Menu

Storia di Giorgio Napolitano: riformista, crociano, liberista

La vita politica di Giorgio Napolitano riassume ed estremizza tutti gli aspetti più negativi che hanno caratterizzato la formazione culturale del gruppo dirigente del Pci del dopoguerra.

Origini alto borghesi addirittura con quarti di nobiltà. Il padre, un avvocato liberale e poeta; la madre, Carolina Bobbio, figlia di nobili piemontesi trapiantati a Napoli. Circostanza che ha alimentato negli anni voci mai confermate su presunti legami di sangue con la famiglia Savoia che avrebbero investito la reale paternità del piccolo Giorgio.

Formazione culturale crociana, studi di giurisprudenza con una laurea in economia politica e una tesi sul mancato sviluppo economico del Meridione. Militanza giovanile nei Guf, i gruppi universitari fascisti.

Insomma il classico cursus honorum di un giovane rampollo della buona borghesia partenopea che ha vissuto la sua prima gioventù sotto il regime fascista senza particolari tormenti.

Nel 1945 entra a far parte del Partito comunista in una Napoli già insorta e occupata dalle truppe angloamericane. L’alto livello culturale gli apre subito la strada nel gruppo dirigente locale: nel 1947 viene inviato a guidare la federazione di Caserta per farsi le ossa prima di diventare deputato nel 1953 e restarlo ininterrottamente fino al 1996, per poi passare al parlamento europeo, essere nominato senatore a vita nel 2005 e assumere per due volte la carica di Presidente della repubblica dal 2006 fino alle dimissioni del maggio 2015.

E’ stato anche Presidente della camera e ministro dell’Interno del primo governo Prodi dal 1996 al 1998.

Riformista, crociano e liberista

Lo stile felpato, l’atteggiamento prudente, il linguaggio forbito, il perfetto controllo della lingua inglese, lo hanno reso da subito un cavallo di razza non solo nel Pci ma nella scena politica italiana.

Moderato politicamente è cresciuto all’ombra della scuola politica di Giorgio Amendola incarnando le tradizionali linee guida della destra del partito: un iniziale filosovietismo in politica estera sfumato dopo i fatti di Praga del 1968.

Nel 1956 appoggiò la repressione sovietica in Ungheria e pronunciò il discorso di espulsione dal partito del dissidente Antonio Giolitti; a cui chiese scusa, omaggiandolo, una volta salito al Quirinale; grande attenzione, invece, in politica interna per i ceti produttivi, i circoli finanziari, la grande borghesia e le ricette economiche liberali.

Quando fu responsabile economico del Pci negli anni dell’austerità berlingueriana predicava i “sacrifici” per la classe operaia come soluzione alla crisi economica.

Nemico feroce della sinistra interna che sconfisse nell’XI congresso del 1966, detestava l’operaismo politico ritenuto una forma di estremismo che rasentava il sovversivismo. I tratti liberali della sua formazione culturale lo resero allergico al giustizialismo, anche se questo non gli impedì di essere un feroce sostenitore dell’emergenza giudiziaria antisovversiva.

Da capogruppo dei deputati del Pci nel 1994 lanciò la stagione della dietrologia con una mozione parlamentare divenuta il manifesto del complottismo sul sequestro Moro, atteggiamento che rinforzò negli anni della sua permanenza al Quirinale quando inaugurò la giornata della memoria delle vittime del terrorismo e delle stragi, il 9 maggio 2008, con un discorso che avviava la stagione della vittimocrazia, attribuendo ad associazioni vittimarie accreditate l’amministrazione della memoria pubblica del decennio ’70 e decretando il bavaglio per gli ex militanti, prigionieri ed ex prigionieri della sinistra armata e sovversiva dell’epoca.

Il battesimo negli Usa

Il punto di svolta della carriera politica di Napolitano risale tuttavia ai giorni del sequestro Moro, al mese di aprile del 1978 quando fu autorizzato a tenere un ciclo di conferenze in alcune università degli Stati Uniti, incontrare circoli politici, culturali e finanziari americani.

Primo dirigente comunista occidentale autorizzato ad entrare negli Usa in quanto tale e non in una delegazione parlamentare, come era già avvenuto per altri prima di lui.

Il retroscena di quel viaggio che potete leggere di seguito (qui) fu  a lungo ed elaborato, con un visto rifiutato tre anni prima.

Quella missione ebbe una importanza decisiva nella successiva carriera politica del futuro capo della corrente «migliorista» del Pci. Napolitano, che bruciò sul tempo Berlinguer, anche lui invitato negli Usa al pari Carrillo (leggi qui), il segretario del Partito comunista spagnolo, per spiegare cos’era l’eurocomunismo, ebbe il compito di chiarire all’establishment statunitense cosa era diventato il Pci, cosa avrebbe fatto in caso di vittoria elettorale, tranquillizando investitori e politici nordamericani sulla fedeltà atlantica dei comunisti italiani e sulla tutela delle libertà economiche e della proprietà privata, ricevendo il placet Usa sulla linea della fermezza da tenere durante il sequestro del leader della Dc Moro da parte delle Brigate rosse.

La doppiezza culturale di Napolitano

Nel corso del viaggio emerse con forza tutta la doppiezza politica di Napolitano e del gruppo dirigente del Pci: la doppia morale e il doppio linguaggio.

Napolitano incontrò in gran segreto Gianni Agnelli nella sua casa di Park Avenue a New York. L’episodio, omesso dal resoconto apparso su Rinascita al suo ritorno, fu ignorato anche dal corrispondente dell’Unità Jacoviello. Elettori e militanti del Pci non dovevano saperlo. Napolitano rivelò la circostanza, che diede il via ad una consuetudine tra i due, solo nel 2003, alla morte di Agnelli.

Il viaggio negli Usa aprì al futuro presidente della Repubblica l’ingresso in circoli molto riservati, salotti dove esponenti politici, statisti e uomini della finanza più influenti, i decisori del mondo, si incontravano e discutevano.

Dopo il viaggio negli Usa per Napilitano si aprirono anche le porte dell’ambasciata Usa per incontri riservati, tenuti anche con Pajetta, e il cui contenuto sia l’ambasciatore dell’epoca Gardner che lo stesso Napolitano riferivano unicamente di persona ai loro rispettivi superiori: il capo del Dipartimento di Stato e il presidente Usa per Gardenr, il segretario del Pci Berlinguer per Napolitano.

Se c’è un aspetto che riassume la storia politica di Giorgio Napolitano è questo elitismo, questa visione oligarchica, inside, di una politica per soli eletti.

Visione antica, liberale, predemocratica nella quale Napolitano si trovava a suo agio.

* da Insorgenze.net

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

2 Commenti


  • . Binazzi Sergio

    e lo chiamavano ” compagno “. un bel coraggio, avrei preferito se ne fosse andato nel lontano 72/73 ,non ricordo di preciso, quando entrai nel pci.


  • Stefano De Stefano

    Per carità, lungi da me difendere Benedetto Croce! Ricordo solo che Croce si schierò apertamente contro il Concordato sia nel 1929 che in sede di approvazione della Costituzione e che sottolineò, nei suoi scritti, che il liberismo è una cosa e il liberalismo un’altra e non è detto che le due posizioni teoriche (liberismo e liberalismo) debbano sempre coincidere. Si può essere d’accordo o no con Croce ma mi sembra proprio che il filosofo abruzzese in confronto a Napolitano sia quasi un radicale estremista.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *