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Scuola. Educare e non militarizzare

Intervista con Antonio Mazzeo. Insegnante, peace-researcher e giornalista impegnato nei temi della pace, della militarizzazione, dell’ambiente, dei diritti umani, della lotta alle criminalità mafiose.

Mazzeo ha ricevuto il “Premio G. Bassani – Italia Nostra 2010″ per il giornalismo e a Roma l’ottobre 2020 è stato premiato dall’Archivio Disarmo con la “Colomba d’oro per la Pace” quale riconoscimento “per aver interpretato per anni il giornalismo e la scrittura come una missione di difesa dei diritti umani e di denuncia delle ingiustizie“.

Attualmente assistiamo a un fenomeno ormai sempre più dilagante nelle scuole e nelle università.

In questi istituti non vi è più spazio per i partigiani e per coloro che testimoniano la trasmissione generazionale delle idee antifasciste, ma la scuola e l’università diventano teatro sempre più emblematico e eclatante delle forze armate che impongono i disvalori più retrivi e reazionari del superego dell’eroe e della razza, del primato dell’individualismo, della violenza soprattutto, della competizione a oltranza e dell’annientamento dei più fragili del pianeta.

Tutti disvalori di una subcultura arretrata e atavica che sono accomunati alla mentalità reazionaria del ventennio più oscurantista e terrificante del novecento. Basti ricordare l’istruzione imposta ai giovani balilla all’epoca del duce e in nome di un indottrinamento di barbarie e violenza.

Puoi commentare queste affermazioni in quanto docente che si oppone a questi disvalori e all’attuale subcultura guerresca e militarista dominante?

Sì, fai bene a porre l’attenzione su uno degli aspetti più deleteri dell’odierno processo di militarizzazione delle scuole di ogni ordine e grado e del sistema educativo: il revisionismo storico e la riproposizione della narrazione e dei disvalori che hanno caratterizzato l’istruzione del ventennio fascista.

Patria, nazione, identità e unità nazionale, sicurezza, rispetto della “legalità” e obbedienza sono tornate ad essere le parole d’ordine delle innumerevoli iniziative “formative” che le forze armate propongono alle studentesse e agli studenti.

Si rispolverano presunti eroi di tutte le guerre (perfino le figure più ignobili della Repubblica sociale italiana), se ne esaltano le gesta di morte, si commemorano sanguinose battaglie coloniali e di contro si occultano i crimini commessi, le sanguinarie aggressioni contro le popolazioni, i bombardamenti con i gas sui villaggi in Africa, le inutili stragi di milioni di giovani mandati a fare da carne da macello per gli interessi del capitale e le follie dei dittatori. E intano la scuola italiana diventa sempre più autoritaria, classista e discriminante.

Come puoi commentare queste riflessioni alla luce di ciò che avviene nelle scuole e nelle università sempre più militarizzate e con la presenza delle forze armate?

Nelle nostre scuole è sempre più difficile proporre e sperimentare progetti di educazione alla pace e alla nonviolenza. Direi pure che è diventato quasi impossibile porre all’attenzione di dirigenti e colleghi la necessità di de-militarizzare i linguaggi e le attività curriculari.

All’ultimo collegio dei docenti ho avuto l’ardire di chiedere di ridenominare un dipartimento incautamente chiamato “sicurezza e legalità”. Perché non pensiamo a un gruppo di lavoro sull’educazione nonviolenta?, ho proposto.

I ragazzi devono imparare a rispettare le leggi, l’autorità e le istituzioni che le difendono come le forze armate e di polizia, mi è stato risposto. E a stramaggioranza la richiesta è stata respinta.

Questo è il clima che ormai si respira in buona parte degli istituti. Siamo del resto in guerra, una guerra globale e permanente. L’economia è di guerra e pure i media, le forze politiche, gli attori sociali hanno deciso d’indossare l’elmetto.

La scuola è da sempre lo specchio delle tensioni e delle contraddizioni della società. E dunque anche la scuola va alla guerra.

Come e in quali modalità questo processo di militarizzazione, che si sta diffondendo in maniera esponenziale, si manifesta?

Purtroppo sono innumerevoli le forme che testimoniano il processo in atto: visite guidate degli studenti (fin dalla primaria) alle caserme e ai porti e aeroporti militari; lezioni dei militari su quasi tutti i temi e gli argomenti interdisciplinari (Storia, Costituzione, salute, sport, contrasto alla droga e ai comportamenti definiti devianti e altro ancora); stage e alternanza scuola-lavoro all’interno delle infrastrutture di morte, nei depositi di missili e munizioni, a bordo di caccia e carri armati, nei poligoni inquinanti, nelle industrie belliche.

Ci sono poi i tanti concorsi a premi promossi dal ministero della Difesa e dalle grandi holding delle armi e della cyber security (Leonardo, Fincantieri, Boeing), i campi estivi con gli alpini e i reparti d’élite della Marina, le lezioni in lingua inglese con i Marines Usa che operano nelle installazioni che occupano i nostri territori.

In tanti istituti si celebra l’inizio dell’anno scolastico con l’alzabandiera e il canto dell’Inno di Mameli, fianco a fianco con i militari e la mano al cuore.

La nonviolenza e il diritto al disarmo nucleare sono ancora valori proponibili nei contesti educativi?

Dicevo che è sempre più complicato proporre la pace, la nonviolenza e il disarmo e non rischiare l’isolamento o la commiserazione. Ma dobbiamo continuare a farlo perché è in gioco il futuro stesso di tutte e tutti noi.

All’orizzonte si profilano le tetre nubi dell’olocausto nucleare e siamo chiamati al diritto-dovere alla resistenza per la sopravvivenza. Dobbiamo continuare a educare alla vita e per la vita, contro vento e maree, pur consapevoli delle nostre fragilità e del clima culturale di morte imperante.

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