In questi giorni sono pervenuti in redazione molti contributi sulla traiettoria e la morte di Silvio Berlusconi. Il berlusconismo, oltre che Berlusconi, vengono analizzati sotto diversi aspetti. Li abbiamo raccolti in questo inserto. Buona lettura
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Il vuoto che lascia Berlusconi
di Eros Barone
Silvio Berlusconi non è solo Silvio Berlusconi, una persona che ora è deceduta. Berlusconi è una sineddoche, “la parte per il tutto”. E da questo punto di vista Berlusconi va inteso nel senso del berlusconismo, tendenza sintomatica del capitalismo ‘popolare’ e compassionevole (vedi Trump negli Stati Uniti).
Ma Berlusconi è anche una metonimia, “l’effetto per la causa”. Alla fin fine, Berlusconi è la freccia segnaletica per indicare l’Italia attuale, il Paese che ha generato il personaggio che meglio, più compiutamente e più organicamente, lo ha rappresentato in questi ultimi trent’anni.
Naturalmente, dal punto di vista storico Berlusconi va considerato un prodotto, conseguenza di processi socio-economici e ideologico-culturali di lunga durata, non un dèmone saltato fuori chissà come, da chissà dove.
Ma Berlusconi è, soprattutto, una metafora: Berlusconi in quanto padre. Una metafora articolata su una funzione precisa all’interno di un ordine simbolico. O meglio: Berlusconi indica la fine del ricorso a tale metafora in seguito alla scomparsa di quella funzione simbolica.
Berlusconi, ora che fisicamente non c’è più, è dunque, dal punto di vista simbolico, un vuoto circondato di vuoto, un buco nel grande buco lasciato dalla scomparsa del padre.
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Il re è morto. Evviva il re!
Nunzio Di Sarno
Certo è morto un uomo.
Ma un uomo non è mai solo un uomo. È l’insieme delle idee che ha perseguito e delle azioni che ha compiuto. Sono quelle a creare il mondo in cui si ritrova a vivere.
E più grande il suo potere, più aumenta il riverbero di queste azioni, più il piccolo mondo del singolo diventa il mondo dei molti.
Le idee manifeste di Silvio Berlusconi erano in parte quelle dei rampanti anni ’80: l’uomo che si fa da sé, il self-made man all’italiana, che non ha bisogno di sostegni né dello Stato; che spinge per la privatizzazione di ogni risorsa più o meno materiale; che si gode la vita, con le belle donne, col buon cibo, con le auto e le squadre di calcio che compra a caro prezzo; che più che nei programmi politici, confida negli spot, più veloci, semplici e subliminali; che non crede nella collettività, se non come serbatoio di qualsiasi tipo di energia da sfruttare, ma nei personalismi; che non ha compagni, né camerati, ma tutti amici, uniti dal tintinnio che ridà la vista o la toglie a seconda dei casi; che usa la cultura come ornamento, distrazione o copertura; che sa bene quanto conta l’immagine e la comunicazione, perché è l’immagine che si vende, non il prodotto.
Una parte del paese, del paese reale come si dice, ha sempre saputo che Berlusconi non si era fatto da solo, ma doveva la sua scalata da un lato agli appoggi mafiosi e dall’altro ai favoritismi di personaggi, che ricoprivano ruoli di primo piano nell’apparato statale e non solo (Craxi fu solo uno dei tanti). Gli stessi che gli hanno permesso di occultare prove, piegare la legge a proprio uso fino al grottesco, evitare la galera e di rimanere in gioco fino ai suoi ultimi giorni di vita.
Questa parte vedeva da subito dietro i colori pastello del primo video réclame della discesa in campo, il ghigno e la violenza del predatore. Questa parte non dimenticava i giochi a quiz, l’erotismo di seconda serata, i cartoni animati per i più piccoli, le soap opera per anziani e casalinghe, i telegiornali leccaculo, i telefilm e i format d’esportazione per gli adolescenti.
L’american way of life, portata fin dentro ai salotti degli italiani. Salotti che pure gli operai si erano potuti permettere grazie alle lotte dei decenni precedenti. Quelle lotte che in parte erano defluite nei centri sociali, non trovando più nessuna forma di accoglienza e rappresentanza all’interno dei palazzi. Ed è proprio nei centri sociali,
negli ultimi gruppi extraparlamentari rimasti, in certe associazioni e cooperative sociali che riempivano il vuoto statale, nelle scuole e nelle università che abitava ancora un’alternativa culturale e politica, che si attaccava agli ultimi fili del ‘900.
Questi luoghi sembravano inattaccabili e la coscienza politica che si nutriva li rendeva impermeabili alla nuova propaganda. Chi non si faceva persuadere dal nuovo immaginario, ci riusciva perché ne aveva uno proprio, ancora caldo, vivo e comunitario.
Visto che le date possono facilitare a volte la comprensione, pur semplificando, potremmo dire che dopo il 2001, l’annus horribilis del G8 di Genova e dell’attacco alle Torri Gemelle, si sono sgretolati gli ultimi pezzi del vecchio mondo e con lui gli equilibri che li tenevano insieme.
La precarizzazione innestata, il susseguirsi delle crisi del capitalismo, i tagli sempre più massicci al welfare, l’aumento del controllo con la scusa del terrorismo, la diffusione dei social media, la perdita totale del potere contrattuale dei sindacati, la depoliticizzazione della vita in generale, l’inizio della sostituzione dei diritti sociali con quelli civili hanno aumentato miserie e solitudine.
In uno scenario in cui la cultura devitalizzata diventava orpello delle élite di sistema, la scuola aziendalizzata non formava più e l’informazione propulsiva accatastava dati alla velocità della luce, l’alienazione è diventata planetaria e interclassista.
Così l’uomo dell’ultimo ventennio è stato sempre più permeabile a quelle stesse idee di rampantismo e di edonismo di cui sopra. Dico uomo, proprio per la natura interclassista del fenomeno. E anche i pochi baluardi di lotta e cultura non erano più al sicuro, proprio perché avevano ormai perso le loro funzioni e si erano allontanati dal territorio.
“Lo spettacolo è il capitale a un tal grado di accumulazione da divenire immagine” – “Nel mondo realmente rovesciato, il vero è un momento del falso.”
Questi due concetti folgoranti, che da visionario, Debord riesce a captare sessant’anni fa, sono già incarnati nel Berlusconi degli anni ’90.
È infatti il primo che cura di continuo la sua immagine e usa quella degli altri a suo piacimento. Un trasformista, che prende su di sé l’ombra di un popolo, che nella delega sembra sollevarsi, non sapendo che nella separazione si stringe da solo il cappio.
Il primo a fregarsene della storia e a sguazzare in un eterno presente, in cui vero e falso si fondono. E la rincorsa dietro i dati non fa che farci affannare in un’attualità fuori dal tempo.
Berlusconi è stato l’incarnazione dello spettacolo che è in grado di assorbire qualsiasi forma di opposizione, facendola propria. Un blob con le paillettes. E gli spettatori non hanno capito che era lo spettacolo che li consumava. Lo stesso che ancora pagano a caro prezzo.
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Agiografia Oscura di un Re-Giullare
di Leonardo Morosini e Simone Zanello
Capitalismo Magico: “Come si diventa ciò che si è”.
30 agosto 1970, Camillo II Casati Stampa marchese di Casate, che da anni praticava voyeurismo, si rende conto che sua moglie Anna Fallarino si è innamorata di uno dei suoi amanti, il giovane Massimo Minorenti. Il marchese, armato di Browning cal. 12, decide di far fuoco sulla moglie, poi sull’amante e infine decide di rivolgere il fucile su sé stesso.
È sul sangue che poggia l’avvento di una delle, purtroppo, più importanti figure dell’Italia contemporanea: Silvio Berlusconi.
Della famiglia Casati Stampa sopravviverà solo la giovane orfana Anna Maria, il cui protutore era Cesare Previti, avvocato missino e figlio di uno dei prestanome di Berlusconi. Anna Maria Casati deciderà di affidarsi al proprio protutore per vendere Villa San Martino, la “reggia” di famiglia.
Previti, perciò, guiderà l’acquisto-truffa da parte di Berlusconi di Villa San Martino, valutata oltre 1mld e mezzo di lire, ma venduta per soli 500 milioni all’imprenditore milanese, tra l’altro in titoli azionari di società non quotate in borsa, dunque carta straccia. Sotto consiglio di Previti, Anna Maria venderà allo stesso Berlusconi i titoli per 250 milioni di lire.
Da quel 1973, anno della truffa per l’acquisto della villa di Arcore, le azioni criminali del Cavaliere andranno moltiplicandosi, intrecciandosi e intrecciando perfettamente le sue molteplici identità; imprenditoriale, politica, televisiva, mafiosa, tragicomica, giullaresca, libidinale, securitaria, fascista, statalista, anarchica e così via…
Separare tali identità, come proposto in questi giorni di festa da sedicenti pensatori del teleschermo, tra cui anche Cacciari, è un grossolano errore. Berlusconi era un imprenditore e politico, non vi è disgiunzione tra le sue identità, il suo fare politica era un fare impresa, divenendo così la più alta e avanguardistica incarnazione dello zeitgeist neoliberale, al di là di Thatcher e di Reagan, dove neppure Trump è riuscito ad arrivare in tempi più recenti.
