Dalla Napoli ribelle alla Napoli imbelle è un attimo.
Le mani sulla città di De Luca, dei comitati d’ affare e delle vecchie consorterie politico-finanziarie partenopee -e targate Pd- traspaiono chiaramente dalle nomine di giunta, presentate dal neo sindaco Manfredi. Ma pilotate da don Vincenzo, monarca assoluto di Salerno e di Palazzo Santa Lucia.
Scorrendo l’elenco degli assessori e dei corrispettivi assessorati, difatti, sembrerebbe che il duo Manfredi/De Luca sia sia mosso per tracciare un disegno ben preciso. E soprattutto, con due tonalità cromatiche distinte.
Tinte sgargianti per le classi dominanti. Bianco e nero per le classi popolari.
Vediamo!
Edoardo Cosenza, Presidente dell’Ordine degli Ingegneri, alle Infrastrutture e Mobilità, è soprattutto un solido tecnocrate, il cui scopo principale – tanto da accademico quanto da Assessore Regionale ai Lavori Pubblici, ruolo che ricoprì durante la Presidenza Caldoro – sembrerebbe quello di ridefinire il volto della città attraverso l’attuazione di Grandi Progetti.
Una locuzione preoccupante, che ricorda troppo da vicino le famigerate Grandi Opere che stanno devastando il territorio italiano.
Ovverosia, colate di cemento e pseudo riqualificazione urbana -in particolar modo a Napoli Est- in modalità high-tech e con un orizzonte che si apre, inequivocabilmente, alla globalizzazione liberista.
Non certo alle reali esigenze territoriali della città, ai bisogni dei ceti subalterni e ai disastri ambientali, di cui è vittima principale proprio la zona est di Napoli.
Antonio De Iesu, alla Legalità e Polizia Municipale, preannuncia inquietanti scenari repressivi e dure politiche di sgombero. Anche degli spazi occupati.
Un’idea, peraltro, supportata principalmente dalle mancate deleghe al Patrimonio e alle politiche della casa.
Un’emergenza sociale endemica nella nostra città, soprattutto a carico delle fasce più deboli, che il neo sindaco Manfredi ha evidentemente deciso di ignorare.
Già appaltate a Romeo l’una e le altre? Una domanda che sorge spontanea, come ricorda qualcuno.
Un tecnico in quota Pd al Bilancio, Pier Paolo Baretta – ex sottosegretario all’economia del governo Conte due – promette il rigoroso rispetto del Patto di stabilità, nel nome delle politiche di austerità e della macelleria sociale imposte dall’Unione Europea.
Nello stesso solco europeista e anti popolare, sembrerebbero, d’altronde, andare anche le deleghe mantenute da Manfredi, per raccordare Napoli ai diktat provenienti da Bruxelles:
Porto, Pnrr, finanziamenti europei e coesione territoriale, grandi progetti, personale, organizzazione, decentramento, digitalizzazione e innovazione.
Teresa Armato, ex bassoliniana di ferro -chi ha vissuto il cosiddetto Rinascimento napoletano la ricorda bene, ahimé- successivamente nominata da De Luca quale consigliere d’amministrazione della potente società partecipata della Regione, Scabec (attiva sul terreno delle politiche culturali) alla quale è affidato l’assessorato al Turismo e alle Attività Produttive, chiude il cerchio delle conventicole a tutela degli interessi delle borghesie e delle élite intellettuali partenopee.
D’altra parte, con il sindaco che mantiene la delega alla Cultura, possiamo tranquillamente ritenere il settore -cinema, teatro, arti, letteratura- qui a Napoli, definitivamente seppellito nel segno del Ministro Franceschini.
E delle sue scellerate disposizioni, ancora una volta indirizzate verso una cultura, al tempo stesso, elitaria e massificante.
Il cui simbolo più “lucente“ è la disastrosa assunzione del Netflix.
Una tavola apparecchiata dalla governance al solo scopo di intrattenimento e svago per una classe lavoratrice da spremere con ritmi di lavoro e consumo esasperati, e alla quale, di conseguenza, non dev’essere lasciato il tempo e l’agio di pensare. Di riflettere.
Una cultura che deve produrre l’unico scopo di un sistema regolato secondo l’assoluta Legge del Profitto.
Un quadro che lascia supporre, dunque, che anche stavolta, nella nostra città, si proseguirà con la inutile e dispendiosa politica dei grandi eventi.
Senza una seria pianificazione; lontani dalla riqualifica delle periferie; trascurando sperimentazione e innovazione; snobbando l’imprescindibile cultura di prossimità; e soprattutto, lasciando morire nel dimenticatoio quelle esperienze territoriali che dovrebbero, viceversa, costiture il tessuto connettivo fondamentale, grazie al quale imbastire una vera rialfabetizzazione culturale, dal basso e per i ceti popolari.
E con queste stesse esperienze, c’è da scommetterci, si lasceranno morire tantissimi artisti e lavoratori, puntualmente ignorati dal nuovo decreto ministeriale.
Decreto mendacemente rappresentato, dal titolare del dicastero, come una svolta epocale per il comparto.
Addio dunque alla coscienza critica. Addio alla controcultura e al pensiero antagonista. Che a Napoli, più che altrove, malgrado tutte le difficoltà del caso, ha mostrato spesso segni di briosa vitalità.
Una nave che verrà inesorabilmente abbandonata -ci si può scommettere- quella dell’arte, dello spettacolo e della cultura, al grido, sempre più alto, del si salvi chi può.
E ognuno per sé, dio per tutti. Come da consuetudine in un mondo, tra l’altro, poco avvezzo alla lotta.
Veramente una giunta di alto profilo. Non c’è che dire!
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giuseppe
COSA NE PENSANO ROSARIO ANDREOZZI GLI INSURGENTI SCAPPATI PER RIFUGIARSI TRA LE COMODE POLTRONE OFFERTE DAI NEMICI DEL POPOLO NON CITO GLI ALTRI SCAPPATI PERCHE MI VIENE LO SCHIFO SOLO A NOMINARLI SPEROIN UN LORO PENTIMENTO MA NON SARA COSI: