Il mondo sta cambiando rapidamente e ora si sta allontanando dall’unipolarità verso la multipolarità. Per questo, nell’attuale periodo storico di revisione dell’ordine mondiale, per svolgere un’analisi dettagliata e un’interpretazione della realtà quanto più precisa possibile, è necessario tendere a cambiare le nostre categorie concettuali e rivedere le nostre priorità.
Dobbiamo quindi concentrarci sulla “critica”, il concetto base di tutti quei movimenti che si sono opposti alla globalizzazione neoliberista e allo sviluppo quantitativo.
Allo stesso tempo, è necessario incanalare e e dirigere lo sforzo di conflitto delle forze sociali antimperialiste che lottano contro la competizione globale: lo sviluppo umano, prima che quello economico, deve avere l’azione come obiettivo e basarsi sulla verità e sulla realtà. Ma non una verità unica e immutabile, ma una pluralità di verità, che riflette un sistema multicentrico.
Al centro della politica mondiale assistiamo all’emergere di popoli, intesi come classe proletaria, come i subalterni di Gramsci, che per secoli furono soggetti al colonialismo occidentale: è una trasformazione in atto la cui importanza non può essere sottovalutata.
Gli studiosi del Sud, che sono quelli che maggiormente rappresentano il movimento anticolonialista, hanno sfidato le divisioni “tradizionali” delle scienze sociali, rafforzando la teoria della decolonizzazione, per evitare le tre rotture coloniali.
Date le profonde radici del colonialismo nelle strutture di potere dell’economia politica mondiale, esistono le cosiddette “linee globali abissali” e le divisioni delle società metropolitane e periferiche continuano a riprodursi.
Per questo le lotte per la giustizia sociale nel Mezzogiorno sono state accompagnate da un proliferare di studi che esigono il riconoscimento dei saperi prodotti nel Mezzogiorno e una rielaborazione delle scienze sociali in quanto tali.
Affinché questo progetto non sia inteso come una pluralizzazione di voci che lasci intatti i quadri eurocentrici, è fondamentale ripensare al passato della sociologia per tenere conto dell’interconnessione dello sviluppo globale.
Nella concezione di Boaventura de Sousa Santos, questa proposta di epistemologie del Sud dipende fondamentalmente dalla costruzione e convalida della conoscenza nelle lotte dei gruppi sociali contro l’ingiustizia e l’oppressione.
La divisione internazionale del lavoro, prendendo come premesse certe condizioni nazionali, risponde alla natura dei rapporti di produzione in cui sono iscritte. Pertanto, si può accettare che, prendendo a presupposto alcune premesse naturali, ogni Paese proietti all’estero le caratteristiche fondamentali del proprio sistema di governo interno e delle classi dirigenti che lo guidano.
Cooperazione semplice, produzione e grande industria non sono solo fasi di sviluppo tecnico e coordinamento del lavoro, ma anche metodi per ottenere plusvalore, e la teoria della divisione del lavoro è anche la chiave per comprendere il sistema delle relazioni internazionali.
In primo luogo, la divisione capitalistica del lavoro trascende i confini nazionali e, nel quadro del diritto dell’internazionalizzazione, crea prima il mercato mondiale e poi integra il sistema delle relazioni economiche internazionali come una rete complessa che trasforma tutte le nazioni del mondo in un gigantesco campo di produzione e appropriazione del plusvalore.
Le questioni della cooperazione internazionale e degli aiuti allo sviluppo sono sempre state questioni molto controverse e sono oggetto di molta copertura mediatica e speculazione scientifica. La prospettiva marxista sulla divisione internazionale del lavoro e sulle relazioni internazionali può fornire alcuni elementi che contribuiscono a una migliore comprensione di questi processi.
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa