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Abruzzo, le ragioni di una crisi

Credo che bisognerebbe ragionare sulle condizioni della mia regione più da vicino e nello stesso tempo capire dove questa terra di mezzo in quale temperie è costretta a dimenarsi. Andiamo con ordine, anche
per capire le difficoltà di Potere al Popolo.

Dopo l’abbandono di Rifondazione, di fatto la sola assemblea territoriale esistente in forma ben strutturata è quella aquilana. Nelle altre province si scontano purtroppo ritardi difficoltà organizzative e di partecipazione. In una simile situazione era difficile organizzare la raccolta delle firme. Per cui dopo diversi incontri abbiamo desistito.

Tuttavia la riflessione più generale è continuata cercando di conoscere e comprendere meglio dove si colloca il nostro Abruzzo. E qui va ricordato come esistono, ma non da oggi, più Abruzzi. Diversi tra loro per collocazione geografica e storica.

L’interno, la zona appenninica e soprattutto la zona di Sulmona, la valle Peligna come l’Alto Sangro, viaggiano ormai su un binario morto. Il terremoto del 2009 quello del 2016 e quello del 2017 hanno ulteriormente devastato sul piano materiale economico e sociale l’intera dorsale appenninica abruzzese.

Nel recente passato queste zone interne avevano avuto un forte sviluppo industriale pubblico o di indirizzo statale. Il Polo Elettronico Aquilano con 6.000 unità, la Fiat a Sulmona e il petrolchimico a Bussi, avevano rappresentato una forte crescita in termini economici e sociali.

Le scelte globaliste e competitive di Lisbona 2000 hanno partorito le politiche sappiamo e oggi siamo in recessione insieme alla cosi detta locomotiva tedesca. Nel frattempo questi territori si sono desertificati e impoveriti.

Avete presente quando Trump si è recato a Detroit promettendo First America? Bene, qui il centrodestra, dopo il disastro degli ultimi cinque anni di D’Alfonso, ha fatto il pieno. A Sulmona dove non c’è più un’industria, con una disoccupazione giovanile altissima, dove l’emigrazione di giovani è paragonabile alla Grecia, Salvini ha promesso il “welfare securitario”, un po di reddito di cittadinanza, la conservazione dell’ospedale e, a fronte dei tagli continui, ha avuto facile gioco.

Cosi come a L’Aquila, dopo 10 anni dal terremoto, le frazioni così come interi paesi sono ancora fermi alle 3&32 di quella mattina. Il PD con i suoi accoliti ha governato la città per 7 anni e la Regione per cinque è nulla è cambiato.

Per non parlare di una situazione di abbandono ormai al collasso di tutti quei comuni che insistono sulle falde del Gran Sasso e dei Monti della Laga. Tra qualche hanno avremo l’abbandono completo.

Qui entra in scena lo Stato, che dovrebbe supplire con le sue energie, la sua organizzazione, le sue finanze per rilanciare le zone interne sul piano di una diversa agricoltura, del recupero dei borghi, di antiche strutture medioevali.

In tutti questi anni la scena è stata occupata dal PD da LEU e altri in nome di un “progressismo caritatevole” e finanzista provocando risentimenti e sputtanando il termine della parola “sinistra”.

Credo che si debba ricominciare da tutto questo. Le sommatorie di sigle o di ceto politico sarebbero deleterie e durerebbero come la neve marzolina. Inoltre, va messo in risalto come la secessione delle regioni ricche sarebbe mortale per L’Abruzzo come per tutto il sud Italia.

Su questi aspetti si è cercato di introdurre questioni che uscissero da temi scontati e da dibattiti da circo Barnum con pochi risultati. Tuttavia credo, crediamo, che questa sia la strada da intraprendere  giocando in maniera forte e decisa il tema dell’egemonia contro la destra, facendo emergere le sue molteplici contraddizioni. Essa non è l’alternativa alla crisi dell’Europa, ma un sostegno diverso, un puntellamento alla crisi di legittimità delle elite sovranazionali. Le scorciatoie politiciste o le letture con gli occhi rivolti al passato sono solo dannose.

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