Sono le prime ore del 18 Agosto. Brucia Sovereto. Brucia la pineta e la Spiaggia dei Gigli. Il fumo arriva sino a Curmo, altra riserva marina di Isola Capo Rizzuto. Nelle ultime 24 ore gli incendi boschivi in Calabria sono stati 215, e tra l’1 e il 12 agosto 1.408.
Decidiamo di salire in Sila. Evitiamo la 107, perché passa da San Giovanni in Fiore e da Germano, dove sono stati segnalati altri focolai. Preferiamo la litorale 106, la strada della morte, dove 4 giorni fa, in un incidente frontale nei pressi del museo di Sibari, hanno perso la vita altre 2 ragazze appena ventenni e un loro amico. Svoltiamo poco dopo San Morello, proseguiamo per Mandatoriccio, dove il Maestro Claudio Pugliese ha appena terminato la pittura murale pubblica del Quarto Stato.
Quando Sieyès, nel 1789, pubblicò «Che cos’è il Terzo Stato?»; quando, per la prima volta nella storia, si scrissero parole che si fanno udire ancora oggi (1° Qu’est-ce que le tiers état? Tout. 2° Qu’a-t-il été jusqu’à présent l’ordre politique? Rien. 3° Que demande-t-il? A y devenier quelque chose.); quando si scrisse tutto ciò, nessuno immaginava che, circa 60 anni dopo, il Terzo Stato avrebbe generato quel Quarto Stato o Classe che aspirava a seppellirlo.
Pellizza non riuscì a terminare il quadro in tempo per l’Esposizione Internazionale di Venezia del 1901. Lo inviò alla Quadriennale di Torino del 1902, dandogli il titolo definitivo. La tela, di circa 5 metri per tre, fu iniziata nel 1898, in occasione della violenta repressioni dello sciopero degli operai a Milano. Portava a termine un progetto iniziato nel 1891-92 con gli Ambasciatori della fame, diventato poi la Fiumana.
L’uomo che compare a sinistra nel quadro è Clemente Bidone, quello centrale Giovanni Zarri. Sono entrambi muratori e contadini di Volpedo, paesello dell’alessandrino dove Pellizza si era ritirato.
«Ogni volta che le persone tenute di gusto vanno a visitare il pittore che lavora e tiene studio in campagna, segregato dal mondo artistico – Scrive Pellizza in un articolo al Marzocco, 1897 – dopo averne ammirato le opere e detto il bene e male che sentono, o non sentono, si meravigliano perché il pittore invece di stare in una città dove potrebbe lavorare maggiormente, progredire a grandi passi, farsi conoscere di più, guadagnare anche, preferisce risiedere in un paesello, profondendo in sforzi quasi inutili il suo ingegno; il quale poi, e questo si sottintende, non produrrà mai tanto da poter competere con le opere di valore fatte dagli artisti che vivono in città».
Continuiamo il viaggio per Camigliatello, col pensiero che il fuoco che ha devastato Sovereto e costretto i campeggiatori a scappare dalle tende nel cuore della notte sia stato innescato da qualche incauto turista alle prese con un improbabile BBQ.
Se fossero rimasti a casa loro; se tutti i milanesi e romani e napoletani che affollano le spiagge e le montagne in agosto non si ammucchiassero nello stesso posto nello stesso momento. Se non avessero tutti la fregola di consumare le loro due settimane di gioia divorando tonnellate di prodotti dozzinali. Se stessero a casa, composti e disciplinati, a contemplare la loro casta dignità di proletari, forse il mondo non brucerebbe, Soverete sarebbe salva.
Qualche ingegno aristocratico, di recente ha scritto sul blog padronale che per davvero i lavoratori devono stare chiusi in fabbrica anche ad agosto. Ma a produrre per chi? Chiede Guido Salerno Aletta. Sogna le calze di seta per le nobildonne, le gote incipriate dei lacchè. Ed invece abbiamo le calze di nylon e le auto per tutti.
Se qualcuno di questi rentier può raggiungere la sua isola in elicottero è perché durante tutto l’anno, escluso agosto, otto ore al giorno, tutti i giorni, esclusi sabato e domenica, ma non sempre, i lavoratori producono il metallo per la carlinga, la plastica per la cloche e il carburante per il motore. E lo producono per tutti, anche per il rentier, che non potrebbe installare una fabbriche tutta per sé, un forgia tutta per sé, un centro di controllo voli tutto per sé.
E che se vuole volare tutto l’anno, o se vuole una coca cola, non può averne una migliore di quella che beve il barbone all’angolo (Andy Warhol). In questo incubo chiamato capitalismo, che per undici mesi ci vuole ammucchiati in città e per un mese ammucchiati al mare, che manda al macero i pomodori e le pesche, solo per tenere alto il prezzo, in questo casino chiamato civiltà lui, il rentier o capitalista della domenica, ci è immerso fino alle orecchie, e se vuole continuare a vivere nella contemplazione del suo ombelico deve consumare, e più degli altri, cataste di prodotti dozzinali.
Bruciare il pianeta è il piano del capitale, è il Piano Keynesiano del capitale. Pugliese ha dipinto il Contro Piano.
Fra gli amici, entusiasta dell’opera di Giuseppe Pellizza si era mostrato il solo Giovanni Cena, che l’8 Maggio gli scrive: «Ammiro. È una cosa che resterà e che non ha paura del tempo perché il tempo le gioverà. Ti abbraccio con tutta l’anima.»
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