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L’ombra del “governo tecnico” aleggia di nuovo

In Italia, da quasi venti anni, un governo claudicante ha sul capo una minaccia pronta a calare in qualsiasi momento: “i tecnici”.

Non importa quanto sia grande la maggioranza raccolta alle elezioni – cui partecipa ormai quasi una minoranza degli aventi diritto -, quando i problemi si rivelano irrisolvibili ecco che quella minaccia diventa concreta.

Non c’è una tempistica esatta, ma in genere da quando “l’ipotesi” viene nominata a quando il fatto si verifica passano alcuni mesi.

Giocando come al solito a fare dei suoi handicap dei punti di forza, Giorgia Meloni ha osato nominare per prima pubblicamente quel mormorio che da qualche mese girò per il “palazzo”, senza troppo distinguere – al suo interno – tra maggioranza e opposizione.

È una cosa che non ci preoccupa, l’Italia e solida e cresce di più della media europea. E poi un Governo tecnico da chi dovrebbe essere sostenuto, da quelli del superbonus? Quello sì sarebbe un problema per i conti. So leggere la politica e so leggere la realtà: la sinistra continui a fare la lista dei ministri del governo tecnico, che noi intanto governiamo.

I giornali della sua area si concentrano sui dettagli, chiamando in causa come “padrini della sinistra”, vere menti del “pensato golpe”, nientepopodimeno che gli “Agnelli che soffiano sullo spread” (Il giornale), o “il barchino dei tecnici” (Libero). E via complottando per le spicce

Lo schema, in effetti, appare sempre lo stesso. Un governo apertamente di destra (e questo è il più a destra della storia recente, praticamente fascioleghista) va in difficoltà sull’economia e il debito pubblico, si comincia a scontrare con “l’Europa” (soprattutto con Francia e Germania, che vi detengono la golden share) e vede salire lo spread rispetto ai titoli di stato di quei paesi. Segno certo che “i mercati”, prima neutrali, cominciano a diffidare della sua tenuta e così facendo ne accelerano la caduta.

L’evento più noto è sempre il 2011, con la lettera scritta da Jean-Claude Trichet e Mario Draghi (presidenti uscente e entrante della Bce) per indicare dettagliatamente le “riforme” che l’Italia avrebbe dovuto rapidamente fare, le contorsioni dell’esecutivo Berlusconi per far finta di obbedire facendo diversamente, fino a quando – a dicembre – il Caimano rassegnò le dimissioni stretto nella tenaglia dello spread a 575 punti e soprattutto del crollo delle azioni Mediaset del 12% in poche ore. Subentrò Monti, com’è noto…

La situazione oggi è piuttosto diversa: tutta Europa è ancora in crisi economica, anche a causa del supporto all’Ucraina, attraversata da flussi migratori imponenti (soprattutto di ucraini in fuga dalle bombe e dal servizio militare, però), il picco dello spread è arrivato appena l’altro giorno a 200 punti, l’Italia è uno dei servi più fedeli degli Usa sul piano militare, nessuno dei partner europei è in condizioni tali da poter dettare legge come allora (meno di tutti Berlino, vero bersaglio della strategia Usa).

Com’è possibile che ci sia la tentazione di un replay del 2011 e che sia anche credibile?

Se i “capi della sinistra” sono individuati nella famiglia Agnelli-Elkann si capisce che la devastazione mentale è arrivata a un punto da ictus. E buona parte delle ragioni che stanno portando all’harakiri della classe politica sono le stesse che hanno prodotto la maggioranza che sostiene il governo Meloni e stanno ora preparando la sua dissoluzione.

Si chiamano crisi ambientale, economica, demografica, guerra, e anche flussi migratori di crescente ampiezza. Problemi “sistemici” che vengono affrontati con un impasto maleodorante di ignoranza, furbizia, incompetenza, improvvisazione, fame di potere e cecità strategica.

Che il governo Meloni abbia fatto degli sbarchi e delle navi ong il “cuore” della polemica con la Germania è quasi una dimostrazione di quelle “doti” appena elencate.

Si può certamente nascondere al “popolo bue” che le navi ong raccolgono appena il 5% dei migranti in mare (una cifra che certo non può fare di loro “la causa” dei maggiori arrivi). Si può altresì nascondere che, tra tutte le navi ong battenti bandiera tedesca, solo una – la Sos Humanity – abbia ricevuti fondi dal governo di Berlino (una sgrammaticatura, certo, ma non una strategia, quindi risibile come casus belli).

Si possono accusare i “poteri forti” di essere “di sinistra” e volere un altro governo, ma solo un gruppo di dementi può seriamente pensare (che sia vero e) che gli eventuali vantaggi elettorali di questa sequela di fesserie possano valere di più di una tranquilla mediazione – il compromesso è la regola nei rapporti interstatuali fissati nei trattati – su argomenti decisamente secondari (l’accoglienza dei migranti raccolti in mare).

