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C’era una volta il controllo dei prezzi, la scala mobile e… Mario Draghi

Nonostante il controllo ferreo su tutti i consumi di tutte le utenze, le mie bollette sono sempre più salate… e anche le vostre, no? Nessuno più controlla prezzi e tariffe. E’ il mercato, bellezza!

Una volta c’era il CIP (Comitato Interministeriale dei Prezzi) che, istituito nel 1944, teneva sotto controllo i prezzi e godeva di ampi poteri, avendo anche l’autorità di sottoporre a blocco e sorveglianza qualsiasi prodotto interscambiato sul mercato nazionale. Il CIP fu soppresso nel 1993.

Nel 1993 venne anche firmato il “Protocollo sulla politica dei redditi e dell’occupazione”, dal Governo Ciampi e da Cgil Cisl e Uil, ad appena un anno di distanza dall’altro storico Protocollo: quello del 1992 che segnò la definitiva soppressione della scala mobile firmato dal Governo Amato e CGIL CISL e UIL.

Obiettivo dichiarato del Protocollo del 1993 era “una crescente equità nella distribuzione del reddito attraverso il contenimento dell’inflazione e dei redditi nominali, per favorire lo sviluppo economico e la crescita occupazionale mediante l’allargamento della base produttiva e una maggiore competitività del sistema delle imprese.” Come? Legando gli aumenti salariali all’aumento della produttività, ovvero, il salario quale variabile dipendente dal capitale.

L’altro Procotollo, quello firmato il 31 luglio del 1992, invece, abolì definitivamente la scala mobile. ovvero, il meccanismo di indicizzazione che permetteva l’adeguamento automatico dei salari all’inflazione, aprendo la strada alla nefasta stagione della “concertazione” tra governi ed organizzazioni sindacali.

Proprio a partire da quei due pessimi accordi e dall’avvio della “concertazione”, le condizioni salariali e contrattuali delle lavoratrici e dei lavoratori italiani sono, via via, tragicamente peggiorate (soprattutto dopo l’ingresso nella moneta unica); l’occupazione è drasticamente dimuinuita e l’auspicato sviluppo economico non è mai arrivato. Anzi, è arrivato il sottosviluppo con la perdita dei pezzi più importanti dell’economia italiana e l’abbandono di qualsiasi forma di pianificazione e di intervento da parte dello Stato.

A causa di quegli sciagurati accordi, la stessa progressiva perdita del potere di acquisto di salariati e stipendiati avviò una lenta ed inesorabile contrazione della domanda interna proprio mentre l’ingresso nell’euro ridimensionava drasticamente il settore delle esportazioni. Le ampie privatizzazioni e liberalizzazioni hanno fatto il resto dei danni.

Quegli accordi furono la diretta conseguenza del Trattato di Maastricht – firmato il 7 febbraio 1992 ed entrato in vigore il 1° novembre 1993 – che avviò il processo di edificazione dell’apparato di dominio chiamato Unione Europea.

Per stare dentro le previsioni di quel trattato, nella notte di venerdì 10 luglio 1992, il Governo guidato da Giuliano Amato, con decreto d’urgenza, dispose il prelievo forzoso del 6‰ (sei per mille) dai conti correnti di tutti i cittadini nelle banche italiane.

Ma non bastava, non bastava mai. Nel 1996 l’Italia, rischiava comunque di restare fuori dall’Unione monetaria.

Così, il 22 gennaio 1997, Ciampi firmò il Decreto Ministeriale per l’acquisto di una montagna di “derivati”, ovvero, quei complessi strumenti di “cartolarizzazione” del debito che trasferiscono all’interno di obbligazioni strutturate una componente finanziaria in grado di trasferire a terzi l’aleatorietà dei crediti accumulati.

Per intenderci, i tristemente noti “titoli spazzatura”, la cui esplosione, causò, nel 2008, la più grave crisi finanziaria del dopoguerra. Direttore generale del Tesoro dell’epoca era Mario Draghi, che scrisse materialmente quel provvedimento.

Una storia finita, nel 2018, alla Corte dei Conti che accusò la banca d’affari USA Morgan Stanley e tutti gli alti funzionari del Tesoro italiano di danno erariale per 3,9 miliardi, di cui 2,7 miliardi a carico della banca d’affari e 1,2 miliardi complessivi per quattro dirigenti del MEF (due ex direttori generali, Domenico Siniscalco e Vittorio Grilli, l’attuale loro successore Vincenzo La Via, e Maria Cannata, che per 17 anni ha diretto il pool che gestisce il debito pubblico nazionale).

Tutti, tranne uno.

In primo grado ed in appello, con sentenza della Sezione d’Appello della Corte dei conti del 7 marzo 2019, la procura della Corte dei Conti aveva chiesto alla banca USA Morgan Stanley di pagare 2,76 miliardi, Cannata poco più di 982 milioni, l’ex direttore generale del Tesoro La Via 95 milioni circa, gli ex ministri del Tesoro Siniscalco e Grilli, rispettivamente, 84 e 19 milioni.

Ma il 1° febbraio scorso, la Corte di Cassazione ha deciso che si dovrà riaprire il processo per danno erariale da 4 miliardi nella gestione dei derivati sottoscritti dal MEF con la banca d’affari statunitense Morgan Stanley. 

La Corte ha ribaltato la situazione ed ha dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice contabile nei confronti della sola banca statunitense. Dunque Morgan Stanley esce definitivamente dal processo sui derivati di Stato, mentre si dovrà rifare il processo contro tutti gli alti funzionari del MEF.

Tutti, meno uno, ovvero, l’ex Direttore generale del Tesoro italiano al 1991 al 2001 che, tuttavia, al primo  processo, non era stato nemmeno preso in considerazione.

Lo stesso uomo che il, 28 gennaio 2002, assume la carica di Vice Chairman e Managing Director di un’altra grande banca d’affari statunitense, la Goldman Sachs, per guidare dalla sede di Londra le strategie europee dell’istituto  e, dal 2004 al 2005, membro del Comitato esecutivo del gruppo Goldman Sachs.

Per chi non lo sapesse, il gigante della finanza USA Goldman Sachs è implicato, insieme all’altro colosso finanziario USA, Jp Morgan[1], in una vicenda analoga a quella italiana appena descritta: quella dei derivati venduti alla Grecia al fine di banche adeguare il paese ellenico ai requisiti di bilancio dell’Unione europea. Un’operazione che fruttò alle due banche commissioni elevatissime.

Un’altra storiaccia su cui è calata una spessa coltre di silenzio da quando la Corte di Giustizia Europea ha stabilito, nel 2012, che “la Banca Centrale Europea non è tenuta a divulgare alcuna informazione o documento riservato sulla vicenda”.

La sentenza della CGE ha rigettato il ricorso dell’agenzia giornalistica USA Bloomberg, che aveva fatto causa contro la BCE per il diniego opposto alla richiesta di accesso agli atti ed alla documentazione relativa alla vicenda dei derivati venduti alla Grecia.

[1] JP Morgan Chase & Co. è una multinazionale americana di servizi finanziari con sede a New York. È una delle Big Four americane insieme a Bank of America, Citigroup e Wells Fargo, ed è la più grande banca al mondo con una capitalizzazione di mercato di oltre 420 miliardi di dollari. 

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