Così come le identità si sono perfettamente mescolate tra di loro in un’unica malefica entità, quest’ultima si è mescolata e sovrapposta alla storia italiana e non solo. È sempre in quel fatidico 1973 che Berlusconi, tramite tangenti e oscuri rapporti con l’allora Democrazia Cristiana, riesce a far deviare i voli di Linate poiché passavano sopra le case vuote ancora da vendere della neonata Milano 2.
Da quel momento le rotte saranno spostate sopra Segrate, disturbando e angosciando gli abitanti, fino a spingerli a indagini dal basso e alla costituzione di un “comitato anti-rumore”.
“Scendere in campo per il bene del Paese”
Dal 1973 al 26 gennaio 1994, giorno della discesa in campo di Berlusconi, i rapporti tra l’imprenditore e la politica della prima repubblica non si fermeranno mai, toccando gli uomini e i partiti politici più importanti dell’epoca, come il PSI di Craxi, il quale, tramite il controverso “Decreto Berlusconi” del 1984, diede un grande aiuto per la trasmissione su tutto il territorio nazionale delle emittenti di Fininvest.
Alla luce di tali rapporti, risulta assurda la pretesa del Cavaliere di rivolgersi agli elettori in quanto attore politico di rottura con il sistema dei partiti. Ciononostante, la prima grande ondata di consenso rivolta a Forza Italia era dovuta proprio alla capacità di incanalare il fattore emotivo; allora si parlò di un voto di protesta come reazione agli scandali di tangentopoli.
Da grande manipolatore e mistificatore, Berlusconi riuscirà perfettamente a dosare le passioni politiche di un paese stremato dalla lotta alla mafia e da grandi mutamenti storici. L’agire politico che lo contraddistinguerà sarà sempre rivolto a un sapiente uso tanto della libido che del controllo securitario: dall’abolizione delle tasse al massacro del G8 di Genova.
È dunque tramite una biografia dell’oscuro demiurgo -o un’agiografia viste le santificazioni a reti unificate Mediaset e Rai- che è possibile tracciare i rapporti più intricati tra la storia del nostro paese e la messa all’opera della controrivoluzione neoliberale, una controrivoluzione che non si conclude con la morte di uno dei suoi principali attori ma che continua e che continuerà finché non saremo in grado di passare al contrattacco.
Fenomenologia del Re-Giullare
Il giullare di corte, nel Medioevo, era una figura liminale: al contempo servo fedele e implacabile critico del potere regale, egli occupava tale posizione intermedia operando una serie di sovversioni satiriche precluse alle altre soggettività che animavano tanto la vita di corte quanto quella della popolazione.
Era, ovviamente, una sovversione ben normata e delimitata quella del giullare, che la esercitava entro confini chiaramente disegnati dal potere vigente.
Eppure, permaneva in lui quello statuto di intoccabilità del riso, della satira e della comicità di cui era custode e attore, che lo rendeva del tutto differente rispetto a qualsiasi altra figura, un’intoccabilità così radicale da riuscire a mantenersi nonostante la posizione dialettica che occupava rispetto al re.
Margaret Thatcher e Ronald Reagan non sono stati di certo giullari di corte: malgrado la differenza nello “stile” politico, U.K. o U.S.A. oriented, entrambi hanno celebrato le virtù della famiglia tradizionale, della moralità borghese e dell’etica puritana dell’ascesa/ascesi imprenditoriale.
Di fianco a una politica economica di svendita integrale del welfare a grandi aziende private, di armonizzazione del potere statale con la finanza e con il nuovo capitalismo monopolistico, di venerazione quasi religiosa della verità dei mercati, le due principali incarnazioni politiche dell’agenda neoliberista si sono insomma sempre caratterizzate per un’attenzione all’aspetto morale e moralistico della loro politica interna, sia dal punto di vista culturale che più strettamente propagandistico, fino ad arrivare a manovre biopolitiche ed eugenetiche che meriterebbero un approfondimento a parte.
Delle innumerevoli incarnazioni del nefasto progetto neoliberale, quella italiana salta però subito agli occhi perché, al contrario degli illustri predecessori anglo-americani, questa è comica: Silvio Berlusconi sembra, a un primo sguardo, un giullare di corte.
