L’ennesima smentita del coinvolgimento palestinese nella strage di Bologna, che viene ritenuto del tutto infondato dai giudici. Questo è solo l’ultimo tassello di un iter processuale che ha stabilito che le “piste” alternative a quella neofascista, da quella “palestinese” a quella “libica”, sono inconsistenti e incongrue e da escludere definitivamente.
Già in precedenza il giudice Michele Leoni, presidente della Corte d’assise di Bologna che emise il verdetto di condanna contro il terrorista “nero” Cavallini, scrisse che «si è trattato di una strage politica, o, più esattamente di una strage di Stato». Tutte le altre “piste” sono false, tant’è che nessun processo le ha mai prese in considerazione.
Lo stesso giudice scrisse che le “piste” alternative (tipo, appunto, quella “palestinese o “libica”) hanno lo scopo di «negare la responsabilità di terroristi di destra italiani, servizi segreti italiani e istituzioni italiane, e dirottare tutto su imprecisate, fantomatiche e fantasiose organizzazioni estere, o su governi esteri che a loro volta reclutavano imprecisati e fantomatici mercenari».
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Per la Strage di Bologna, in cui morirono 85 persone, sono stati condannati, come esecutori materiali, cinque fascisti e, per depistaggio, diversi funzionari dei servizi segreti, dei Carabinieri e delle istituzioni.
Nella sentenza emessa qualche settimana fa dalla Corte d’Assise di Bologna, i giudici scrivono che ci sono “prove eclatanti” sul coinvolgimento, in veste di mandanti e organizzatori, di Licio Gelli, capo della loggia massonica P2, e di Federico Umberto D’Amato, capo dell’Ufficio Affari Riservati del servizio segreto italiano.
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La responsabilità di D’Amato è un altro dei tasselli processuali che confermano la tesi prevalente tra gli storici che si sono occupati della “strategia della tensione”, ossia che si trattò di una strategia eversiva che nacque dalle trame congiunte di neofascisti, servizi segreti, ambienti NATO, poteri occulti e politici di governo.
Giova ricordare che Federico Umberto D’Amato è stato insignito:
• della Bronz Star, una medaglia della CIA;
• della Medal of Freedon, del Congresso degli Stati Uniti;
• della medaglia della Legione d’Onore francese;
• del titolo di Grand’Ufficiale dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana.
A Federico Umberto D’Amato è intitolata una delle sale più prestigiose della sede NATO di Bruxelles.
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La NATO non ha mai difeso la democrazia, in Italia è piuttosto vero il contrario.
* da Facebook
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