Da mesi – giusto per attenerci all’ultimo periodo – la Campania è attraversata da uno tsunami di ristrutturazioni aziendali, chiusure di piccole e medie aziende, oltre all’annunciata fuga di noti marchi multinazionali (Whirpool e Jabril in primis).
Non c’è settore – dall’aeronautico all’agro/alimentare – che non stia pagando i costi di una crisi economica globale aggravata dall’emergenza pandemica per cui non si prevede un termine certo.
Una situazione segnata da uno spropositato aumento del numero di ore di cassa integrazione, dei licenziamenti più o meno mascherati, in una dinamica generale di crescente impoverimento dei ceti popolari della società. Basta guardare i dati statistici ufficiali e si resta colpiti dal numero delle famiglie che sono ora collocate sotto l’ordinaria “soglia di povertà”.
In tale contesto – in Campania come altrove – brilla l’assenza di una risposta sindacale all’altezza dei problemi posti dall’attuale congiuntura politica ed economica.
Cgil, Cisl e Uil, nei mesi del lockdown ed anche dopo, sono – semplicemente – evaporati, evidenziando l’inanità della loro ragione sociale di esistenza.
Nei posti di lavoro aggrediti dagli effetti antisociali della crisi, le RSU (là dove ancora esistono) e i singoli delegati sindacali sono stati, di fatto, lasciati soli ad affrontare i problemi di occupazione, di garanzia del salario e di gestione pratica dei processi di crisi.
Cgil, Cisl e Uil non hanno mosso un dito di fronte all’accumularsi dei “tavoli di crisi” presso il Mise, la Regione o la Prefettura.
I responsabili dei sindacati collaborazionisti si sono limiti ad “accompagnare” il corso della crisi, hanno supinamente accettato i tempi lunghi, le dilazioni che Confindustria e le altre associazioni padronale dettavano alle “trattative”; e non hanno mai denunciato – con la dovuta nettezza e determinazione – il ruolo tutt’altro che neutrale del Ministero del Lavoro e della Presidenza del Consiglio.
Potremmo fare il diario delle autentiche vie crucis che i lavoratori hanno percorso in questi mesi a Roma, sotto il palazzo Santa Lucia a Napoli e alle varie sedi delle Prefetture per cercare una via di uscita ad una condizione di incertezza, di paura e di scoramento.
Mai Cgil, Cisl e Uil hanno cercato di raccogliere e sistematizzare in una unica grande vertenza le tante crisi aziendali e locali prodotte in questi mesi.
Mai Cgil, Cisl e Uil hanno provato a mettere in connessione questi mille rivoli,” per almeno tentare di imporre alle controparti soluzioni positive utili per tutti, al posto dell’assurdo spacchettamento vertenziale che favorisce i disegni padronali ed aziendali.
Cgil, Cisl e Uil – sul piano nazionale e locale – hanno abdicato definitivamente alla loro primordiale ragione di esistenza e si sono volontariamente scelti una funzione di cogestori dei processi di crisi.
Appare – dunque – come il classico fulmine a ciel sereno l’annunciata “manifestazione per l’occupazione” che Cgil, Cisl e Uil hanno annunciato, a Napoli, per venerdì 18 settembre, a piazza Dante, con la presenza dell’ex “ribelle” Maurizio Landini.
Abbiamo il fondato sospetto politico che questa convocazione “unitaria” di Cgil, Cisl e Uil sia una sorte di cambiale che i sindacati complici devono pagare a Vincenzo De Luca per capitalizzare il massimo di consensi politici ed elettorali al sistema affaristico e speculativo che regge la Campania e che, quasi sicuramente, governerà la nostra regione per i prossimi cinque anni.
Il nostro sospetto – diciamo pure certezza – non è dettata solo dalla presenza di molti candidati espressione di Cgil, Cisl e Uil nelle tante liste che sostengono Vincenzo De Luca. Questo sarebbe il meno, con buona pace della tanto sbandierata “autonomia sindacale”!
Il tema vero è che leggendo la “piattaforma programmatica” di questa strana manifestazione salta palesemente agli occhi la sintonia tra gli obiettivi di questa giornata e il programma e, soprattutto, la pratica e i desiderata dell’amministrazione De Luca, per l’oggi e per il domani.
La creazione delle ZES (Zone Economiche Speciali), la generalizzazione del sistema delle deroghe dai “contratti collettivi nazionali di lavoro”, la gestione dei programmi di formazione appaltata completamente alle imprese, un’idea di welfare che, partendo da quanto messo in atto da De Luca durante l’emergenza Covid, allude ad un vero e proprio “welfare dei miserabili” e all’apertura all’ingerenza dei privati nel comparto dei trasporti e nella sanità, sono idee/forza, obiettivi programmatici che tengono assieme De Luca, le organizzazioni padronali e i sindacati complici.
Il tutto mentre si “affilano i coltelli” e si stanno ridefinendo le alleanze per gestire “unitariamente” i soldi che arriveranno attraverso il Recovery Fund.
E’ evidente che uno scenario di questo tipo dovrà prevedere necessariamente un sindacato normalizzato e disciplinato nei confronti del corso economico dominante, così come verso le scelte clientelari ed antisociali che si vanno allestendo regionalmente e nazionalmente.
Denunciare – quindi – la boutade di Cgil, Cisl e Uil, respingere l’abusata retorica di Landini e dei suoi sodali, battersi per la ricostruzione e la riqualificazione di una moderna azione sindacale indipendente, nei posti di lavoro e nei territori, è un impegno da assumere con urgenza per cercare di porre un deciso stop allo stillicidio di posti di lavoro ed al costante peggioramento dell’insieme delle condizioni di vita e di lavoro dei ceti subalterni.
Anche per questo, se venerdì 18 settembre si vuole scendere in piazza a Napoli, è decisamente meglio dirigersi verso l’appuntamento giusto: ossia alla Festa di chiusura della campagna elettorale di Potere al Popolo, alle ore 19, in Piazza del Gesù.
Del resto, in questa campagna elettorale alle ultime battute, come nei vari snodi di crisi, le lavoratrici, i lavoratori, i precari, i disoccupati e quanti soffrono le patologie antisociali di questo lurido modello di sviluppo e di governance, hanno trovato al loro fianco nelle varie mobilitazioni e contro i comuni avversari solo gli attivisti di Potere al Popolo.
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