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Nuovo “patto sociale”: via le tutele e divieto di sciopero

E quindi – in modo persino un po’ avventuristico e suicida – “avanti” con la riduzione del debito pubblico (45 miliardi, non uno di meno, anche se spalmati su 4 anni), concentrata soprattutto nel tagliare. Una ricetta anche un po’ suicida, abbiamo detto, perché molti di questi tagli invocati si tramuteranno in mancati appalti alle imprese; e in generale la riduzione dei salari nel pubblico impiego, come anche il congelamento delle pensioni e quant’altro, diminuiranno la domanda di merci. E quindi le vendite delle imprese.

Gli industriali comunque alzano un peana a Giulio Tremonti, dimostrando con chiarezza i contorni dello schieramento che deve morire (Berlusconi e tutti i “chiacchieroni” incompetenti e onnivori di cui si circonda) e i personaggi che potranno esser traghettati nel “nuovo” assetto di potere.

Ma un “tassello fondamentale” è costituito dall’accordo interconfederale per “rendere effettivamente esigibili i contratti”. Si sa benissimo che oggi ci sarà uno scontro feroce all’interno del Direttivo Nazionale della Cgil, ma in ogni caso – a meno di clamorosi e imprevisti rovesciamenti dei rapporti di forza interni al maggior sindacato italiano – domani Susanna Camusso metterà la sua firma sotto un “accordo” che introduce il divieto di sciopero nelle aziende.

Quando i padroni dicono “esigibilità dei contratti”, infatti, dicono una cosa chiara con parole ambigue. Oltre il 70% delle non molte ore di sciopero che si verificano nel paese è rappresentato dagli scioperi spontanei, sulle linee o comunque a livello aziendale. Sono la misura estrema di difesa dei lavoratori quando i ritmi diventano troppo alti, la catena corre troppo veloce, gli straordinari “comandati” si susseguono con troppa intensità, i capireparto si fanno aggressivi, ecc.

Gli sciopero generali, di categoria o confederali, sono fin troppo rari, visto quel che sta accadendo. E questi, perciò, nemmeno i padroni intendono metterli in discussione. Vista la “complicità” già da due anni dimostrata da Cisl e Uil, e quella che la craxiana Camusso vuol portare in dote fin da domani, su quel fronte possono dormire sonni tranquilli.

Ma la fluidità della produzione non deve più essere interrotta dalla “ridicola” pretesa operaia di salvaguardare la propria salute, dignità, sicurezza.

In cambio della testa degli operai la Camusso porterà probabilmente a casa un solo risultato: la misurazione della “rappresentatività” di ogni sigla sindacale tramite un mix tra numero di iscritti e voti ricevuti nelle elezioni Rsu. Che subito dopo saranno abolite, come preteso dal “modello Marchionne”. Un vero trionfo, che lascia i lavoratori senza difese e il più antico sindacato italiano senza dignità.

 

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FORUM DIRITTI/LAVORO

 

Quello che Emma e Susanna non dicono

NO ALLA PRIVATIZZAZIONE DELLA DEMOCRAZIA SINDACALE

La funzione storicamente svolta dal sindacato di rappresentanza collettiva tende da oltre due decenni a ridursi a favore di quelle di regolazione normativa e di erogazione di servizi, dove il sindacato “riconosciuto” non ha bisogno di alcuna legittimazione consensuale ma solo di una legittimazione politica, per lo più autoreferenziale.

La peculiarità del caso italiano è che più il sindacato diventa potere pubblico e si istituzionalizza,  rendendo così inadeguati gli schemi della rappresentanza democratica pensati per la funzione di rappresentanza negoziale,  più si afferma la tendenza non a sostituire e attualizzare tali schemi  ma semplicemente a disfarsene.

Dopo il possibile accordo “unitario” di domani potranno votare i lavoratori per scegliere i propri rappresentanti prima e per validare democraticamente il loro operato dopo? Con l’accordo cosa ne sarà del contratto collettivo nazionale? Sarà ancora praticabile  il conflitto collettivo e individuale?

Non lo sappiamo, questo è il punto!

E non lo sa nessuno se non quattro persone quattro (i segretari di Cgil Cisl e Uil e la presidente di Confindustria) che domani decideranno!

Una decisione giusta sul più comune dei beni, la democrazia, non può che essere presa dopo aver dato la parola  a tutti e in forza delle risposte di tutti. Non conosciamo il contenuto dell’accordo, e proprio per questo è il peggiore degli accordi possibili.

E’ necessario che ci si fermi e si porti nel paese il tema fondamentale del diritto dei lavoratori alla rappresentanza, non si provi a cambiare il vento dando ristoro all’epocale fallimento della strategia berlusconiana, non si privatizzi la democrazia.

