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“Vogliamo fare l’impero europeo”, detto chiaro e tondo

E’ strano come sia passato quasi inosservato, tra molti compagni sempre “sul pezzo” quando si tratta di cogliere un sciocchezza di Salvini o una sacrosanta soddisfazione di Eric Cantona, un titolo di prima pagina del confindustriale Sole24Ore: «L’Europa? Sia un impero potente al servizio di buoni propositi».

Da anni ci battiamo – con qualche successo, per fortuna – per spiegare che l’Unione Europea non è “soltanto” un mercato comune, ma una sovrastruttura semi-statuale che sta realizzando da 30 anni, a colpi di trattati comunitari e “raccomandazioni” sempre più ultimative un trasferimento di poteri politici dagli Stati nazionali alla struttura con sede a Bruxelles (o a Francoforte, per quanto riguarda la Banca centrale).

Facciamo questo lavoro di “spiegazione” sciorinando fatti, indicando il contenuto dei trattati, illustrando certe decisioni e certi “diktat”, che nell’insieme descrivono una politica di classe, determinata e feroce nei confronti di lavoratori (“fissi” e precari), pensionati, disoccupati, giovani e via elencando categorie popolari.

Un “mercato comune”, del resto, non si preoccuperebbe di controllare le politiche di bilancio dei singoli Stati, non cercherebbe (con non molto successo) di individuare una politica estera unitaria, di costruire coordinamenti gerarchici di polizie, intelligence, forze militari, apparati ideologici e di comunicazione, ecc.

Ma torniamo al titolo del Sole, perché il virgolettato appartiene al ministro dell’economia francese, Bruno Le Maire, che si candida a succedere all’attuale presidente, Emanuel Macron, ai minimi della popolarità in vista delle elezioni del 2022.

Ma non si tratta solo di una battuta audace o “provocatoria” – come gli piace presentarla – perché è accompagnata da una riflessione strategica alta, che connette passato e futuro dell’Occidente davanti alla sfida rappresentata dalla propria crisi sistemica e dall’emergere della potenza cinese.

Dunque la parola “impero” non è una voce dal sen fuggita, ma un obbiettivo politico da completare in tempi storici neanche troppo lunghi.

Il punto di partenza di Le Maire, nella sua informale chiacchierata con l’inviato Beda Romano, è il cardine della politica mondiale attuale:

«Ci chiedevamo quando gli equilibri mondiali si sarebbero spostati da Occidente a Oriente. Ebbene, è accaduto ora, ed è definitivo. L’epidemia ha accelerato il movimento. Prima di tutto sul fronte economico: la Cina ha appena firmato un accordo commerciale con altri 14 Paesi, tra cui il Giappone e la Corea del Sud, costituendo un nuovo gigantesco mercato unico. Poi sul versante tecnologico, la concomitanza è sorprendente: l’uscita dalla pandemia sta avvenendo mentre la Cina afferma il suo desiderio di autonomia strategica. Tra le altre cose vuole controllare l’intero ciclo della produzione di energia nucleare. Infine, sul fronte politico, il Paese sta lasciando intendere che il suo successo nell’affrontare l’epidemia dimostra come nei fatti il regime autoritario sia il più adatto nel XXI secolo».

Quest’ultimo punto rappresenta il nervo scoperto di tutto l’Occidente neoliberista, squassato dalla pandemia, con Pil in caduta verticale, mentre la Cina è l’unica grande economia mondiale a crescere anche nel 2020. Un disastro persino paradossale, visto che l’Occidente ha preferito “convivere con il virus” pur di non fermare affatto la produzione. Mentre la Cina ha praticato lockdown senza eccezioni di sorta, isolando i focolai di contagio fino a identificare tutti i contagiati testando l’intera popolazione delle zone colpite anche da pochissimi contagi.

