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Vertenza GKN, USB: da quel tavolo devono sparire i licenziamenti assieme a tutte le ambiguità

Non è cambiata in alcun modo la scelta da parte del fondo Melrose di arrivare quanto prima possibile alla chiusura del sito GKN di Campi Bisenzio. Questo fatto è testimoniato dalla decisione – venduta quasi come una disponibilità – di richiedere la cassa integrazione straordinaria, che però come tutti sappiamo è uno strumento dedicato alla cessazione di tutte le attività produttive.  La scellerata dirigenza di questa azienda non lascia spazio alla mediazione, dimostrandosi ancora una volta arrogante ed incoerente anche nelle sue proposte per giungere ad una soluzione che permetta di garantire allo stabilimento di continuare a produrre.

In un quadro come questo, appare evidente come la linea di azione del Governo, ma anche quella delle altre organizzazioni presenti al tavolo martedì 31 agosto devono rispondere in termini concreti e non ambigui alla lotta che il Collettivo di Fabbrica GKN sta portando avanti con forza e convinzione. Perché dalle dichiarazioni di oggi il rischio vero è che questa vertenza diventi a tutti gli effetti una vertenza da poter gestire come tutte le altre, con gli stessi strumenti.

Non sappiamo cosa stia aspettando il Governo ad intervenire in modo deciso e definivo nei confronti di un’azienda che dopo aver ricevuto 3 milioni di euro di fondi pubblici pretende di voler mettere in ginocchio un intero territorio.  Un’azienda che non è in crisi, ricordiamocelo.

Il decreto anti-delocalizzazioni, così drammaticamente depotenziato nella sua sostanza, rischia non solo di non modificare alcunché perché interviene sull’effetto e non sulla causa: ovvero si continua a non voler affrontare il tema del ruolo dello stato nello sviluppo economico delle imprese, un ruolo messo nelle mani degli imprenditori. Questi imprenditori.

E che dire dell’impostazione di Fiom Fiom Uilm, che richiedono – anche oggi – di garantire le 13 settimane di cassa integrazione ordinaria, come se queste fossero risolutive? Ci sembra invece che si cada in una contraddizione profonda: noi non accettiamo che vengano “offerte” 13 settimane di CIG ad un’azienda che fino a ieri saturava l’attività produttiva. Non possiamo accettare che si tratti questa azienda da azienda malata, intervenendo con strumenti inutili a far modificare le scelte della multinazionale.

Come stiamo ripetendo da mesi, servono coraggio e coerenza. Il coraggio di affrontare il quadro complessivo attraverso un tavolo nazionale dell’automotive che abbia l’aspirazione di definire il ruolo da regista dello Stato a garanzia degli asset produttivi e strategici del nostro paese. La multinazionale va cacciata e lo stabilimento va nazionalizzato. Non possiamo permettere l’ennesima delocalizzazione, e diciamo subito che stiamo osservando preoccupati il settore dell’auto ed in particolare del suo indotto: le notizie su Sevel confermano la necessità di arrivare quanto prima ad una discussione complessiva che non lasci spazio ad ambiguità non più ricopribili dagli slogan o con gli annunci.

 

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