E’ l’unica fotografia trovata in rete di un documento storico.
Storico, non solo perché il quotidiano diretto da Eugenio Scalfari prospettava la tesi che il “collettore delle tangenti” per l’Italia, nello scandalo, Lockeed era Aldo Moro. 306 milioni di dollari distribuiti in almeno 15 paesi per “facilitare la vendita” degli aerei militari della corporation.
E lo faceva senza giri di parole, attaccando il Presidente della Democrazia Cristiana, col rischio di finire querelato e dover dimostrare, con prove inoppugnabili, la sua tesi e le sue fonti.
Storico perché quella pagina di Repubblica porta la data del 16 marzo 1978.
La mattina in cui Moro fu sequestrato.
Quel giornale fu ritirato in fretta e furia dalle edicole e della faccenda non se ne parlò più.
La vicenda fu derubricata come una “bufala” messa in giro dall’entourage di Henry Kissinger preoccupato delle “aperture a sinistra” del leader DC.
Era già incominciata la campagna di beatificazione del “santo laico” della democrazia, italiana e cristiana.
Discutere sul ruolo di quel personaggio (e di quel partito) significava finire nella geenna dei “fiancheggiatori del terrorismo“, finire in galera in virtù di qualche “teorema” costruito nelle aule giudiziarie, essere bollato come “sabotatore” delle istituzioni civili e “amico degli assassini“.
Ci vorranno 14 anni prima di vedere i sodali del leader democristiano finire con la bava alla bocca davanti ai giudici di “mani pulite“.
14 anni per potere riparlare di corruzione.
I tempi erano cambiati, e della Dc e dei cespugli che per 30 anni avevano goduto il privilegio di “fedeli alleati” nella gestione del potere, le classi dirigenti avevano capito di poterne fare a meno.
Avevano esagerato ed era ora di “cambiare tutto per non cambiare niente“.
Anche il clima era cambiato e gli “intellettuali” che in gioventù mettevano la faccia e la firma contro “il sistema di potere mafioso della Dc“, si riscoprivano manettari e estimatori del 41 bis.
La borghesia (la democrazia) aveva vinto e poteva permettersi di fare pulizia al suo interno, e di chiudere i conti aperti negli anni bui in cui aveva rischiato di essere travolta.
Poteva rinnovare la classe dirigente senza la preoccupazione di rischiare di indebolire la sua capacità egemonica.
Gaber, da “provocatore” che poco concedeva al mercimonio delle idee (di certo non delle sue) ci provò ad andare contro corrente.
Lo fece nel 1978. Col “morto in casa“.
Quel disco se l’è dovuto produrre da solo.
E’ anch’esso un documento storico, lasciato in eredità a futura memoria.
Per non dimenticare.
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