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Operatori delle Rsa sottoposti a ritorsioni e procedimenti disciplinari

I criminali più criminali di tutti, in questo paese, sono gli imprenditori. Specie nella sanità, soprattutto nelle “residenze per anziani” (Rsa).

Gente spesso ignobile, che finisce altrettanto spesso in inchieste giudiziarie per maltrattamenti e incuria nei confronti dei lungodegenti affidati alle loro “cure”.

Ma ancor più criminali nel corso della pandemia, quando hanno “sorvolato” sulle misure e i dispositivi di protezione individuale, sia per gli operatori sanitari che per i “residenti”, per poi minacciare  e/o licenziare quanti segnalavano o denunciavano anche pubblicamente questa situazione, che ha provocato migliaia di morti nelle Rsa.

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In Italia, operatrici e operatori sanitari e sociosanitari impiegati nelle strutture residenziali per anziani che avevano segnalato le precarie e insicure condizioni di lavoro durante la pandemia da Covid-19, sono stati sottoposti a procedimenti disciplinari iniqui e sono andati incontro a ritorsioni da parte dei datori di lavoro.

È quello che è emerso da una nuova ricerca di Amnesty International, secondo cui “invece di affrontare le criticità sollevate, come quelle sull’uso dei dispositivi di protezione individuale e sul numero dei contagi nelle strutture residenziali, i datori di lavoro hanno imposto il silenzio, effettuato licenziamenti ingiusti e adottato misure antisindacali“.

Operatrici e operatori sanitari e sociosanitari delle strutture residenziali sono stati in prima linea nella lotta contro la pandemia da Covid-19 e sono stati elogiati dal governo italiano per il duro lavoro svolto in condizioni terribili. Tuttavia, queste stesse persone sono state ridotte al silenzio dai loro datori di lavoro quando hanno cercato di esprimere preoccupazione sul trattamento degli ospiti anziani e sulla propria sicurezza“, ha dichiarato Marco Perolini, ricercatore di Amnesty International sull’Europa occidentale.

Per condurre la sua ricerca, tra febbraio e agosto del 2021 Amnesty International ha parlato con 34 tra professioniste e professionisti nonché operatori e operatrici in servizio nelle strutture residenziali durante la pandemia da Covid-19, così come con avvocati, esperti del settore e sindacalisti.

Ne è emerso un quadro di un settore ad alta presenza femminile (circa l’85 per cento del totale) e sotto alta pressione a causa della mancanza di personale, degli stipendi bassi e delle pericolose condizioni di lavoro: il tutto, nel contesto della peggiore pandemia degli ultimi 100 anni.

Un terzo delle persone intervistate da Amnesty International durante la sua ricerca ha denunciato un clima di paura e di ritorsioni sul posto di lavoro. Gli avvocati hanno riferito oltre dieci casi di procedimenti disciplinari e di licenziamenti, riguardanti anche rappresentanti sindacali che avevano denunciato la mancanza di adeguate misure sanitarie e di sicurezza in varie strutture residenziali sia pubbliche che private.

Nel maggio 2021 il Tribunale del lavoro di Milano ha stabilito che Hamala, operatore sociosanitario che lavorava con contratto in outsourcing in una delle principali strutture residenziali del capoluogo lombardo, era stato licenziato ingiustamente un anno prima dalla cooperativa per la quale lavorava.

La sentenza ha ordinato il reintegro di Hamala e il versamento di un’indennità, e ha sottolineato che informare le autorità giudiziarie delle irregolarità fosse una questione di interesse pubblico, perché avrebbe potuto evitare la morte delle persone anziane residenti nelle strutture.

“Marco”, un altro operatore sociosanitario che lavora in una struttura residenziale privata, ha dichiarato: “Le cooperative e le strutture residenziali pubbliche hanno messo la museruola alle persone che hanno denunciato o parlato con la stampa“.

La legge sul “whistleblowing”, entrata in vigore in Italia nel 2017, protegge coloro che denunciato irregolarità sul posto di lavoro. Tuttavia, non garantisce loro adeguata protezione per quanto riguarda la riservatezza e l’indipendenza nel settore privato, che gestisce il 73% delle strutture residenziali in Italia. Le autorità italiane devono proteggere tutti gli operatori sanitari e sociosanitari nelle strutture del settore privato.

Le autorità italiane, sottolinea Amnesty, “devono assicurare che le voci di queste lavoratrici e di questi lavoratori siano ascoltate. Amnesty International chiede pertanto al parlamento di istituire una commissione indipendente d’inchiesta che si concentri in particolare sulla situazione delle strutture residenziali.

Attualmente risultano al vaglio parlamentare diverse proposte di inchiesta per indagare differenti aspetti dell’emergenza sanitaria, tra cui la congruità delle misure di gestione dell’epidemia, le modalità con cui la stessa si e’ diffusa e l’efficacia del sistema delle strutture residenziali. Tuttavia, ad oggi, nessuna commissione è stata ancora istituita“.

La commissione “dovrebbe anche prendere in esame le gravi preoccupazioni sollevate dal personale e dai sindacati in tema di sicurezza, salute e precarie condizioni di lavoro durante la pandemia da Covid-19 e nel periodo precedente“.

Agenzia Agi

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