Lo abbiamo più volte sostenuto. Nelle piazze e nelle assemblee, negli incontri pubblici e sui tavoli di confronto. Da sol* e insieme ad altr*. Siamo stanch* di ripeterlo. L’iniziativa di mercoledì 30 marzo, che ha visto la Regione Lazio chiamata in causa per i suoi ritardi eccessivi nel definire il percorso risolutivo dell’annosa vicenda degli stabili di via di Casal de Merode, deve rappresentare un punto di non ritorno. Per questo abbiamo ritenuto necessario lanciare la manifestazione del 14 aprile prossimo. Un corteo che unisca plasticamente, sia nelle accuse che nella definizione di soluzioni autorevoli, il Comune di Roma e la Regione Lazio.
Stiamo registrando, dopo il cambio di amministrazione capitolina, timidi segnali di risveglio. Constatiamo tuttavia anche pessime dichiarazioni dal sapore lombrosiano riferite agli abitanti delle periferie romane.
Confermate da una delibera appena approvata che mescola confuse disponibilità verso soluzioni condivise a minacciose task force poliziesche per proseguire con gli sgomberi nei quartieri popolari.
Affermazioni che fanno il paio con le calate propagandistiche di assessori, governatori e sindaco che arrivano in quartieri come Tor Bella Monaca e San Basilio accompagnati da uomini in divisa e giornalisti per parlare ancora una volta della questione della casa in termini di ordine pubblico, sicurezza e decoro.
L’idea di dialogare con chi vive e abita questi quartieri è sostituita dall’uso mediatico della criminalità e del ripristino della legalità, additando tutti e tutte come potenziali banditi, imbroglioni e traffichini. Questo messaggio è evidentemente rivolto a quella città ancora solvente, benpensante e votante che apprezza queste azioni eclatanti.
La stessa che forse apprezza gli approcci scandalistici e improntati al panico morale di certe testate giornalistiche, piuttosto che le sortite di Brumotti dentro i quartieri a uso e consumo di “Striscia la notizia”, o le sparate di Giletti e di Mediaset contro gli abusivi delle case popolari.
Una narrazione tossica, offensiva e lesiva della dignità di chi abita in quei luoghi, nonché delle persone coinvolte che con grande leggerezza vengono tacciate di essere affiliate ai clan, senza tenere conto delle ripercussioni sulle loro vite, né della gravità della crisi abitativa che affligge questa città da decenni, ulteriormente acuita dalla pandemia.
Nonostante la situazione sia in progressivo peggioramento anche il prefetto ha voluto ribadire la necessità di proseguire con gli sgomberi, stilando un cronoprogramma dal sapore minaccioso e ultimativo.
Però, se non fosse chiaro, basta guardare i dati per capire il livello di disagio alloggiativo che c’è in questa città. Dati che non stiamo qui ad elencare perché lo abbiamo scritto più volte; siamo stuf* di fare l’elenco della spesa a chi non è disponibile all’ascolto, ma vive solo di toppe ed interventi emergenziali che non avvantaggiano nessuno se non la propaganda securitaria e i privati che sono chiamate a gestirle.
Basta solo dire che sono almeno 60mila i nuclei familiari che necessitano di una risposta immediata; su questo fabbisogno vanno progettati i prossimi interventi pubblici. Per fare questo, e solo per partire con il piede giusto, servono 500 milioni di euro.
La cifra che, al momento, il PNRR destina a Roma per favorire lo sviluppo turistico! Serve soprattutto che Regione e Comune interagiscano in maniera permanente, sia nella gestione del patrimonio pubblico sia nel reperimento degli alloggi necessari.
Deve cambiare l’idea di città, del suo consumo e di come vada abitata e vissuta. Il valore delle esperienze sociali e delle comunità meticce e il contributo dell’inquilinato resistente devono trovare ascolto e attenzione, fino a divenire processo di pianificazione condivisa e sostenibile.
Queste esperienze, attraverso i propri spazi e la propria presenza, stanno con caparbietà contrastando lo strapotere della rendita fondiaria, le dismissioni selvagge, i processi di rigenerazione urbana guidati solo dal profitto e dall’urbanistica del decoro, le trasformazioni urbane non rispettose dell’ambiente e della qualità della vita, le forme di gentrificazione, turistificazione ed espulsione che desertificano la città.
Pretendiamo un ascolto che non sia manieristico, ma autentico e conseguente nei fatti. Una coerenza evidentemente mancata nella recente vicenda della Laboratoria Ecologista Autogestita Berta Caceres, avviata nel parco della Caffarella dentro un immobile pubblico dismesso per fare cassa, e sgomberata senza il necessario confronto.
La salute di questa città è a rischio. Il corpo sociale colpito dalla crisi economica prima e dalla pandemia dopo, rischia di subire una ulteriore aggressione dai riflessi negativi di una guerra in corso dove sembra più importante aumentare la spesa destinata alla difesa che dedicarsi alla ricerca della pace e a reperire le risorse per contrastare un carovita sempre più soffocante e ingestibile.
Aspettare ancora quindi sarebbe davvero pericoloso.
Puntare solo sulla città vetrina di turismo, Giubileo 2025 ed Expo 2030, in questo quadro, ci appare anche decisamente provocatorio. Così come vediamo fortemente dilatorio il tempo di come si affrontano temi come lo ius soli o la cancellazione dell’articolo 5 della legge n. 80 del 23 maggio 2014.
Anche su questo ci aspettiamo segnali di discontinuità che non abbiamo ancora visto dal sindaco Gualtieri e dal governatore Zingaretti; eppure, proprio questa norma liberticida ha impedito una piena soluzione per gli occupanti senza titolo delle case popolari.
Per tutte queste ragioni, invitiamo la città che (r)esiste alla rendita, alla speculazione e alla deriva securitaria delle politiche urbanistiche a costruire e attraversare collettivamente il corteo che il 14 aprile muoverà dall’assessorato alla casa del Comune di Roma alla Regione Lazio.
Roma non si sgombera, Roma non si vende!
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