Le Maire è anche un ideologo, non solo un ministro tecnico. E dunque sa che deve presentare questo scarto decisivo di efficacia nella risposta alla pandemia come prezzo che le “democrazie liberali – attente a rispettare i diritti della persona” hanno dovuto pagare. Mentre l’”autoritarismo cinese” poteva procedere chiudendo e schedando…

Sappiamo per esperienza diretta che la schedatura di massa, anche qui in Occidente, è totale. Ci sono venditori online che conoscono ogni nostra preferenza e quasi ci precedono nell’indicare una merce che vorremmo comprare. Volete che i governi non siano informati di cose ben più serie come le opinioni politiche, le intenzioni di voto, ecc?

Sorprendente, però, che anche a lui sfugga la constatazione più elementare: gli “autoritari” – che si dicono però comunisti, impegnati nella costruzione di un “socialismo con caratteristiche cinesi” – si sono preoccupati di combattere il virus e limitare le perdite umane; i “liberali democratici” hanno pensato soprattutto a salvare i bilanci aziendali. Eppure il primo dei diritti umani, in qualsiasi trattato o manuale, è il diritto alla vita.

L’algido e “distante” ministro francese lo sa bene, e sa anche che “sarà molto difficile” contrastare questa lettura degli avvenimenti, con gli occidentali avviati verso il secondo anno di lockdown stop-and-go, centinaia di migliaia di morti, disoccupati a milioni, consumi ai minimi, clausura in casa, mentre «a Wuhan, la gente si diverte e festeggia».

Le differenze di sistema, al di là delle luci e delle skyline, dei profitti multinazionali e del perdurante sfruttamento operaio, si vedono e si possono toccare. Anche le vecchie giaculatorie usate ai tempi della “cortina di ferro” – “non si può criticare”, “non circolano notizie”, “il popolo è tenuto all’oscuro”, ecc – sono frasi vuote davanti ai milioni di occidentali che vivono e lavorano lì tranquillamente, raccontando, spiegando, viaggiando avanti e indietro (con le sole limitazioni da Covid).

La partita che si è aperta è di quelle epocali. «Rispetto a fine Ottocento, quando gli Stati Uniti presero il testimone dall’Europa, il ribaltamento oggi non è solo geografico, è anche politico. I cinesi sostengono che i regimi autoritari sono migliori delle democrazie liberali».

Qui l’ideologia da far circolare costringe Le Maire a “tagliare per campi”. Il “ribaltamento possibile” è certamente anche politico, ma si fonda non sull’”autoritarismo” – basti vedere come qui vengono trattati i No Tav – anche se certamente il governo di Pechino non brilla per lassismo. C’è un sistema di vita e produzione che nella pandemia ha dimostrato non solo di essere più efficiente, ma anche di aver puntato a minimizzare le perdite umane.

Cosa che nel “libero Occidente” – da Johnson a Trump, da Bolsonaro a Macro, da Conte a Bonomi – non è passata neanche per la mente ai membri della “classe dirigente”. A tutti noi risuonano nella testa le frasi con cui esponenti di Confindustria come Bonometti (Bergamo) hanno giustificato la loro opposizione a fermare la produzione. Oppure quelle orripilanti del capetto delle imprese di Macerata, Guzzini: «Riapriamo. Se qualcuno muore, pazienza». Quel milione di morti, tra Europa ed Usa, che stiamo ormai raggiungendo, è stato insomma messo ampiamente nel conto…

Ma Le Maire sorvola su certi “dettagli” che ritiene ininfluenti. Ma è costretto a confessare l’errore strategico commesso circa 40 anni fa:

«Tutti pensavamo che progresso economico e progresso tecnologico avrebbero indebolito il partito comunista cinese. Nei fatti, invece, vi è oggi una incredibile concentrazione di potere. Mi chiedo se avverrà in Cina quanto avvenne in Europa alla fine del Settecento, con la fine delle monarchie assolute».

Il ragionamento alla base dell’errore era fortemente “eurocentrico”, tipicamente capitalistico: “se si sviluppa l’industria privata anche in Cina, allora si formerà un’élite in grado di scalzare il Partito Comunista e una classe media che pretenderà pluralismo politico, libertà d’impresa, ecc”. Non è avvenuto perché quello sviluppo è stato realizzato in un contesto di pianificazione e programmazione, dove la crescita della ricchezza – pur aumentando notevolmente le diseguaglianze sociali – si è tradotta in aumento del benessere per tutti. Al punto da far dichiarare “estinta la povertà”.

