi dall’Eurozona e dall’Unione Europea cosa sarebbe stata? Una democrazia più avanzata di quelle che pretendono di esserle – o sicuramente di rappresentarle – o sarebbe precipitata nell’abisso come afferma in modo sistematico la narrazione ordoliberista? Il nodo della sfida in corso è proprio su questo.
E’ stata costruita sull’Europa una narrazione tossica e una gabbia materiale (fatta da trattati immodificabili e apparati feroci). Questa gabbia ha un nome e cognome – Unione Europea – e l’idea che fuori dalla gabbia possa esserci vita, indipendenza economica e politica, sovranità democratica, viene combattuta con un terrorismo psicologico (e minacce concrete) che troppo spesso piega le gambe e il raziocinio anche alle forze che ambiscono all’emancipazione dei popoli e dei loro paesi. Che lo affermi Junker aggiungendovi anche di un paternalismo peloso e infame non sorprende. Che ancora molti prendano per immutabile e indiscutibile questo assetto oltre che sorprendere fa salire la rabbia. Tina (ossia non ci sono alternative a tutto questo) è una brutta bestia da combattere.
La capitolazione politica e psicologica a Tina non consente però neanche di coglierne le contraddizioni. Trenta anni fa è venuto giù il Muro di Berlino, consentendo soprattutto alla borghesia tedesca ed a quella europea in formazione, di costruire la Gabbia di Bruxelles a proprio uso e consumo, su ogni aspetto. Ma solo guardando agli avvenimenti di ieri (il voto del Parlamento britannico sulla non reversibilità della Brexit, le irrilevanti conseguenze sui mercati del discorso di Draghi sullo stato dell’Eurozona con la necessità di non interrompere il quantitative easing, gli effetti devastanti della lettera della Bce alle banche sulla gestione dei Npl (i crediti deteriorati), si comprende bene come questa gabbia cominci ad avere parecchi punti arrugginiti.
Scegliere di romperla con una mobilitazione politica e popolare che rimetta in campo una alternativa o attendere che magari si rompa da sola sulla base delle proprie contraddizioni interne, non è affatto la stessa cosa. E’ dirimente, come lo è sempre stato nella storia del movimento di classe.
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