Se non fosse la dimostrazione di interessi disonesti e malsani, l’insistenza dei «dietrologi» sarebbe un caso da macchietta comica, come quei clown che si danno ripetutamente martellate in testa senza capire come mai…
Purtroppo non c’è da ridere. E qualcuno dovrà rispondere, davanti alla Storia, di questo ultra-quarantennale sforzo di dimostrare il falso rifiutando la verità.
L’ultima notizia sul tentativo di trovare nel sequestro di Aldo Moro un indizio estraneo al piccolo mondo dei brigatisti sta nell’ordine del pm di Roma, Albamonte, di prelevare forzosamente il dna ad alcuni componenti delle Br già condannati per l’azione di via Fani, per altri riconosciuti estranei ai fatti e persino per un parente.
L’ordine arriva a soddisfazione della richiesta avanzata, qualche anno prima, dall’ultima Commissione parlamentare di inchiesta su quei fatti, presieduta dal democristiano Fioroni. Ultima e più ridicola, avendo dovuto incassare non solo smentite, ma persino denunce per gli «azzardi» di immaginazione nei confronti di alcune persone totalmente innocenti e – per loro sfortuna – ancora in vita a 43 anni dagli eventi.
Il magistrato se l’è presa comoda, in effetti. Ma di certo non si può dire che ci fossero ragioni di «necessità e urgenza». Non sappiamo se abbia ritardato perché neanche lui convinto di questa ennesima variazione sul tema dietrologico, oppure per normale disattenzione giudiziaria.
Ma in ogni caso, sul piano storico e politico, questo «prelievo forzoso» (noi ricordiamo quello di Giuliano Amato sui conti correnti, altrimenti chiamati «tassa per l“«Europa») non aggiungerà nulla a quanto si sa ed è stato raccontato in 43 anni dagli stessi protagonisti (pentiti, dissociati o irriducibili).
E siamo certi che l’ennesimo flop – dopo l’esame del dna – non sarà affatto pubblicizzato sui media. Gli insuccessi si nascondono, giusto?
Come facciamo a dirlo? Il prelievo sul dna fornisce certamente informazioni quasi certe, ma hanno il difetto di “non avere data”. I mozziconi di sigaretta trovati sull’auto in questione possono insomma risalire a persone salite su quell’auto prima (il proprietario, certamente), durante l’azione e anche anni dopo (persino agli inquirenti accorsi sul luogo o agli agenti che poi hanno «parcheggiato» l’auto nel garage dell’Ufficio corpi di reato).
Resta la curiosità. Com’è possibile che per le centinaia di azioni delle Br non ci sia alcun dubbio sulla matrice e sugli autori, mentre si producono migliaia di ipotesi – sempre smentite dalle indagini – per il solo sequestro di Aldo Moro?
Qualche imbecille motiva questa ossessione con psudo-argomentazioni «tecniche», tipo «era un“azione troppo complessa perché potessero farla da soli». A noi poveri cronisti è toccato registrare in quegli anni azioni ben più complicate di quella, con un numero maggiore di militanti in azione e addirittura con scontri a fuoco imprevisti. Dunque, quella «capacità militare» autonoma esisteva ed era più che sufficiente…
Ma sappiamo anche che è inutile appellarsi alle prove e alla logica di fronte al sillogismo da gesuiti che sta dietro il lavoro dei dietrologi («noi ti accusiamo di essere in rapporto con il diavolo. Se riesci a dimostrare il contrario vuol dire che sei davvero in rapporto con il diavolo, perché solo il diavolo può riuscirci»).
Il sito Insorgenze.net riporta sulla notizia un commento e un articolo di Frank Cimini, storico giornalista della «cronaca nera» milanese, ma con la schiena dritta.
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A 43 anni dal rapimento, il gip romano Patrone ha autorizzato la richiesta di prelievo del Dna avanzata dal pm Albamonte per i Br già condannati per il sequestro del dirigente democristiano ma anche per alcuni militanti estranei ai fatti.
