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Genova, il movimento contro la guerra cambia volto

La manifestazione nazionale a Genova contro la guerra con le parole d’ordine “giù le armi, su i salari” è stata una scommessa politica decisamente vinta.

Diecimila persone “vere” (senza i soliti rilanci arbitrari tipici della propaganda) hanno manifestato dai varchi di Ponte Etiopia su Lungomare Canepa fino a piazza De Ferrari, riempiendola. Per chi conosce le dinamiche reali delle mobilitazioni degli ultimi anni, si tratta – nel suo piccolo rispetto a quel che sarebbe indispensabile – di una cifra considerevole.

Una prima parte del corteo, avviatosi a circa unora dal concentramento, si è svolta all’interno del porto, per poi uscire all’altezza della Stazione Marittima sfilando compatto attraverso via Gramsci. Di lì è stato imboccato il tunnel stradale sotto piazza Caricamento per poi risalire lungo via San Lorenzo, per arrivare infine a Defe passando per piazza Matteotti.

Un corteo alla cui testa i lavoratori del Collettivo erano insieme agli operai portuali giunti dagli altri scali italiani in una giornata – è bene ricordare – per la quale il coordinamento dei lavoratori marittimo portuali dell’Unione Sindacale di Base aveva proclamato 24 ore sciopero.

L’iniziativa ha cercato (ed è riuscita) a coniugare la questione della sicurezza nelle banchine – è la seconda giornata di sciopero generale negli scali italiani indetta da USB su questo tema – a causa dei tre recenti omicidi sul lavoro a La Spezia, Trieste e Civitavecchia; l’agibilità sindacale minata dalla repressione padronale, costata il licenziamento ad un attivista dell’ORSA del porto di Gioia Tauro; e la questione della guerra, in particolare la lotta contro il transito d’armi nei porti italiani.

Temi ribaditi dai numerosi striscioni: “Stop Armi, Stop Bahri” appeso dalla sopraelevata portuale all’inizio del concentramento così come “porti chiusi alle armi” sempre dal cavalcavia della strada interna al porto; o ancora lo striscione ufficiale del CALP “Stop ai traffici d’armi nei porti”, e “per Alberto e Paolo, mai più morti sul lavoro”.

Dopo i camalli un nutritissimo pezzo di corteo era composto dai lavoratori di USB, e subito dopo lo spezzone degli studenti di OSA e Cambiare Rotta, che hanno sfilato dietro lo striscione “studenti e operai BLOCCHIAMO LA GUERRA”.

Presente in questo spezzone anche lo striscione della Rete dei comunisti “Guerra alla guerra imperialista”.

Erano diverse centinaia gli studenti di OSA e CR, frutto anche di un lavoro di preparazione capillare nella decina di istituti in cui agisce nel capoluogo ligure l’Opposizione Studentesca d’Alternativa, presente in regione anche a La Spezia e ad Imperia, ma i cui attivisti sono giunti da tutta Italia, così come quelli di Cambiare Rotta, che hanno tenuto iniziative in varie università nel corso di queste settimane di preparazione della giornata.

A seguire una serie di spezzoni di realtà dell’antagonismo politico come il Collettivo della GKN, diverse realtà storicamente impegnate contro la guerra come Emergency o nel sociale come La Comunità di San Benedetto al Porto, rappresentanti del movimento No Tav.

Presenti anche altre realtà del sindacalismo di base, a livello locale, come Cub, SiCobas, Usi. Da questo punto di vista si può ben dire che sia stata la manifestazione più unitaria delle ultime settimane.

E poi vari gruppi politici tra cui un nutrito raggruppamento di anarchici, con lo spezzone più numeroso di Potere al Popolo e delle varie soggettività politiche costituito da Unione Popolare.

Unione Popolare ha aperto il proprio striscione con le parole d’odine: “Contro guerra e caro vita: No Armi e No NATO

A fine manifestazione dal furgone dell’amplificazione sono intervenute le diverse anime che hanno partecipato al corteo tra cui una compagna di OSA e la portavoce nazionale di Potere al Popolo Marta Collot.

Da sottolineare come più volte trasversalmente sia partito il coro: “fuori Alfredo dal 41bis”, a testimoniare la vicinanza alla lotta di questo compagno in lungo tempo in sciopero della fame che lo Stato italiano, di fatto, ha condannato a morte.

Innanzitutto si è trattato di un corteo “inedito” per i numeri, la combattività ed il percorso nel capoluogo ligure. Segna un “prima” ed un “poi” – in città e non solo – e dimostra come i ‘corpi intermedi’ della “sinistra” ed il loro sfacciato “collateralismo critico” al PD rispetto alla guerra non abbiamo più capacità di mobilitazione alcuna (se non puramente testimoniale); la cui sola funzione residua è cercare invano di “boicottare mediaticamente” le mobilitazioni con parole d’ordine chiare come quella del 25 a Genova, che rispecchiano davvero il sentimento della maggioranza del Paese sulla guerra.

Il presidio sotto la Prefettura del 24 febbraio in città, nonostante le adesioni formali di un nutrito arco di organizzazioni (CGIL, ARCI, ANPI, Rete degli Studenti, ecc.) ha raccolto un numero di persone assolutamente imparagonabile all’iniziativa di Sabato. Segno che l’ambiguità voluta tra “ricerca della pace” e “invio delle armi” è ormai diventata ingestibile. L’una cosa esclude l’altra…

In questo senso, l’iniziativa di ieri nella Superba è riuscita in parte a tramutare una diffusa opinione pubblica in un primo abbozzo di movimento reale, legandosi ad una lotta concreta come quella dei portuali del CALP – che va avanti ormai dal 2019 – e del Coordinamento Mare e Porti di USB sin dalla sua costituzione.

