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La Meloni d’Algeria

La presidente Meloni è andata nei giorni scorsi in Algeria accompagnata da due big boss del capitalismo tricolore: l’amministratore delegato dell’Eni De Scalzi e il presidente di Confindustria Bonomi.

L’interscambio commerciale tra Italia e Algeria nel corso del 2022 è cresciuto del 160%, grazie soprattutto alle maggiori importazioni italiane di gas. Come noto tra Algeria e Italia esiste già un gasdotto, in parte sottomarino, che parte da Hassi R’mel nel deserto algerino, transita per la Tunisia e finisce a Mazara del Vallo in Sicilia.

Adesso l’Eni sta pensando ad un altro gasdotto tra Algeria e Italia. Si tratta del progetto Galsi (Gasdotto Algeria Sardegna Italia) è una condotta sottomarina di 284 chilometri con una profondità massima di ben 2.880 metri con la condotta che partirebbe dal porto algerino di Koudiet Draouche, nel nord-est del Paese, a quello di Porto Botte, nella Sardegna sud-occidentale. Quindi una condotta sotterranea sino a Olbia, attraversando tutta la Sardegna. Infine, da Olbia un altro gasdotto  fino a Piombino, da cui partirebbe il collegamento con la rete italiana.

L’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, ha siglato ad Algeri due memorandum d’intesa con il suo omologo della Sonatrach, Toufik Hakkar, , uno per la valorizzazione della rete di interconnessione energetica tra Italia e Algeria, e l’altro per la collaborazione tecnologica tra i due Paesi per ridurre la combustione del gas e di altre emissioni.

Le due società si sono impegnate a trovare il modo di assicurare all’Italia maggiori importazioni dall’Algeria di beni energetici attraverso la capacità di trasporto delle infrastrutture esistenti, la realizzazione del nuovo gasdotto per il trasporto di idrogeno, la posa di un cavo elettrico sottomarino e l’aumento della capacità di produzione di gas liquefatto.

Il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, ha invece firmato un memorandum di intesa con il presidente del Consiglio del rinnovamento economico algerino (Crea), Kamel Moula, per favorire la cooperazione industriale tra le imprese italiane e quelle algerine e creare così “un ponte tra il nostro paese e l’Algeria, in chiave economica, sociale e geopolitica”.

Il memorandum mira a promuovere partnership in cui il sistema industriale italiano può esprimere tutte le sue potenzialità nel contesto della diversificazione economica algerina, che “prevede ampi margini per una più radicata penetrazione del nostro Made in Italy e delle sue filiere produttive”. L’Algeria, infatti, vede nell’Italia anche un modello di riferimento per lo sviluppo delle piccole e medie imprese. Si stima che siano circa 180 le imprese italiane con una presenza strutturata in Algeria, cui si aggiungono centinaia di imprese – soprattutto piccole imprese – coinvolte in contratti di fornitura.

Se è vero che gli affari sono affari, sullo sfondo rimangono alcuni problemi politici che peseranno sulla politica estera italiana nel Mediterraneo.

L’Algeria è il paese arabo più intransigente verso Israele, in qualche modo è la punta del nuovo “fronte del rifiuto” rispetto agli Accordi di Abramo firmati da alcuni paesi arabi con Tel Aviv. Tra questi vi è il Marocco, il rivale regionale dell’Algeria. Anche il Marocco sta lavorando ad un gasdotto da collegare all’Europa e in aperto antagonismo a quello algerino.

L’Italia di Mattei e della “vocazione mediterranea” sapeva barcamenarsi bene nei conflitti del Medio Oriente ed era un partner affidabile del mondo arabo. Da trenta anni a questa parte, i governi italiani hanno abbondantemente dilapidato questo “tesoretto” dichiarandosi il migliore alleato di Israele in Europa, invadendo l’Iraq e destabilizzando la Libia.

Con l’aumento delle forniture di gas all’Italia e ad altri paesi europei, l’Algeria nel 2022 ha fatto soldi a palate. Ha quindi aumentato notevolmente le spese militari ed ha acquistato esclusivamente armamenti…russi e cinesi. Insomma qualcosa di estremamente lontano dai desiderata della Nato e la conferma che l’Algeria oggi è il migliore interlocutore di Russia e Cina nel Mediterraneo.

Infine, c’è il problema della ZEE (Zona Economica Esclusiva) dell’Algeria che arriva a lambire la Sardegna. Su questo la diplomazia italiana fa la finta tonta da anni ma è proprio sulle ZEE che in corso in tutto il Mediterraneo un braccio di ferro tra tutti i principali paesi rivieraschi.

Insomma, ascoltando la Meloni intervenire ad Algeri nell’incontro con il premier algerino, abbiamo avuto la netta impressione che non sapesse di cosa stesse parlando e vendesse fumo sugli accordi e l’emergenza energetica su cui l’Algeria è ben disponibile a diventare parte della soluzione (e fornitore importante), ma è apparso evidente che la postura di politica estera del governo in carica sia più simile a quella del mercante che a quella di un paese con un passato importante e una necessità impellente di relazioni efficaci nel Mediterraneo.

La parallela visita di un mediocrissimo ministro degli Esteri come Tajani in Egitto si muove sullo stesso solco: profilo politico bassissimo e accordi sulle forniture di gas attraverso il protagonismo dell’Eni. Si conferma insomma che la politica estera italiana la decidono nel grattacielo sul laghetto dell’Eur e non alla Farnesina.

Sul dolente dossier libico nessun passo avanti. Eppure occorre ricordare che la Libia è quella con il petrolio più vantaggioso per qualità, costi di estrazione e di raffinazione. Ma l’instabilità che l’Italia ha contribuito a scatenare in quel paese con il colpo di stato e l’intervento militare Nato contro Gheddafi, è lì a mostrare il fallimento della politica estera italiana a trazione Nato nel Mediterraneo.

 

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