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I facchini di Chignolo Po e il futuro di un sindacato di classe nella logistica

Sabato a Pavia c’è stata una grande festa: nel giorno in cui era programmata la manifestazione a sostegno dei facchini in sciopero nel magazzino di Chignolo Po, la soluzione positiva della vertenza raggiunta con l’accordo in Prefettura ha fatto sì che questa giornata si trasformasse in un momento di gioia e condivisione. È stato anche il momento per parlare con Alaa Nasser (AN), delegato sindacale di USB, e Roberto Montanari (RM) di USB logistica del mondo della lotta dei facchini e delle prospettive nel mondo dei trasporti e della movimentazione merci.

Come nasce il caso del magazzino di Chignolo Po?

AN: Questa vertenza nasce con l’approvazione del bilancio della cooperativa Zero70 del consorzio Cisa che ha dichiarato quasi trecentosettanta mila euro di disavanzo, accumulato in pochi mesi di esercizio. Con novanta soci lavoratori l’idea della cooperativa era di riversare il debito sui facchini.

Quando i lavoratori hanno cercato di vederci chiaro sono stati maltrattati e sanzionati. Iscritti alla CGIL, si rivolti inutilmente al loro rappresentante sindacale, dopodiché hanno contattato USB. Il bilancio non era l’unica casa fuori posto: le buste paga non corrette, infortuni non pagati e dall’agosto al 31 dicembre 2019 la cooperativa non aveva emesso neanche una fattura.

I lavoratori si sono arrampicati sugli scaffali per protestare contro il loro ingiusto licenziamento, illegittimo in quanto avevano solo chiesto più trasparenza; nel frattempo abbiamo fatto un esposto alla guardia di finanza e all’ispettorato del lavoro.

Del caso del magazzino della Zero70 si sono occupati anche i sindacati confederali, in particolar modo la UIL. Come è andata?

AN: La UIL regionale in complicità con quella di Bergamo (il cui responsabile è amico personale del presidente del consorzio Cisa) si è dimostrata di fatto un sindacato padronale. Si sono presentati in prefettura a braccetto con i capi dopo aver fatto tesserare alla UIL dei facchini che lavorano in un altro magazzino, per dire: “non c’è solo USB, noi difendiamo il lavoro”, ci chiedevano di fare gli zerbini. Un giorno abbiamo sorpreso la responsabile regionale di UIL trasporti a pranzo con il vicepresidente di Cisa e li abbiamo smascherati.

RM: I sindacati gialli hanno strumentalizzato i lavoratori e dicevano “dobbiamo lavorare, sennò il padrone fallisce”. Hanno portato al magazzino degli altri lavoratori, dei fratelli, che venivano a dire “io voglio lavorare”, ma tutti vogliono lavorare, però con dignità.

Questo tipo di attività sindacale ha portato molti lavoratori alla disillusione e all’individualismo, come si riconquista la fiducia dei lavoratori per costruire un grande sindacato conflittuale?

RM: Bisogna affermare un punto di vista differente, nella vicenda di Chignolo Po abbiamo visto quattro lavoratori in cima agli scaffali e altri 50 lavoratori sotto gli scaffali che affermavano alcuni punti chiari: il padrone non ti può licenziare a suo piacimento senza ragione.

Il punto di vista espresso dai facchini in lotta in solidarietà coi loro compagni sugli scaffali è un punto di vista autonomo: io non partecipo ai debiti del padrone, voglio lavorare dignitosamente, essere rispettato, avere dei ritmi di lavoro umani. Il sindacato si ricostruisce affermando l’autonomia di classe e il punto di vista della classe operaia che è contrapposto e antagonista a quello del padrone.

AN: Stando accanto e ascoltando i lavoratori, mettendosi a disposizione con tutte le risorse e le capacità necessarie. Bisogna seguirli da vicino e capire le loro problematiche, guidarli e organizzarli nel rivendicare i loro diritti. A Chignolo Po i lavoratori parlavano diverse lingue, avevano diverse religioni e nazionalità ma hanno scoperto l’appartenenza ad una classe, quella degli sfruttati, degli ultimi e hanno capito che la loro forza sta nella loro unità.

Un sindacato di classe e conflittuale è una novità anche per molti padroni abituati alla concertazione se non alla aperta connivenza, come si ribalta il paradigma?

RM: Coi padroni si tratta e lo si fa, come diceva Di Vittorio, con i lavoratori che tengono il cappello in testa, con i lavoratori che non si umiliano e affermano la propria autonomia. Costruendo delle piattaforme che siano di classe, usando ogni strumento necessario, con la dignità di un sindacato che rappresenta gli interessi dei proletari e non dei padroni.

