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Libertà per Patrick Zaky, libertà per tutti!

Il caso di Patrick Zaky, studente egiziano di Unibo e attivista, arrestato al suo rientro in Egitto, ha da subito suscitato grande clamore della stampa e dell’opinione pubblica. Un caso molto rilevante, viste anche le analogie con il caso Regeni, su cui si stanno mobilitando associazioni, società civile e istituzioni per chiedere il rilascio del giovane in carcere.

La durezza del governo egiziano e le terribili condizioni che vivono i prigionieri delle carceri sono ben note, con torture e sistematiche violazioni dei diritti umani, e per questo ci uniamo alla pretesa di immediato rilascio di Patrick Zaky.

Ma riteniamo necessario anche sforzarsi per cercare di comprendere quali dinamiche producono situazioni come quella di Zaky, sottraendoci allo schiacciamento in cui viene costretto il dibattito. Dobbiamo rilevare come la realtà sia molto più complessa di quella che viene raccontata, per questo rifuggiamo categorie d’analisi dicotomiche, tanto semplici quanto dannose, come buoni/cattivi.

Evitiamo il tifo ed analizziamo lo scenario, anche internazionale, per come si presenta e le ricadute che questo contesto oggettivo ha sulle vicende specifiche.

L’Egitto è un Paese che si trova in una posizione strategica, “a metà strada” fra il medio-oriente e l’area del Maghreb, e più in generale del Nord Africa, che vanta il controllo del Canale di Suez, uno fra i canali più importanti per il commercio marittimo mondiale, oltre a ingenti risorse naturali, di petrolio e di gas naturale. Tutti questi fattori lo rendono un punto nevralgico nello scontro interimperialistico in corso nell’area del Mediterraneo e del medio-oriente.

Questa condizione oggettiva internazionale vede interessi diversi delle maggiori potenze mondiali concentrati in quest’area del mondo ed è questo che ha portato, negli ultimi anni, ai continui cambiamenti degli equilibri internazionali ed interni ai singoli Paesi.

In Egitto l’ultimo risale al 2013 quando, superando le turbolenze di piazza delle primavere arabe, Abdel Fattah al-Sisi prende il potere con un colpo di stato ai danni della Fratellanza Musulmana, imprigionando un numero impressionante di oppositori politici.

Al-Sisi, inizialmente salutato con piacere dalle potenze occidentali, Italia compresa, intrattiene però rapporti molto stretti anche con la Russia e la Cina, i diretti avversari dell’imperialismo USA e UE nell’area. Basti pensare che Al-Sisi ha presieduto, a fianco di Putin, l’incontro fra Russia e Unione Africana svoltosi a Sochi lo scorso ottobre per il rilancio degli accordi diplomatici e commerciali fra Russia e Paesi africani.

In questo contesto di scontro, l’irrigidimento interno delle misure repressive del regime egiziano, per niente incline all’apertura a qualsiasi tipo di richiesta di avanzamento civile o sociale, diventa una prerogativa fondamentale figlia del sistema stesso di scontro internazionale, una necessità per la tenuta del regime contro gli attacchi provenienti degli imperialismi occidentali.

È in quest’ottica che pensiamo di dover leggere l’arresto di Patrick Zaky, attivista della Ong Egyptian Initiative for Personal Rights, considerato anche il ruolo che diverse Ong hanno ricoperto, all’occorrenza, negli ultimi decenni come vere e proprie teste di ponte per l’imperialismo occidentale: dalla Jugoslavia, all’Iraq, all’America Latina.

L’enorme copertura politica e massmediatica del caso Zaky, che in questa situazione è una fortuna data la visibilità che restituisce e dunque l’aumento di pressione che permette, non può che farci sorgere dubbi sugli interessi che si celano dietro poiché conosciamo il taglio politico che rende possibile la diffusione di alcune notizie piuttosto che altre.

Se pensiamo, ad esempio, che stampa e politica non spendono parole sull’Algeria che da un anno è teatro di un forte movimento popolare, le maggiori proteste da vent’anni, che vede i giovani in prima linea nelle richieste di maggiore democrazia, di un cambio delle priorità economiche e sociali del governo, della fine del giogo neocoloniale francese.

Questo avviene perché il governo algerino è già un fantoccio della Francia, e quindi dell’UE, dunque è bene non dare risonanza a queste proteste che rischiano di indebolire il nostro imperialismo, aspettando che vengano pacificate (cioè represse) e che tutto torni alla normalità. Ed ecco svelata la regola aurea del giornalismo borghese: qualsiasi notizia possa essere funzionale è degna di essere raccontata, tutto il resto passa sotto silenzio.