Per il brigatista Azzolini, già membro del comitato esecutivo si tratta di una decisione: «pretestuosa e fuorviante». Per Enrico Triaca, il tipografo delle Br romane arrestato e torturato nel maggio 1978: «questo continuo cercare fantasmi è un tentativo per distrarre l’attenzione dalle vere verità, come le torture».
La commissione d’inchiesta sul sequestro e l’uccisione del presidente del Consiglio nazionale della Dc, Aldo Moro, presieduta dall’ex Dc Giuseppe Fioroni, prima di chiudere la propria fallimentare missione consegnò alla procura di Roma alcune richieste di accertamento che hanno condotto alla apertura di nuovi filoni di inchiesta: oltre a quello preesistente sulla moto Honda avocato dalla Procura generale dopo un tormentato iter di richieste di archiviazione, e quello sul ritrovamento del corpo di Moro in via Caetani, costato all’artificiere Vito Antonio Raso una iscrizione nel registro degli indagati per aver tentato di depistare con le sue dichiarazioni fuorvianti fatti già accertati, la procura della repubblica ha avviato da tempo una serie di verifiche sulle dichiarazioni del consulente americano chiamato dal ministro degli Interni Cossiga, Steve Pieczenik, su via dei Massimi, sul tentativo di depistaggio messo in piedi con un falso documento intestato a Casimirri (leggi qui), sulle armi impiegate in via Fani e in via Caetani e l’eventuale presenza di «altre persone» nel commando che attaccò il convoglio dove si trovava Aldo Moro.
Nasce da qui la richiesta di prelievo del Dna: all’interno dell’abitacolo del Fiat 128 giardinetta, targata corpo diplomatico, condotta da Mario Moretti e che la mattina del 16 marzo 1978 bloccò allo stop con via Stresa la Fiat 130 su cui viaggiava lo statista democristiano e l’Alfetta della scorta, la scientifica rinvenne 39 mozziconi di sigarette.
Recuperati i reperti nel deposito dei corpi di reato del tribunale di Roma, la commissione Fioroni ne dispose l’estrazione del Dna, tecnica forense che nel 1978 non esisteva. Dalle analisi sono stati estratti 8 profili diversi, uno dei quali compatibile con il proprietario del mezzo.
Secondo i dietrologi della commissione la comparazione del Dna con quello dei brigatisti si sarebbe dimostrato necessario per accertare la presenza di un’altra figura che si sarebbe trovata accanto al guidatore Moretti e che avrebbe partecipato all’agguato. Presenza che secondo l’ampia pubblicistica complottista non sarebbe da identificare in un eventuale brigatista ma in un misterioso «professionista» di qualche servizio segreto.
Sulla decisione della procura e del gip di dare seguito ai deliri della Commissione si possono sollevare numerose obiezioni: la presenza di tracce di sigarette risalenti al proprietario del mezzo rubato dalle Br dimostra che la 128 non venne pulita dai brigatisti il che lascia pensare che quei mozziconi fossero lì dal momento del furto dell’automobile; il Dna non ha una data, i mozziconi possono essere stati lasciati in fasi diverse e lontane dal periodo dell’inchiesta e dell’agguato in via Fani.
Come spiega il gip, la convocazione di ieri, venerdì 26 febbraio 2021, negli uffici Digos di diverse questure d’Italia ha riguardato quegli ex brigatisti che si rifiutarono di fornire nel 2018 il proprio Dna alla Commissione Fioroni, da loro ritenuto un organismo inaffidabile che tentava di costruire una verità politica interessata sul sequestro Moro ricorrendo a tutti gli artifici possibili.
Motivo che li portò a rifiutare l’invito (leggi qui). Tra i convocati c’è addirittura Corrado Alunni, che uscì dalle Brigate rosse quattro anni prima del rapimento Moro per dare vita ad un’altra rganizzazione. Ci sono anche Giovanni Senzani e Paolo Baschieri, estranei al sequestro e all’epoca dei fatti prestanome del comitato rivoluzionario toscano.
C’è anche Tommaso Casimirri, che brigatista non è mai stato, convocato per consentire di ricavare dal suo materiale biologico il Dna del fratello Alessio, riparato in Nicaragua.