AN: Noi fin da subito abbiamo iniziato a organizzare una serie di iniziative pacifiche ma molto chiassose, sotto la prefettura e sotto l’ispettorato del lavoro, contattando i media locali per fare conoscere la realtà dentro questo magazzino. Abbiamo cercato un’interlocuzione con la dirigenza del consorzio e della cooperativa e abbiamo trovato solo porte chiuse. Ci hanno detto che non eravamo firmatari del contratto e con noi non avrebbero parlato. Io ho risposto: “Adesso non ci riconoscete, ma fra qualche tempo vi siederete al tavolo con noi”. Pochi giorni fa al tavolo con noi si sono seduti.

USB porta avanti forme di lotta innovative e inedite in Italia negli ultimi anni, dallo sciopero dei carrelli alla minaccia dello sciopero della fame, cosa spinge a cercare nuove forme di sciopero?

I decreti Salvini, quello che dice “prima gli italiani”, sono dei decreti che mettono “prima i padroni”, sono decreti antioperai che hanno criminalizzato le forme di lotta tipiche della logistica, come il blocco dei camion e delle merci. USB ha percorso anche le vie tradizionali e molti lavoratori sono stati licenziati e hanno ricevuto il foglio di via perché “socialmente pericolosi”.

Le forme di lotta innovativa le stanno inventando i facchini, le casse vengono intasate con carrelli pieni di merci non deperibili lasciati lì in segno di protesta perché se il padrone ti licenzia o ti sospende, quando arrivi alla cassa non hai soldi per pagare e lasci lì il carrello, ci vogliono settimane per risistemare tutto; un’altra forma di lotta è salire sugli scaffali e sui tetti.

Quanto è stato fondamentale l’apporto e la solidarietà delle famiglie e della comunità?

AN: Credo che il fatto che ci fossero mogli, figli ma anche parenti, amici e compagni che hanno sostenuto questa lotta sia stato importantissimo per dare coraggio ai lavoratori sugli scaffali, le famiglie restavano ai cancelli sotto un sole tremendo. Per 11 giorni sono stati condivisi momenti di gioia, di tensione, di rabbia.

RM: Quando la repressione e la negazione del lavoro diventa un problema sociale lì nasce la famiglia, altro che Pillon e Comunione e Liberazione. L’unità della famiglia la fanno i proletari: genitori e figli davanti ai cancelli a fermare le merci, anche queste sono nuove forme di sciopero.

Nel caso la vertenza non si fosse chiusa USB era pronto a lanciare una campagna di boicottaggio internazionale nei confronti di Carrefour…

RM: Sia nel caso della Carrefour e di Leroy Merlin erano stati presi contatti con la SGT ed era in programma una campagna internazionale. Questo grazie al fatto di essere parte di un sindacato mondiale, la Federazione Sindacale Mondiale (WFTU), dà molta forza ai proletari perché si riesce a costruire un’unità a livello planetario e ai padroni questo dà fastidio.

Qual è il futuro della logistica e del sindacato della logistica in Italia?

AN: Usb non è un firmatario del contratto collettivo nazionale, noi non abbiamo firmato quella piattaforma perché non la condividiamo, la consideriamo un pastrocchio a favore dei padroni, a discapito dei lavoratori. USB ha una visione che va oltre la vertenza stessa, noi combattiamo una lotta per fare sì che il buco nero della logistica venga regolamentato.

Non è possibile che i controlli sulle cooperative siano fatti ex post con i TFR dei lavoratori, le ferie, i permessi e a volte con mesi di stipendio spariti. La nostra lotta è a fianco e per i lavoratori ma soprattutto per una regolamentazione generale di questo settore, importantissimo in Italia come abbiamo visto durante il lock down.

RM: L’emergenza Covid ha portato all’intensificazione in alcuni comparti, specialmente quelli online. È aumentata la movimentazione delle merci nei magazzini, che al contempo deve essere veloce; inoltre aumenta il numero dei driver, i lavoratori che consegnano i prodotti acquistati online.

In tutto il mondo si stanno sperimentando strumenti nuovi ad alta tecnologia che anziché togliere la fatica tolgono posti di lavoro, aumentando addirittura la produttività individuale. Quello che ci aspettiamo nei prossimi mesi è un aumento dello sfruttamento. Il driver che si trova a consegnare 200 colli al giorno, poiché è aumentato il carico di lavoro, non riesce a rispettate il codice della strada.

Deve esserci un patto fra i cittadini, i facchini e i driver per garantire la salute ai lavoratori, sottrarli dallo sfruttamento, difendere i posti di lavoro ma anche per la sicurezza dei cittadini che rischiano di essere coinvolti in incidenti stradali.

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