I lavori di approfondimento, indagine e inchiesta che dovrebbero svolgere i mezzi di informazione vengono puntualmente rimossi di fronte alle esigenze politiche e agli interessi economici delle classi dominanti, e così il dovere di informazione si trasforma in bieca propaganda contro questo o quel governo, questo o quel paese.

E per noi dunque importante capire quale funzione il nostro imperialismo sta cercando tessere sulla pelle stessa di Patrick Zaky stesso. Come abbiamo già detto, crediamo che sia fondamentale in ogni questione analizzare il contesto generale per inquadrare le singole vicende in maniera più chiara e all’interno di un contesto complesso, in cui  la divisione buoni vs cattivi non è uno strumento utile alla comprensione degli eventi, ma in cui ci sono enormi interessi in gioco e in cui succede che anche singole persone possano ritrovarsi schiacciate fra interessi contrapposti molto più grandi di loro.

Alla luce di tutto ciò vedere prendere parola rappresentanti di spicco dell’UE, come il presidente del parlamento europeo Sassoli, esponenti del Partito Democratico, come la stessa Alma Mater, ha tutto un altro significato, molto meno candido.

Proprio l’Unione Europea è uno dei soggetti più coinvolti nello scontro internazionale e nei processi di destabilizzazione che hanno colpito il Nord Africa e il medio-oriente, basti pensare alle politiche che porta avanti con la Turchia e in Libia. Mentre il Partito Democratico che è stato, e rimane tuttora, il principale rappresentante degli interessi del polo imperialista europeo nel nostro paese, promotore di tutte le peggiori riforme antipopolari di distruzione dello stato sociale, del mondo del lavoro, di irrigidimento in senso repressivo e securitario dello Stato, ricopre un ruolo importante anche nel processo esterno di allargamento dell’area di influenza UE verso l’Africa, ricordiamo l’asse Minniti/Gentiloni/Pinotti e gli accordi con il governo libico, quelli appena rinnovati dall’attuale governo, che a partire dalla “gestione” dell’immigrazione ha posto le basi per il rafforzamento del controllo economico e sociale UE nel maghreb.

Dal canto suo l’Alma Mater e il Rettore Ubertini, che in questi giorni spendono bellissime parole sulla libertà, sono gli stessi che stringono collaborazioni con il governo criminale d’Israele. Nulla di nuovo, sappiamo che il mondo dell’alta formazione è un’istituzione perfettamente integrata negli assetti di potere, formazione e ricerca rappresentano dei settori strategici per lo sviluppo del polo imperialista europeo.

Il programma Horizon2020, appena terminato ma subito sostituito, e i suoi 80 miliardi di investimenti in questo campo sono lì a dimostrarlo. Come sono lì a dimostrare la centralità di progetti per lo sviluppo di tecnologie di guerra. E le dichiarazioni di Ursula Von der Leyen, neopresidente della Commissione europea, su un maggior protagonismo geopolitico dell’Unione Europea, in particolare nel continente africano, indicano che questo ruolo della formazione diventerà sempre più centrale nella competizione interimperialistica globale.

Non possiamo mai dimenticare quali sono gli interessi che muovono le classi dominanti; la storia ce lo insegna, non sarebbe la prima volta che l’imperialismo riesce, sfruttando i mezzi a propria disposizione, ad annettere nelle proprie file, in modo più o meno inconsapevole, anche quelle classi e quei soggetti che non hanno nessun interesse materiale a rafforzare un progetto e uno scontro di questo tipo. I partiti socialdemocratici che oltre un secolo fa votarono i crediti di guerra sono un monito da tenere sempre a mente per ricordarci la capacità pervasiva dell’ideologia borghese.

Non possiamo dunque accettare di fare fronte comune per i diritti umani a fianco di chi ogni giorno li calpesta, portando morte e distruzione in giro per il mondo o fornendo il supporto ideologico necessario perché ciò possa continuare ad accadere.

La nostra lotta per la liberazione di Patrick Zaky è la stessa lotta per la liberazione dei popoli oppressi, dal Cile alla Palestina, la stessa lotta per la liberazione di chi subisce la repressione per non aver chinato la testa davanti alle ingiustizie, come Nicoletta Dosio e tutti i compagni e le compagne rinchiusi in carcere, la stessa lotta per la liberazione di chi ogni giorno combatte contro i revisionisti che vogliono riscrivere la storia ribaltando vittime e carnefici, come gli studenti antifascisti dell’Università di Torino.

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