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Con Franco Marini segretario della CISL eravamo agli estremi opposti del sindacalismo confederale. Lui era a destra di Carniti, io contestavo da sinistra Trentin. Eppure riuscivano a parlarci e a discutere, anche a litigare senza rompere.

Allora il mondo sindacale non era un’azienda, prevedeva la diversità anche radicale di posizioni, anche se poi non erano certo rose e fiori quando quella diversità si manifestava.

Franco Marini rappresentava quella parte della Cisl che aveva subito la radicalizzazione degli anni Settanta e che con la restaurazione capitalista degli anni Ottanta, un poco alla volta, aveva ripreso il controllo dell’organizzazione, mettendo progressivamente ai margini i carnitiani e normalizzando in particolare la Fim, l’organizzazione dei metalmeccanici.

Era un democristiano vero, neppure particolarmente di sinistra nel partito, anzi abbastanza inviso all’area di De Mita e di Martinazzoli. Ma era anche espressione di un’idea popolare e di massa del sindacato e della politica, che non ha nulla a che vedere con ciò che accade oggi.

Per questo nella politica attuale poteva finire quasi all’estrema sinistra. Non perché egli fosse cambiato, era sempre quello, ma perché tutta la politica è franata a destra verso l’impresa ed il mercato.

Una volta ci incontrammo all’entrata di un convegno, lui con immancabili berretto e pipa, ci salutammo affettuosamente e scherzammo proprio su dov’era caduto il sistema politico. E lui ammise che la politica aziendalista attuale gli era estranea e che non gli piaceva per niente.

Oggi si rimpiange in lui una politica ed un sindacalismo confederale che non ci sono più, ma tutto questo puzza di ipocrisia lontano un miglio mentre ci si genuflette al ruolo salvifico di un banchiere.

Addio a Franco Marini.

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