Il Forum diritti/lavoro si fa promotore ed invita tutte le organizzazioni, gli studiosi e i militanti che in Italia si battono per una democrazia reale ora a costituire un osservatorio permanente sulla democrazia sindacale  che consenta a tutte e tutti di sapere e di parlare, di ascoltare, di scegliere e di cambiare.

Roma, 27 giugno 2011

Forum Diritti/Lavoro

web: http://www.forumdirittilavoro.it/

 

 

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IlSole24Ore, 27 giugno 2011

Una vera manovra per il rigore e la crescita

di Fabrizio Forquet

Fuori i secondi, da domani si fa sul serio. Dopo la settimana surreale della verifica di governo, tutta giocata sui fantasmi della politica, i prossimi giorni saranno quelli della verità. Della verità per un governo, che è chiamato a dimostrare nei fatti la sua capacità di andare avanti, e per il Paese tutto, che aspetta misure concrete per uscire con più spinta dalle secche della crisi economica.

Una manovra da circa 45 miliardi in quattro anni, la delega fiscale, l’ultimo giro di boa del decreto sviluppo: è un pacchetto di misure sul quale davvero l’Italia si gioca una fetta importante del suo futuro. E il tutto potrebbe essere accompagnato da un tassello non meno importante ai fini dello sviluppo: l’accordo sulla rappresentanza sindacale per rendere davvero esigibili gli accordi in fabbrica.

È un’intesa, quest’ultima, che spetta alle parti sociali. Incontri e contatti della scorsa settimana hanno proficuamente preparato il terreno. Nei prossimi giorni imprese e sindacati torneranno a vedersi e potrebbe davvero essere la volta buona per dare un forte segnale di innovazione al sistema Italia.

Un segnale che anche la politica è chiamata dare, in modo forte e chiaro. È tempo di responsabilità. Non di tatticismi. I recenti interventi delle agenzie di rating hanno dimostrato che non si può aspettare un minuto di più. Serve una manovra vera, fondata su tagli efficaci e verificabili, in modo da rassicurare mercati sempre più inquieti. È vero che i giudizi dei sovrani dei rating sono legati più all’effetto Grecia che a errori di policy italiani, ma solo mostrando la capacità di tagliare deficit e debito come si fece all’inizio degli anni Novanta l’Italia potrà evitare dolorosissimi declassamenti.

Va reso merito, in questo senso, a Giulio Tremonti di aver tenuto con forza la sua posizione rigorista. Ancora venerdì scorso, il premier Silvio Berlusconi aveva fatto intendere, nel contesto europeo in cui si trovava, della possibilità di uno slittamento della manovra per il 2014. Poi l’intervento di Tremonti e la successiva nota di Palazzo Chigi che ribadiva il percorso corretto: tutta la manovra subito, non senza misure per la crescita come le liberalizzazioni, e insieme la delega fiscale. Il tutto nel quadro del pareggio di bilancio nel 2014.

È un percorso virtuoso, quello delineato. E le indiscrezioni che trapelano sulla manovra evidenziano una positiva volontà di intervenire con intelligenza e decisione sulla spesa. Quello che non deve accadere ora, è l’esplodere delle contese tra ministri, tutti pronti a dare battaglia per evitare tagli a carico dei propri dicasteri, magari spostandoli su quelli del vicino. Sarebbe il segnale peggiore che questo governo potrebbe dare.

Accanto alle misure per il rigore, poi, è importante che nella stessa manovra trovino spazio anche misure che possano dare una spinta diretta alla crescita. Le liberalizzazioni, innanzitutto, di cui negli ultimi due anni si è persa traccia: su servizi e professioni, in particolare, è inaccettabile il ritorno al passato al quale stiamo assistendo. Eppoi le semplificazioni che, di annuncio in annuncio, restano un miraggio. Ma soprattutto il fisco.
Qui davvero serve coraggio. Una delega scritta tanto per dare un contentino a chi nella maggioranza, a cominciare dal premier, vuole dare un segnale all’elettorato, sarebbe un’occasione persa.

La riforma del Fisco va fatta davvero. Va fatta seriamente, e non si può limitare a semplificare: bisogna spostare aliquote e tributi dal lavoro e dalla produzione alla ricchezza improduttiva. E appena possibile va ridotta la pressione fiscale complessiva, anche attraverso ulteriori tagli alla spesa corrente.

Tutto in una settimana. Un vasto programmma, si direbbe. Ma è questa la verifica a cui il Governo è chiamato davanti al Paese.

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