Il quadro reale in cui agisce qualsiasi governo continentale è noto, e non è cambiato se non per un dettaglio decisamente importante: l’autonomia strategica dell’Unione Europea è stata fortemente ridimensionata dalla scelta Usa di far esplodere qui la guerra.

Un evento che ha fortemente “perturbato” la governance europea, già stressata da due anni di pandemia, costringendola a contrattare regole un po’ differenti da quelle definite da Maastricht in poi.

Ma sempre in quel quadro un qualsiasi governo deve muoversi. L’aveva sperimentato duramente la Grecia nel 2015, con tutt’altro governo (e il fatto che un broker statunitense di Goldman Sachs sia diventato ora il nuovo segretario di Syriza dimostra quanto profonda sia stata la “militarizzazione subordinata” della classe politica ellenica).

L’aveva sperimentato anche il governo “giallo-verde” tra grillini e leghisti, durato appena un anno e subito “tecnicizzato” grazie a un gigantesco errore di calcolo di Salvini (i sondaggi sono una droga pesante…). Molto simile a quello che sta facendo ora Meloni.

E’ infatti l’idea che sulle questioni fondamentali (economia, bilancio degli Stati, privatizzazioni, cessione di asset strategici, ecc) sia possibile stabilire politiche nazionali differenti da quelle comunitarie.

Diciamolo meglio: se hai la potenza economica di Germania e Francia (molto meno la seconda), puoi giocarti meglio le carte dell’”interesse nazionale”, mediando poco o nulla o appena quanto basta. Se non hai quella forza, non hai molto spazio di manovra.

Ed è ovvio che quella “forza” non è una forza solo “nazionale” nel senso del passaporto, ma sostanziata da gruppi multinazionali – finanziari, industriali, tecnologici – che hanno l’Europa come teatro principale del proprio business e se ne servono (o tentano di farlo) per accrescere la propria “competitività” nel mondo.

Potenze che si misurano in migliaia di miliardi da muovere sui “mercati” determinandone le dinamiche, spesso in modo anche per loro incontrollabile. E a cui non puoi certamente opporre il “peso” di miserabili interessi privatistici di imprenditori di quinta fila, “balneari”, commercianti, evasori fiscali, immobiliaristi e costruttori del “quartierino”. Ossia gli interessi della vera “base sociale” di questo governo.

Questo quadro condiziona ovviamente anche qualsiasi ipotesi – un sogno, nelle condizioni odierne – di una vera “sinistra alternativa” in grado di raccogliere nuovamente i consensi popolari e proporsi a sua volta come governo del paese.

Si troverebbe – ci troveremmo – nella stessa identica posizione della Meloni: condizionati, spuntati nelle decisioni fondamentali, circondati e infine rovesciati (chiedete a Tsipras e Varoufakis, per conferma).

Ne deriva che un qualsiasi programma di cambiamento sociale – seppur diverso ed opposto ai pasticci inverecondi della destra fascioleghista – diventa possibile solo fuori da questo sistema costrittivo di alleanze internazionali (Unione Europea e Nato).

Il che significa, contemporaneamente, stringere accordi quantomeno commerciali e industriali con altre alleanze, meno invasive (il mondo dei Brics si va allargando proprio per questo).

Ce li vedete voi una Meloni e un Salvini – la loro vera “base sociale” – rompere con le filiere tedesche e la Nato per muoversi in sinergia con Cina, India, Brasile, ecc?

No, ovvio.

Le loro attuali preoccupazioni “internazionali” vanno dal tentativo di essere accettati nella “destra moderata europea” (Meloni) a quello di costruire un blocco neofascista vero e proprio (Salvini) con Le Pen, l’Afd tedesca, estremisti vari dell’Est europeo.

Due “strategie” differenti che terremotano i rapporti all’interno della maggioranza, ma che si risolverebbero o nella “continuità totale” con gli esecutivi precedenti o con la “balcanizzazione” delle istituzioni continentali, per inseguire semmai una più ferrea subordinazione agli Usa.

E dunque la sciabola pendente del “governo tecnico” comincia inevitabilmente a scendere. Per tagliare le stupide illusioni che basti “picchiare i pugni sul tavolo” per raccogliere qualche risultato.

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2 Commenti


  • Walter

    E magicamente, le privatizzazioni e le scelte difficili.


  • E Sem

    Non basta la continuità politica ed economica, marcatamente supina al capitalismo mafioso internazionale, per pararsi il sedere dagli inevitabili incidenti di percorso. Di delinquenti economici e’ pieno il mondo e purtroppo, anche alla signora (che mirabilmente sta portando avanti un discorso antinazionale suicida con enfasi nazionalistica) capita spesso di pestare i piedi a qualche mammasantissima. Gli aggiustamenti in corso d’opera sono sempre possibili, l’ unico guaio e’ che quando assumi posture servili imbarazzanti aumenta l’ aspettativa di prestazioni innaturali e le cose si complicano.

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