Dalla più recente proliferazione di meme in rete fino a ritornare agli scandali sessuali, passando per quell’infrastruttura grottesca chiamata Mediaset, quello che andava in scena con la figura del Cavaliere non era di certo un rigido rigorismo morale quanto, piuttosto, l’eccesso sfrenato e sguaiato di un personaggio sempre pronto a ridere e a far ridere di fronte alle criticità che su di lui e sulla sua azione politica, oltre che giudiziaria, emergevano.
Berlusconi non era un leader morale e, pur sdoganando e stringendo alleanze strategiche con forze politiche tradizionaliste e reazionarie, non si è mai troppo sforzato di apparire moralista o puritano.
Milano, prossima fermata Dystopia
L’utopia berlusconiana è la penultima tappa della schizostoria deleuze-guattariana, un’orgia di allucinazioni causate dal mix di denaro e cocaina che si riversava su una Milano da bere in cui la mercificazione integrale dell’esistenza umana galoppava attraverso le frequenze televisive, attraverso gli spot di Fininvest, nei modelli di umanità che plasmavano generazioni di abietti, nei corpi determinati dal consumo posizionale e identitario tanto di oggetti quanto di messaggi e informazioni. Il sogno berlusconiano è l’incubo de-realizzato delle classi subalterne, un realismo capitalista con una nota in più: la risata.
Nell’impero Berlusconi si ride, si ride tanto, forse si ride troppo. Razzismo, sessismo, omobilesbotransfobia, sfruttamento economico, povertà, violenze sessuali, sono stati normalizzati negli anni come simpatici siparietti che avevano un solo scopo, far ridere. Ecco che allora i confini si sfumano, il re si confonde pericolosamente con il giullare, entrambi fanno ridere e, dunque, entrambi sono intoccabili.
Questa traslazione serve, ovviamente, a mistificare e rimuovere l’unico aspetto potenzialmente sovversivo delle pratiche giullaresche, ovvero la posizione almeno teoricamente opposta del giullare rispetto al re. Se, invece, il re diviene giullare e il giullare diviene re, non esiste più alcuna dialettica, alcuna contestazione, alcuna critica ad un potere che ride e fa ridere, che decreta quando, come, e di cosa si ride.
In Morte di Silvio Berlusconi, o dell’arte di sconfiggere uno Zombie!
Il re-giullare è morto, dopo un periodo senza dubbio di progressiva decrescita del suo potere politico, culturale e sociale.
La sua televisione e le masse di creature lobotomizzate che ha plasmato, la sua politica economica padronale che ha impoverito e fiaccato la classe operaia, la sua repressione poliziesca e brutale che ha tentato di stroncare una volta e per sempre i movimenti antagonisti e chiunque si battesse per un mondo diverso da quello dell’agenda neoliberista; e ancora, la mentalità imprenditoriale del passare sopra ad ogni cosa, l’umiliazione sistematica e integrale del corpo di tutt*, oltre che la sua modellizzazione intorno a standard irreali e frustranti, lo sdoganamento dei neonazisti che attualmente sono al potere in Italia; questo è molto altro è però ancora vivo.
Diceva Benjamin che “neppure i morti saranno al sicuro dal nemico, se vince. E questo nemico non ha smesso di vincere”. Quella contro l’eredità berlusconiana è una lotta che non si deve fermare nemmeno nel giorno della sua morte: è in primis una lotta storica, che consiste nel dire chiaramente le posizioni politiche dello zombie Berlusconi, neoliberista, capitalista e alleato del capitalismo finanziario, nemico giurato della classe operaia e di tutt* l* subaltern*; ma è anche una lotta politica, contro le sue infrastrutture, contro i suoi scagnozzi, lacché e eredi; è infine, e forse soprattutto, una lotta libidinale, una lotta di “decolonizzazione” di un desiderio piegato a logiche di assoggettamento, violenza e dispotismo.
Si tratta, insomma, di smettere di desiderare come strategicamente determinato da infrastrutture psichiche quali Mediaset per aprirsi a tutt’altro.
Quando muore un re piangono i suoi alleati, dunque guardatevi da chi oggi piange, dalle lacrime di chi ha reso possibile quanto descritto fino a qui, dal cordoglio borghese della nuova segretaria del PD e dalla sua complicità con un mondo infame e distopico.
Noi invece, oggi come sempre, stiamo dalla parte di chi festeggia, anche sulla tomba dei morti: perché di certi nemici non bisogna avere alcun rispetto, umano o politico esso sia; perché averne significherebbe abbassare la guardia verso un realismo capitalista che non muore con la morte di uno dei suoi esecutori materiali; perché, dopo anni di risate in faccia ai movimenti e a tutt* l* subalternità, oggi ridiamo noi!
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