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“Salvini, provi a convincere i gabbiani”, firmato UE

L’uomo che parla ai gabbiani è anche il più popolare d’Italia, stando ai voti raccolti alla europee. Ma ciò non ne fa l’uomo più potente d’Italia, per lo meno stando ai rapporti dentro il governo e anche stando alle reazioni degli stessi gabbiani.

E se un vicepremier lascia un vertice di governo per andarsene a blaterare in solitudine sul tetto del Viminale – mostrando involontariamente anche qualche timore verso gli agguerriti pennuti – forse è bene vedere nell’episodio un indicatore di difficoltà, invece che di potenza.

Al vertice di Palazzo Chigi il boss leghista si era presentato con la sicumera che si addice a chi ha una solida maggioranza nel paese, anche se non nel Parlamento (lì, bene o male, comandano ancora i grillini…). Flat tax sul piatto, per esaudire il desiderio sfrenato della sua vera base sociale – gli imprenditori di piccola taglia e di mezza tacca – che non vede l’ora di poter non pagare le tasse senza doversi svenare in spese per commercialisti e, soprattutto, senza più temere di trovarsi la Guardia di Finanza fuori la porta con un mandato in mano.

Gli evasori fiscali tipici, insomma.

Che siano questi i suoi veri e fedeli sponsor lo si può vedere da uno degli indubbi successi riportati da Salvini, il cosiddetto “sbloccacantieri”.

L’affidamento dei lavori in subappalto – vero paradiso per le mafie interessate ai lavori pubblici (grandi e piccole opere) – non può ora superare il 40% dell’importo complessivo del contratto di lavori. Apparentemente si tratta di un “cedimento” rispetto al 50% previsto dal testo originario del decreto, ma comunque è più del 30% previsto dal Codice degli appalti (di cui non a caso aveva chiesto la sospensione per due anni).

Della stessa natura è la sospensione fino al 20 dicembre 2020 (un anno e mezzo, non poco) l’obbligo per i Comuni non capoluogo di fare gare attraverso le stazioni appaltanti. Le amministrazioni che hanno qualche disponibilità da spendere – spesso del Nord e molto spesso leghiste – possono quindi darsi da fare senza troppi controlli preventivi (tutto lavoro per la magistratura, dopo…).

Coerente con questo approccio anche il congelamento per due anni del divieto del ricorso all’affidamento congiunto della progettazione e dell’esecuzione dei lavori. E quindi via libera alle grandi manovre per cui chi presenta un progetto poi non è detto che sia anche il responsabile dei lavori (e le mafie ringraziano, ancora una volta).

Tra i 40 e i 150 mila euro è previsto un affidamento diretto previa consultazione di tre operatori. Tra i 150 mila e i 350 si prevede una procedura negoziata con la consultazione di almeno 10 operatori, che diventano 15 fino a un milione. Consultazione, non gara. Si può tranquillante gestire un appalto a te, un altro a quell’altro, entro un piccolo ventaglio di “imprenditori amici”.

Salvati anche i gestori autostradali – in concessione su un bene di proprietà pubblica – la cui cessazione anticipata dovrà eventualmente essere vagliata dalla Corte dei conti, in modo da escludere la “colpa grave” del dirigente.

Nominati anche i commissari straordinari per il completamento del Mose e per il Gran Sasso. Ma in generale si prevede che per gli interventi infrastrutturali ritenuti “prioritari” il governo possa nominare uno o più commissari straordinari che potranno agire in deroga alle legge in materia di contratti pubblici. E quando di deroga, può accadere di tutto…

Piccolo cabotaggio, insomma, indubbiamente favorevole per il sottobosco imprenditoriale.

Ma quando si passa alla grande dimensione, alle misure che – eventualmente – dovrebbero essere approvate dalla Commissione Europea, tipo la flat tax che richiede coperture miliardarie sui conti pubblici, ecco che basta un Tria o un Conte a sbattergli la porta in faccia. Ossia quello che è avvenuto nel “vertice” di giovedì mattina.

Abbiamo dunque questo apparente paradosso rivelatore: il massiccio consenso elettorale può servire per “aggiustare” affari minori, ma è completamente inutile ai fini della decisione sulle politiche di bilancio, industriali, economiche, fiscali, di un paese.

Non è una cosa che ci sorprende, visto quel che andiamo scrivendo da anni su ruolo e natura dell’Unione Europea. Ma dovrebbe far pensare, come minimo, quanti ancora si illudono che si potrebbe “cambiare” la Ue conquistando la maggioranza in un paese (senza neanche prendere in considerazione l’ipotesi di quelli che vorrebbero “cambiarla” con un consenso elettorale da frazione marginale).

Come scrive l’economista Marco Veronese Passarella, “In un’economia con i conti esteri in ordine, i mercati finanziari giocano al ricatto solo se qualcuno ha consegnato loro le chiavi della banca centrale. Il che, d’altra parte, vuol dire che, una volta consegnate le chiavi, rompere il ricatto diviene un’impresa disperata. A neoliberisti & friends va dato atto che, mentre sul piano positivo ci azzeccano poco o nulla, la loro capacità di plasmare le istituzioni sulla base dei propri sistemi normativi è sorprendente.”

E infatti l’Eurogruppo – un ente non previsto neppure dai trattati, ma che decide tutto in materia economica continentale – non molla la presa di un  millimetro. “L’Eurogruppo ha ascoltato le proposte della Commissione Ue sull’Italia e sostiene la richiesta di prendere le misure necessarie per rispettare le regole di bilancio“, ha detto il presidente Mario Centeno. Subito ringraziato dal commissario agli affari economici uscente, Pierre Moscovici: “c’è un chiaro sostegno per la nostra analisi e il nostro approccio, ora continuiamo con il lavoro preparatorio che può portare alla procedura, restando pronti a valutare ogni elemento che l’Italia può portare“.

Se persino un banale propagandista con il 34% è, alla fine fine, costretto a salire su tetto e farsi spaventare dai gabbiani, forse è il caso di cominciare a ragionare di cambiamento in termini un po’ meno “fantasiosi” o di piccolo cabotaggio…

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