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Lombardia: quale è la vera posta politica

Continuano le indagini dei magistrati milanesi sulla questione dei camici forniti alla Regione Lombardia dalla Dama spa, di proprietà del cognato del presidente Fontana, L’inchiesta si arricchisce ogni giorno di nuovi elementi.

La Guarda di Finanza ha sequestrato nei magazzini della Dama spa 25.000 camici, che, secondo gli inquirenti, sarebbero il resto della fornitura che la ditta avrebbe dovuto effettuare alla Regione ma che non completò dopo che, forse per intervento dello stesso Fontana, fu deciso che la vendita doveva diventare una donazione.

Si è scoperto inoltre che il 20 maggio, già un paio d’ore prima di decidere il cambiamento di ragione della fornitura da vendita e donazione (che non fu mai perfezionata) Andrea Dini, amministratore delegato della Dama, aveva già offerto tali camici a prezzo maggiorato alla RSA “Le Terrazze” di Varese.

Senza perdersi nei meandri di una stucchevole analisi dei messaggi Whatsapp sulla questione, appare sempre più evidente che la donazione fu un tentativo di sottrarsi al palese conflitto d’interessi e che il presidente Fontana non era affatto all’oscuro di tutta l’operazione come ha tentato di far credere sino alla seduta del consiglio regionale del 27 luglio.

La partita giudiziaria è aperta non solo sulla questione camici, poiché sono state presentate duecento denunce di familiari di vittime del Covid, la questione test Diasorin-San Matteo di Pavia è arrivata ai primi avvisi di reato e ancora altri esposti attendono di essere esaminati dai magistrati.

Infine, i giudici vogliono anche vederci chiaro sulla questione degli oltre cinque milioni proveniente dalle Bahamas che Fontana ha depositato in Svizzera parlando di un’eredità avuta dalla madre, e che, secondo lui, sarebbero “fermi” dagli anni ottanta, quando invece sul conto risultano diverse operazioni.

Tuttavia, la situazione giudiziaria, non certo rosea per la giunta Fontana, non deve far dimenticare la posta politica in gioco, che riguarda l’esistenza stessa del sistema Lombardia, dal punto di vista soprattutto, ma non solo, sanitario.

Proprio sul terreno della politica, la giunta Fontana sta cercando di guadagnare tempo su tutte le questioni, sperando che con il passare dei mesi l’attenzione su come essa ha gestito l’emergenza Covid e la conseguente indignazione dei cittadini e di vasti settori di operatori sanitari possa placarsi.

Un primo esempio di tale tattica è l’aver ottenuto di rinviare a settembre l’insediamento della commissione d’inchiesta del Consiglio Regionale sulla gestione della pandemia. Per regolamento, la presidenza di tale commissione spetta all’opposizione. Su questo punto la maggioranza ha dapprima tentato il colpo di mano eleggendo una consigliera di Italia Viva, Patrizia Baffi, che si è più volte dimostrata assai poco “oppositiva”.

Dopo le dimissioni, quasi scontate, della Baffi, la cui elezione serviva a prendere tempo, la maggioranza ha seguitato a porre il veto alla nomina di un consigliere del PD, poi anche di uno dei 5 Stelle, partiti che rappresentano la gran parte dell’opposizione. Ora la situazione si è sbloccata, ma la commissione non partirà che in settembre, dopo la pausa estiva.

Tuttavia, la partita politica più importante riguarda la legge sanitaria regionale 23/2015, firmata dall’allora presidente Maroni. Tale legge, allo scadere dei cinque anni della sua sperimentazione, deve passare al vaglio del Ministero della Sanità, che può accettarla, chiederne una modifica oppure rigettarla.

Quest’ultima ipotesi, non improbabile, dato quanto accaduto in Lombardia tra febbraio e giugno, è quella che fa paura alla giunta lombarda, poiché sarebbe il crollo dell’impianto privatistico e aziendalistico imposto alla sanità sin dai tempi di Formigoni.

Pur di evitare questa sconfitta, l’assessore regionale al welfare, Gallera, ha ritirato nei mesi scorsi il progetto di piano regionale sanitario che della legge doveva essere attuazione, proprio per non metterla in discussione. Ora Gallera trova un altro pretesto per rimandare l’esame della legge 23/2015 che dovrebbe essere effettuato in agosto. Poiché nel dicembre 2015 alla legge furono apportati dei piccoli e secondari emendamenti, Gallera sostiene pretestuosamente che la valutazione del Ministero della Salute debba essere differita al mese di dicembre.

Nei mesi prima di dicembre, Gallera spera di poter proporre alcuni cambiamenti alla legge, coinvolgendo associazioni, sindacati, medici e infermieri. Un tentativo di un’operazione di recupero in particolare di categorie professionali che sono particolarmente indignate con la giunta per le condizioni ignobili in cui hanno dovuto lavorare. Come si vede, la tattica dilatoria della giunta regionale si applica a tutti i diversi temi che possono metterla in difficoltà.

In questa situazione, è importante che, al contrario, la giunta lombarda sia chiamata al più presto a rendere conto del suo operato e che la legge 23/2015 che tanti disastri ha provocato, sia abrogata. Questo perché tale legge è un punto chiave del sistema sanitario basato sul modello di sussidiarietà pubblico-privato e sulla politica delle convenzioni, nonché sul modello aziendalista che ha provocato disastri, vittime e corruzione.

Si deve tornare a una sanità pubblica distinta e separata da quella privata e si deve cancellare la parola azienda da qualunque luogo dove ci si fa carico della salute dei cittadini.

Per queste ragioni non possiamo accontentarci di un orizzonte politico tutto interno al consiglio regionale e di stampo elettoralistico. Sostituire la giunta Fontana con una a guida, per esempio, del PD, che sul tema della sussidiarietà non ha programmi sostanzialmente alternativi alla Lega non può bastare a ridare ai cittadini lombardi una sanità veramente a misura delle loro necessità.

Per questo è necessario che la mobilitazione popolare che in questi mesi ha chiesto a gran voce la cacciata di Fontana e della sua giunta continui e si estenda, ma vigilando che qualche gioco di palazzo non porti a soluzioni gattopardesche. Questo è quanto sarà sul piatto in Lombardia nei prossimi mesi.

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1 Commento


  • pierluigi

    Abbiamo sempre sostenuto che il problema è il sistema enon il guidatore;la manovra è sempre più chiara:sostituire il capotreno senza modificare lo status,in altre parole bisogna che avvenga una transazione politica con minimo impatto sull’esistente;si cambia padrone ma non il sistema…tutto sta diventando “personale”e non politico ma sappiamo che il personale è politico

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