Secondo i giudici di Trapani, la presunta manipolazione dei dati sui contagi del Covid in Sicilia avrebbe avuto l’obiettivo di evitare la zona rossa, impedire le impopolari restrizioni delle attività economiche, dare una immagine di efficienza. La Gip ha ordinato tre arresti domiciliari nell’ambito dell’inchiesta che ha colpito il cuore del sistema politico/sanitario siciliano ossia il Dipartimento regionale per le Attività sanitarie e osservatorio epidemiologico dell’assessorato della Salute.
“Quanto al fine ultimo perseguito attraverso la deliberata e continuata alterazione dei dati pandemici – scrive il giudice nell’ordinanza – la natura e le conseguenze delle condotte delittuose poste in essere, nonché la qualità dei soggetti coinvolti ed il loro concertato agire, inducono a ritenere che gli indagati non abbiano perseguito finalità eminentemente personali, ma abbiano operato nell’ambito di un disegno più generale e di natura politica“.
Insomma, “si è cercato di dare un’immagine della tenuta e dell’efficienza del servizio sanitario regionale e della classe politica che amministra migliore di quella reale e di evitare il passaggio dell’intera Regione o di alcune sue aree in zona arancione o rossa, con tutto quel che ne discende anche in termini di perdita di consenso elettorale per chi amministra”.
Infine secondo il magistrato “quale che sia il disegno perseguito, è certo che le falsità commesse non hanno consentito a chi di competenza di apprezzare la reale diffusione della pandemia in Sicilia e di adottare le opportune determinazioni e non hanno permesso ai cittadini conoscere la reale esposizione al rischio pandemico e di comportarsi di conseguenza”.
Insomma nascondere o diluire i dati sui contagi da Covid doveva servire, ancora una volta, a questa nuova classe dirigenti di boiardi regionali, a dimostrare di poter cavalcare efficacemente l’emergenza salvaguardando gli interessi materiali dei privati e delle loro attività economiche, anche a discapito della salute pubblica.
Occorre ammettere che quello emerso in Sicilia, potrebbe non essere un caso isolato. Sono mesi che i presidenti delle Regioni – che ormai si percepiscono come governatori dei propri “granducati” – cercano con ogni mezzo di impedire o diluire le misure restrittive anti covid accusando, neanche troppo velatamente, gli scienziati e gli esperti di essere troppo rigidi e vincolati ai parametri stabiliti come “soglie” di allarme che fanno scattare automaticamente le chiusure.
In casi come quello della Lombardia tale preoccupazione si è rivelata assai superiore a quella di una efficace organizzazione della campagna vaccinale, con i risultati vergognosi che adesso sono sotto gli occhi di tutti. Sarà forse perché una campagna vaccinale non prevede guadagno per i privati e dunque non è “interessante” per i periscopi di chi in questi anni ha edificato un modello Lombardia nella sanità più concentrato sui profitti che sulla salute.
Su questo, le parole dell’infettivologo Crisanti sono chiarissime: “Sicuramente le Regioni hanno mostrato tutta la fragilità di questo sistema. Non si può andare avanti di fronte a un’epidemia che è un problema nazionale con ognuno che fa quello che gli pare”.
Forse è arrivato il momento di rovesciare completamente il processo di conferimento di maggiori poteri alle Regioni avviato nel 2001 – che adesso Lega e Pd vorrebbero aumentare con l’autonomia differenziata – anzi forse è proprio il caso di procedere all’abolizione delle Regioni come istituzioni locali.
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