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Il peso della personalizzazione

Nel corso del dibattito svolto in Senato sulla crisi di governo abbiamo assistito ad un inedito sul piano della comunicazione e dell’azione politica.

Per la prima volta in una occasione di questo tipo si è sviluppata una sorta di verifica in sede istituzionale del peso assunto da quel processo di personalizzazione della politica che ormai da diversi anni ha assunto un ruolo preminente nell’insieme dell’agire politico.

Personalizzazione che si è sviluppata parallelamente al cambiamento profondo del ruolo dei partiti.

Si sono così modificati i termini di confronto all’interno della democrazia repubblicana rispetto al tipo di regime parlamentare disegnato dalla Costituzione.

Nel corso dell’intervento del presidente del Consiglio Conte si è sviluppato, infatti, un attacco diretto rivolto – usando tra l’altro toni direttamente colloquiali – al vice presidente e ministro dell’interno Salvini.

Un attacco evidentemente finalizzato a scindere le responsabilità dello stesso Salvini al riguardo dell’apertura della crisi rispetto a quelle assunte dal suo partito: la Lega.

Un’operazione molto raffinata volta essenzialmente a spezzare il filo che ha fin qui stretto il partito ex-nordista al suo leader.

L’obiettivo di Conte è stato quello di superare il meccanismo di identificazione tra Salvini e la Lega che ne aveva fin qui accompagnato la crescita impetuosa fatta registrare nel corso degli ultimi mesi.

Nello stesso tempo il presidente del Consiglio (che, ricordiamolo, non è leader di partito) ha posto oggettivamente se stesso come contraltare diretto, rivendicando in proprio i presunti successi dell’esecutivo, e proponendosi come nuovo soggetto continuatore nel solco del meccanismo di egemonia della visione personalistica della politica.

Da Berlusconi a Renzi, da Grillo a Salvini adesso toccherebbe a Conte: questa però è ancora fantapolitica.

L’elemento sul quale gli analisti dovrebbero cercare di riflettere riguarda invece l’ingresso massiccio dello scambio personalistico diretto all’interno di un dibattito parlamentare di grande spessore istituzionale, come quello riguardante l’apertura di una crisi di governo.

Conte si è proposto come erede di una presunta capacità personale di imporre egemonia: questo pare essere il succo di questa giornata parlamentare molto complessa e dall’esito di assoluta incognita.

L’idea del “leader solitario” addirittura senza partito sembra rappresentare il seguito possibile dell’idea di “democrazia recitativa” ormai impostasi nel determinare la governabilità del Paese fin dal 1994, anno della berlusconiana “discesa in campo”.

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