Gli altri, fatta eccezione per Rita Algranati, assolta ma di cui sul piano storico è noto il ruolo avuto nella vicenda, sono già stati tutti condannati in via definitiva per il sequestro di Aldo Moro.
A differenza della richiesta della Commisssione d’inchiesta, la convocazione del gip ha forza di legge ed implica, se rifiutata, l’estrazione coatta del Dna. Gli ex Br si sono recati in questura per i prelievi, ma alcuni di loro hanno chiesto di mettere agli atti delle dichiarazioni che potete leggere in integrale in fondo all’articolo di Frank Cimini.
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Frank Cimini, Il Riformista, 27 febbraio 2021
Moro senza fine. Ieri mattina a 43 anni dai fatti a Mario Moretti è stato prelevato il Dna per confrontarlo con i mozziconi di sigarette trovati nella Fiat 128 Giardinetta con targa diplomatica, una delle auto utilizzate il 16 marzo del 1978 per sequestrare Aldo Moro. Il gip romano Francesco Patrone accogliendo la richiesta della procura ha autorizzato il prelievo di reperti biologici per tutti i condannati in relazione al caso Moro e anche per militanti del gruppo estranei ai fatti come Giovanni Senzani, Paolo Bascheri e Corrado Alunni.
«E’ dunque necessario procedere alla comparazione dei profili del Dna in tal modo acquisiti con quelli delle persone coinvolte nella strage di via Fani allo scopo di consentire l’individuazione di profili appartenenti a persone diverse da quelle di cui ad oggi è nota la partecipazione criminale», scrive il gip nel provvedimento.
Nell’elenco dei nomi ci sono Franco Bonisoli, Lauro Azzolini, Barbara Balzerani, Valerio Morucci, Bruno Seghetti, Anna Laura Braghetti, Enrico Triaca, Rita Algranati, Corrado Alunni, Rocco Micaletto e Paolo Baschieri.
Lauro Azzolini replica parlando di «strumento pretestuoso e fuorviante che vuole gettare ombre su una realtà che è già stata ampiamente chiarita in ripetute circostanze dentro e fuori i processi e che appartengono alla storia politica e sociale di questo paese. C’è che ne ha fatto un lucroso mestiere costruendoci sopra carriere politiche e giornalistiche».
L’idea dei prelievi era partita dalla commissione parlamentare di inchiesta sul caso Moro, presieduta da Giuseppe Fioroni, affascinata da sempre dalla dietrologia. Gli imputati già condannati per la strage di via Fani ricordano che la procura di Roma nulla ha fatto nei confronti cel testimone Alessandro Marini il quale smentito dalle indagini sosteneva che il parabrezza del suo scooter era stato colpito da diversi proiettili sparati dalle Br. Gli imputati sono stati condannati anche per il tentato omicidio del teste Marini, fatto mai avvenuto. Si tratta di un testimone falso mai perseguito.
Enrico Triaca ricorda di essere già stato convocato tre anni fa e di essersi al pari di altri rifiutato di partecipare alla “caccia alle streghe”. «Non è forse questo cercare fantasmi inesistenti un tentativo di distrarre l’attenzione dalle vere verità sicuramente molto più scomode per voi?». E’ la conclusione di Triaca che all’epoca aveva denunciato torture e fu condannato pure per diffamazione. Successivamente il tribunale di Perugia in sede di revisione pronunciò sentenza di assoluzione. Triaca era stato torturato.
La magistratura dunque non demorde sollecitata da una commissione parlamentare di inchiesta sul terrorismo che formalmente non esiste più perché non è stata rinnovata ma che continua a far sentire il suo peso politico e mediatico. C’è una ben precisa fazione erede di un partito che non c’è più pronta a proseguire la campagna dietrologia con una dedizione particolare e degna di miglior causa.
E la magistratura asseconda questa “voglia”, aumentando i rischi per la sua credibilità, già messa a dura prova da avvenimenti recenti e molto lontani dall’essere chiariti.
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