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Veneto. Il coronavirus è una questione di salute pubblica, non di protezione civile

Fino al 21 febbraio ci si illudeva che per bloccare il coronavirus bastasse la cosiddetta “strategia di contenimento messa in atto dal governo il 31 gennaio con la sospensione di tutti i voli da e per la Cina e il monitoraggio dei passeggeri arrivati in Italia con i voli internazionali.

Fino al 21 febbraio sembrava che gli unici contagiati dal coronavirus in Italia fossero due turisti cinesi ricoverati il 30 gennaio allo Spallanzani e un italiano rimpatriato dalla Cina e risultato positivo al virus durante la quarantena alla Cecchignola.

Nel frattempo il virus aveva raggiunto decine di altri Paesi, tra cui la Francia, la Germania, gli USA.

Il fatto che in Italia non se ne fosse trovata traccia sembrava dar ragione alla strategia del governo Conte.

Il queste tre settimane nessuno ha sollevato dubbi sulla dichiarazione del presidente del consiglio che rassicurava «sul fatto che la situazione è sotto controllo e che le misure assunte sono di carattere precauzionale e collocano l’Italia al più alto livello di cautela sul piano internazionale.»

Purtroppo c’era una spiegazione differente: in Italia in questi 20 giorni non risultavano contagi semplicemente perché nessuno li cercava davvero.

Più che il coronavirus si cercavano i cinesi o comunque persone che provenissero dalla Cina.

Tant’è che nello stessa ordinanza del Ministro della Salute, redatta d’intesa con Zaia nella giornata di ieri 22 febbraio si invita la popolazione di Mira, paese del veneziano in cui c’è stato un caso di contagio, a Contattare il Numero Verde 1500 se hai febbre o tosse e sei tornato dalla Cina da meno di 14 giorni. All’indomani della scoperta del “focolaio veneto” si continua a sostenere che avere i sintomi non è di per sé preoccupante se non si è appena tornati dalla Cina.

Il caso dell’ospedale di Schiavonia della ULSS 6 Euganea (Padova) è paradigmatico: due anziani ricoverati da dieci giorni con tutti i sintomi del coronavirus vengono spostati tra i vari reparti, ma nessuno li sottopone ai test fino a quando due giorni fa non esce sui giornali la notizia dei primi casi in Lombardia.

Solo allora ci si preoccupa di questi due pazienti affetti da questa influenza così resistente alla normali cure. Si fanno i test e si scopre che c’è un focolaio di coronavirus anche in Veneto. Ma è troppo tardi. In primo luogo per uno dei due pazienti, che muore nel giro di poche ore.

Ma anche perché per quanto Schiavonia sia un piccolo ospedale comunque ha 150 posti letto e 300 operatori tra medici e infermieri. Quindi almeno 450 persone che possono essere venute in contatto con il virus a cui vanno aggiunti i familiari dei pazienti e quelli degli operatori.

Servirebbero centinaia di test, ma il personale dei laboratori è stato ridotto all’osso da decenni di tagli e di privatizzazioni.

Servirebbe anche un ospedale in cui trasferire tutti i pazienti, dal momento che la stessa ordinanza del ministero della salute e del governatore Zaia, decreta la chiusura temporanea di Schiavonia; ma in questi anni sono tantissimi gli ospedali che sono stati chiusi.

Non si sa se la tendopoli, costruita dalla Protezione civile di fronte all’ospedale, possa essere davvero l’alternativa.

Ma è appunto questo il problema di questa epidemia.

Si dice che alla fine dei conti si tratta solo di una influenza, ma da molti anni il servizio sanitario nazionale non deve fare i conti con le migliaia di ricoveri di una epidemia di influenza, perché la maggior parte delle persone si vaccinano, e lo fanno soprattutto quelle a rischio, quelle che in caso di malattia potrebbero avere complicazioni e necessitare di un ricovero.

Ma per il coronavirus, in assenza di una cura che non è ancora stata trovata, né comunque esiste neanche per la normale influenza, un’epidemia significa migliaia, decine di migliaia di persone, che necessitano di ricovero in posti letto che al momento non esistono più.

L’impressione è però che non ci sia alcun ragionamento serio in merito. Anche oggi l’emergenza coronavirus viene affrontata come si affronta un terremoto: si allerta la protezione civile, si costruiscono tendopoli. Ma questa è anche e soprattutto una emergenza sanitaria e come tale andrebbe affrontata.

Se poi questo costringe a rivedere la logica dei tagli e delle privatizzazioni, tanto meglio per tutti.

 * Qui l’ordinanza della Regione Veneto: Ordinanza n. 1 23.02.2020.pdf

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