Certamente è stato necessario con un grosso impegno organizzativo ed un ingente dispiegamento di energie e risorse, ma il risultato è andato oltre le più rosee aspettative.

Questo ci ricorda che senza una spina dorsale organizzativa e uno sforzo militante non si riesce ad unificare una parte importante di una società sensibile ad alcune tematiche centrali.

Gli appelli “generici” una tantum, non sostenuti da uno sforzo organizzativo quotidiano, che sperano nell’”effetto lancio”, magari contando su un atteggiamento più benevolo – o meno ostile – dei media mainstream, non hanno più presa, nemmeno tra la “bolla” degli attivisti. Non esiste, in questo quadro conflittuale, un possibile “moltiplicatore” mediatico che riesca a supplire alla mancanza di radicamento reale…

Tre aspetti vanno ulteriormente sottolineati del corteo.

La città è entrata in porto. Il porto è un luogo “inaccessibile” nonostante sia parte del demanio pubblico, dato in concessione dall’Autorità Portuale ormai ad una manciata di multinazionali del mare che vogliono dettare “il bello e il cattivo tempo” sulle banchine e sui moli.

É sempre bene ricordare che la “privatizzazione” dei porti è stata un po’ le madre di tutte le privatizzazioni, che ha tra l’altro “frammentato” la classe operaia portuale e di fatto privato il pubblico di un bene prezioso, lasciando alla cittadinanza solo le esternalità negative: congestione del traffico dei TIR, scarichi delle navi, ecc.

Oggi, in parte, la città si è riappropriata del “suo” porto.

Il porto è entrato in città. I lavoratori portuali si sono ripresi, insieme ad altri lavoratori, studenti e solidali le vie principali e la piazza principale, da tempo ormai destinata in esclusiva alle dispendiose baracconate organizzate dal sindaco Bucci e dal governatore della Liguria, Toti.

Un messaggio di forza importante, avvenuto in un giorno di sciopero.

I camalli infatti non hanno portato solo temi particolari legati alla loro condizioni, ma questioni generali come la guerra, dando un chiaro esempio di come il sindacalismo combattivo riesca ad andare oltre i perimetri del corporativismo ed il collaborazionismo che caratterizza la CGIL-CISL-UIL, organizzazioni ormai capaci solo di sfornare dirigenti buoni per i salotti televisivi, ma totalmente incapaci nel mobilitare i loro stessi iscritti e delegati, salvo rarissimi episodi che non sedimentano alcunché.

I punti di forza sociali diventano poli attrattivi in grado di legare le spinte migliori sia del Paese – si pensi alle manifestazioni di Cagliari e Niscemi, esplicitamente collegate a quella di Genova – sia internazionali, come quelle contemporanee di Londra e Berlino.

In questo senso le chiacchiere stanno a zero, e chi più o meno ha “snobbato” l’appuntamento genovese, o l’ha subdolamente boicottato con un atteggiamento tra il saccente ed il “paraculo”, si è rotto le corna in una sterile auto-rappresentazione capace solo di certificare la propria stentata sopravvivenza politica, ma niente più.

E speriamo, in tutta sincerità, che ne prenda atto. Non è mai stato tempo di “orticelli” esclusivi, ma in tempi di guerra sarebbe da idioti persistere…

Genova è stato allo stesso tempo un “punto d’arrivo” di un processo di mobilitazione contro la guerra che dura da circa un anno – erano stati gli stessi lavoratori del CALP, in tempi non sospetti, a segnalare quello che era successo in Ucraina dal 2014 -, ed un punto di partenza per quelli che devono divenire i “nuovi” partigiani della pace.

Nel mondo multipolare che prende forma, ormai è incontrovertibile: c’è chi spinge verso un ulteriore escalation bellica – non solo in Ucraina – e chi articola sensati percorsi di raffreddamento delle molteplici tensioni internazionali.

Le classi subalterne (e chi ne promuove gli interessi a livello politico e sindacale) non possono ignorare che una prospettiva di pace può darsi solo e se la NATO, e le forze che con essa collaborano, vengono “ribilanciate” da altri soggetti che stanno indicando una uscita diplomatica dall’attuale situazione e, per quanto ci riguarda direttamente, da un forte movimento contro la guerra che prenda forma, in primis, proprio nei paesi del Patto Atlantico. Un movimento di classe, non solo d’opinione.

Serve coraggio ed una certa dose di spregiudicatezza nel farlo, ma ciò che abbiamo visto, anzi contribuito a realizzare, a Genova ci fa ben sperare.

* Le foto sono di Patrizia Cortellessa

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2 Commenti


  • Norma Bertullacelli

    i pacifisti e le pacifiste dell’ora in silenzio per la pace, http://www.orainsilenzioperlapace.org, che hanno partecipato alla manifestazione e da vent’anni occupano ogni settimana i gradini di piazza De Ferrari hanno visto con grande soddisfazione la piazza finalmente piena ed hanno espresso la loro solidarietà ai portuali
    Solidarietà che si era già espressa con la partecipazione dei pacifisti e delle pacifiste alle iniziative in porto contro le navi Bahri.
    Le parole d’ordine della manifestazione di ieri, il collegamento con i diritti dei lavoratori, la denuncia delle spese militari, e la parzialità delle narrazioni dei media principali sono da sempre quelle dell’ora in silenzio per la pace


  • Piero Gaiani

    e ci voleva!

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