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La “Commissione Moro 2” finisce indagata dalla Corte europea di Strasburgo

Lunedì 4 dicembre, ore 16, presso Associazione della Stampa Estera via dell’Umiltà 83c, 00187 Roma la giornalista Brigit M. Kraatz presenterà il suo ricorso contro lo Stato italiano per averla sistematicamente calunniata in due relazioni parlamentari, “Pellegrino” (Comm su stragi e terrorismo) e “Fioroni” (Comm Moro 2) e nella recente sentenza di condanna contro Bellini per la strage di Bologna

Quando nel 2014 il democristiano Giuseppe Fioroni, allora parlamentare del Pd, si insediò alla presidenza della seconda Commissione d’inchiesta parlamentare sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro non pensava certo che l’attività della sua commissione sarebbe finita sotto giudizio davanti alla Corte europea di Strasburgo.

Gli auspici era ben altri: l’inevitabile gloria politica che gli sarebbe venuta per aver “finalmente disvelato” – come prometteva – la verità sul sequestro dello statista democristiano sequestrato dalle Brigate Rosse nel marzo 1978 e ucciso dopo 55 giorni perché il suo partito, la Dc, insieme al Pci, non vollero trattare, e il conseguente inarrestabile slancio politico per la sua ulteriore carriera istituzionale.

Niente di tutto questo è accaduto. La Commissione si è persa in un labirinto infinito di ipotesi complottistiche senza esiti e senza produrre una relazione finale. Al fallimento politico della sua missione parlamentare si sono aggiunte polemiche e una serie di querele per calunnia contro alcuni suoi membri.

L’onta finale è stata la stroncatura politica che ha messo fine alla carriera parlamentare di Fioroni. Ed oggi, come se non bastasse, arriva anche il ricorso davanti alla corte di giustizia europea di Strasburgo, presentata dalla signora Birgit M. Kraatz, una giornalista tedesca molto nota in Italia tra gli anni ’70 e ’90, corrispondente delle maggiori testate giornalistiche e della Tv nazionale di Germania.

Una giornalista che per un intero trentennio ha coperto l’informazione politica italiana, intervistando tutti i maggiori esponenti politici della penisola: segretari di partito, figure di primo piano dell’industria e dell’economia.

Come abbiamo già raccontato in passato (vedi qui, qui, qui), il nome della signora Kraatz è indicato nell’ultima relazione che chiudeva il terzo anno di lavori della commissione come esponete di una formazione sovversiva tedesca, il «movimento politico 2 giugno» (Bewegung 2 Juni), responsabile di varie azioni armate e del rapimento dell’esponente della Cdu, Peter Lorenz, nel febbraio del 1975.

Una intensa attività investigativa è stata condotta da diversi consulenti della commissione Moro 2 per assecondare questa tesi, un incidente clamoroso, una gaffe gigantesca, ostinatamente ripetuta nonostante tutte le evidenze mostrassero il contrario.

L’identità politica artefatta attribuita alla giornalista Kraatz serviva a dimostrare che Aldo Moro nei momenti successivi al sequestro sarebbe stato condotto nel complesso residenziale di via dei Massimi 91, nel quartiere della Balduina, vicino alla zona del rapimento, dove all’epoca viveva anche Kraatz, per sostarvi in quella che sarebbe stata la sua prima prigione e successivamente essere trasferito.


Nulla di tutto questo è mai stato vero, come mai la giornalista Kraatz è appartenuta al «movimento politico 2 giugno». Una calunnia contro la sua persona utile ad alimentare una gigantesca fake news.

A ribadirlo ci sono due documenti della Bka, la Bundeskriminalamt, ovvero la più alta autorità di polizia tedesca, l’Ufficio della polizia criminale, che in due diverse occasioni su sollecitazione della signora Kraatz e dei suoi legali, ha precisato la più totale estraneità della donna con le vicende della formazione politica sovversiva «2 giugno».

Alcuni documenti sono stati inviati, tra il febbraio e l’ottobre 2018, alla Commissione con richiesta di correggere quanto affermato nella relazione finale.

Brigit M. Kraatz ha anche scritto all’allora presidente della Cm 2, Fioroni, e a tutte le più alte cariche dello Stato, i due presidenti della camere e il Presidente della Repubblica, senza mai ottenere risposta e senza che la sua richiesta di correzione della grave calunnia nei confronti della sua persona ottenesse soddisfazione.

Oltre al danno si è infine aggiunta una beffa clamorosa: nelle motivazioni della sentenza di primo grado che condannava all’ergastolo il neofascista, legato ai ‘Servizi’, Paolo Bellini, per la strage di Bologna, il nome della Kraatz è stato indicato nuovamente come esponente del «movimento 2 giugno».

Non solo le sue richieste di correzione non sono mai state prese in considerazione, ma la calunnia è stata reiterata, estesa fino ad esser inclusa in una sentenza, sigillo di una nuova “verità giudiziaria” che va ad aggiungersi a quello politico-parlamentare.

Due verità che tuttavia contrastano con quella storica.

Tra l’altro, solo in questi giorni, dopo le richieste pressanti della Kraatz e un articolo che denunciava la vicenda, i documenti della polizia tedesca che scagionavano la giornalista, inizialmente scomparsi dall’archivio della commissione sono “improvvisamente riapparsi”.

Il sovrintendente all’archivio storico della Camera dei deputati, dottor Paolo Massa, ha comunicato che i due documenti e la lettera dell’allora presidente Fioroni, sono stati ritrovati nella sezione corrispondenza della Commissione.

Una collocazione, nonostante l’importanza del loro contenuto, che li ha invisibilizzati, impedendo ai ricercatori – che si avvalgono del portale dove è caricata la documentazione resa disponibile – non solo di poterli leggere ma di conoscerne l’esistenza.

Un’esistenza che inficia completamente quanto sostenuto a proposito di via dei Massini 91 nella terza relazione della Commissione.

Il ricorso davanti alla Corte europea di Strasburgo solleva una questione rilevante e dalle possibili conseguenze molti importanti per lo Stato italiano. Non si tratta solo di ripristinare l’onorabilità di una persona, tacciata di essere stata altro da quella che era effettivamente; in ballo ci sono le procedure che conducono alla costruzione delle “verità politiche deliberate” all’interno delle Commissioni parlamentari e del loro rapporto con la verità storica.

Il tema è quello della intangibilità delle asserzioni contenute nelle relazioni parlamentari una volta deliberate con il voto dei commissari e del parlamento. Se delle successive acquisizioni storico-documentali vengono a smentire quanto affermato all’interno di queste relazioni, perché queste non possono essere corrette?

* da Insorgenze.net

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