In soli 40 anni 800 milioni di persone hanno raggiunto condizioni di vita paragonabili, come potere d’acquisto, a quelle del “ceto medio” occidentale. E questo, non stranamente, ha consolidato il consenso per la guida politica del Paese, invece di ridurlo.

Qui in Occidente il confronto, anche senza pandemia, è imbarazzante. Negli Usa i senza lavoro sono oggi 110 milioni (su 340 milioni di abitanti), i salari sono fermi da decenni (la Fiat, comprando Chrysler ai tempi di Marchionne, impose il dimezzamento degli stipendi). In Europa la situazione sta diventando molto simile, e i vertici di Bruxelles chiedono un peggioramento drastico per concedere i fondi del Recovery Fund. Spagna e Italia dovranno “riformare” ancora il sistema pensionistico, e consolidare la liberalizzazione totale del mercato del lavoro (niente diritti, licenziabilità a discrezione, ecc).

Sì, si stanno delineando due mondi davvero differenti. Uno in cui non si può più materialmente vivere, l’altro dove si vive sempre meglio, secondo regole effettivamente diverse da quelle cui siamo abituati.

Buttarla in ideologia, in effetti, è più semplice, vero Le Maire?

«La nostra sfida è di difendere la nostra libertà personale, e al tempo stesso padroneggiare la nostra tecnologia». Neanche un accenno alle condizioni di vita delle popolazioni: libertà di impresa e superiorità tecnologica sono gli assi di quel pensiero strategico.

La volontà di “costruire un impero europeo” – sull’asse franco-tedesco, ovviamente, perché Parigi non avrebbe da sola nessuna possibilità – emerge a questo punto con assoluta prepotenza:

«Agli europei pongo alcune domande semplici: volete che l’Europa sia un mercato unico o non volete piuttosto che sia un progetto politico, nobile e idealista? Io mi batterò fino all’ultimo perché sia un progetto politico. Non mi interessa lavorare 17 ore al giorno per costruire un mercato. La seconda domanda è altrettanto semplice. Vi ricordate ancora chi siete e da dove venite? Veniamo da nazioni e da imperi. Siamo in fondo una idea politica che ha costruito nei secoli il Sacro Romano Impero, l’Impero Napoleonico, l’Impero Romano. Quest’ultimo dette al mondo il Muro d’Adriano, Cicerone e Tito Livio, il diritto, la democrazia, il gusto della parola e del discorso. Agli europei dico quindi di non dimenticare da dove discendiamo».

Se sentite lo sferragliare di carri armati in lontananza, o addirittura echi del Mein Kampf hitleriano, beh, non siete diventati paranoici, E’ proprio così.

«Il Nazismo fu un progetto folle, pericoloso, suicida, ma era un progetto politico di cui oggi l’Unione europea è la risposta agli antipodi

Tradotto: era una buona idea, un buon progetto politico, ma mal impostato e infatti perdente. Noi vogliamo fare la stessa cosa, ma con modalità diverse. E infatti:

«Agli europei chiedo: cosa vogliamo fare della nostra potenza? In passato abbiamo colonizzato, schiavizzato, conquistato. Abbiamo messo la potenza al servizio di cattivi propositi. Non dobbiamo per questo rinunciare all’idea di potenza. L’Europa deve dimostrare di poter usare la potenza al servizio di buoni propositi».

Usare la potenza per migliorare il mondo e le condizioni di vita degli esseri umani non gli passa neanche per l’anticamera del cervello. Il suo problema – quello di tutta la classe dirigente europea – è costruire un impero potente, in grado di competere, che si riprenda l’Africa e magari anche il Medio Oriente.

I “buoni propositi” sono qui come un adesivo floreale incollato sul fusto di un cannone. E, come si sa, di “buoni propositi” è lastricata la via dell’inferno.

Siete ancora sicuri che l’Unione Europea sia meno nazionalista o “sovranista” delle piccole nazioncine morenti? E siete proprio sicuri che questa “Europa” sia portatrice di “pace”?

 

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