Marco Minniti si dimette da deputato per lavorare ad una nuova fondazione – la Med-or- di Leonardo-Finmeccanica, l’azienda a partecipazione statale che produce armamenti, che è attiva nel settore dell’aerospazio e della cybersecurity e che esporta per 5,17 miliardi di euro. Primo acquirente di Leonardo è l’Egitto (commesse per 872 milioni di euro).
Seguono Turkmenistan (446 milioni di euro), Arabia Saudita, Turchia, Thailandia, Marocco, Israele, India, Nigeria e Pakistan. Il tutto, in barba alla legge 185 del 1990 che proibisce l’esportazione di armamenti verso Paesi in guerra e/o che violano i diritti umani.
E’ da sottolineare come questi passaggi dalle “imprese” a ruoli di governo – e viceversa – siano abituali ai vertici Usa, ma un po’ più rari in Italia. Né sembra un aspetto secondario che Minniti sia stato prima sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega ai servizi segreti (con Enrico Letta) e poi ministro degli interni con Renzi.
Ruoli che testimoniano una notevole “vicinanza” con il mondo militare e dello spionaggio, e dunque particolarmente “interessanti” per un’azienda controllata dallo Stato e che fa da perno del nostrano “complesso militare-industriale”.
Come pure è utile ricordare che la Leonardo/Finmeccanica è una di quelle aziende che maggiormente hanno beneficiato delle commesse relative degli accordi presi in sede di Unione Europea e finalizzati a bloccare i flussi migratori dal nord Africa.
Da ministro degli interni del governo guidato da Paolo Gentiloni (12 dicembre 2016 –1º giugno 2018), praticamente, sposò la tesi salviniana dell’ “invasione” e fu il principale fautore dell’accordo italo-libico anti-immigrazione del febbraio 2017 che incluse un massiccio supporto alle guardie costiere libiche sulle quali vennero riversate una valanga di investimenti.
Il memorandum Italia-Libia del 2017, ufficialmente “Memorandum d’intesa sulla cooperazione nel campo dello sviluppo, del contrasto all’immigrazione illegale, al traffico di esseri umani, al contrabbando e sul rafforzamento della sicurezza delle frontiere tra lo Stato della Libia e la Repubblica Italiana”, venne firmato dal presidente del Consiglio dei ministri italiano Paolo Gentiloni e dal primo ministro del Governo di Riconciliazione Nazionale libico Fayez al-Sar.
Quell’accordo che il 2 novembre 2019 si è rinnovato automaticamente, prevede finanziamenti italiani in cambio dell’ “impegno di Tripoli a migliorare le condizioni dei centri di detenzione” in cui vengono riportati i migranti che tentano di attraversare il mar Mediterraneo.
Un impegno rimasto totalmente disatteso dal momento che, secondo testimonianze, report, immagini e relazioni degli osservatori internazionali, i centri di detenzione libici sono gestiti dalle autorità libiche come dei veri e propri lager in cui i migranti sono tenuti in condizioni disumane e sono sistematicamente sottoposti a violenze, torture e vessazioni di ogni genere.
Le Nazioni Unite denunciarono le «spaventose» e «disumane» condizioni dei campi di detenzione per migranti e profughi. «Siamo molto colpiti dalle spaventose condizioni di detenzione» dichiarò il portavoce dell’Alto commissariato dell’Onu per i diritti umani, Rupert Colville che parlò di “stragi nel silenzio, «con decine di morti per tubercolosi» nelle prigioni a causa della loro sistematica denutrizione. Strutture per le quali la Libia continua a ricevere centinaia di milioni di euro dall’Europa e specialmente dall’Italia.
Peraltro, sul carattere ed i reali retroscena dell’accordo italo-libico, benedetto e cofinanziato dall’Unione Europea, uno scoop di ‘Avvenire’ del 4 ottobre 2019 , documentò un incontro tra le autorità italiane e i libici per trovare un accordo sulle partenze dei migranti, al quale prese parte anche un noto trafficante di esseri umani, Abd al-Rahman al-Milad, conosciuto come Bija, entrato indisturbato nel Cara di Mineo, in Sicilia.
Quell’incontro avvenne l’11 maggio 2017 e il “comandante” Bija deve molto all’Unione Europa. A Zawyah la sua “guardia costiera” è stata operativa grazie a mezzi e fondi elargiti via Tripoli dai generosi donatori di Roma e Bruxelles.
Bija sarebbe stato tratto in arresto ad ottobre 2020. Dall’aprile del 2019 il guardacoste, poi promosso “supervisore” del porto petrolifero di Zawyah, era destinatario di un mandato di cattura del procuratore generale di Tripoli.
L’ordine non fu mai eseguito, lasciando Bija libero di comandare la milizia al-Nasr durante le battaglie contro le fazioni arruolate dal generale Haftar, che dalla Cirenaica ha invano tentato per oltre un anno la conquista della capitale.
Bija è accusato di aver dato l’ordine ai suoi marinai di sparare contro i barconi carichi di migranti. In cambio dell’ottenimento di un ricco appalto per gestire la sicurezza dei siti petroliferi, concessi ad aziende italiane, avrebbe smesso di doversi arrangiare con certi affari.
Traffici che secondo gli esperti Onu si possono riassumere «nell’affondamento delle imbarcazioni dei migranti utilizzando armi da fuoco», la cooperazione «con altri trafficanti di migranti come Mohammed Kachlaf che, secondo fonti, gli fornisce protezione per svolgere operazioni illecite».
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