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Autonomia differenziata. Parte il referendum ma le regioni di centro-sinistra complicano il percorso

Tra pochissimi giorni inizierà la raccolta di 500mila firme per il referendum abrogativo totale della legge Calderoli. La scelta di procedere su un unico quesito totalmente abrogativo ci ha visti totalmente concordi; i Comitati per il Ritiro di ogni Autonomia Differenziata, l’unità della Repubblica, l’uguaglianza dei diritti sono infatti convintamente coinvolti in questa iniziativa, fondata su un’inedita convergenza di forze sindacali, politiche e associative, che hanno scelto di assumersi una onerosa ma necessaria responsabilità: dire il proprio no – senza se e senza ma – all’autonomia che differenzia i destini di cittadine e cittadini sulla base del certificato di residenza, penalizzando maggiormente, ovunque abitino, lavoratori e lavoratrici, le normali persone, ponendo la parola fine su tutto ciò che è “pubblico” e ai contratti nazionali, riservando solo a chi può permetterselo il diritto alla salute, all’istruzione, alla pensione. 

Un obiettivo difficile ma possibile e soprattutto foriero di aspettative positive: se riusciremo a raccogliere almeno 550mila firme entro il 30 settembre, si potrà celebrare il referendum la prossima primavera.

Mentre ci stiamo preparando con grande energia a questa raccolta firme, un nuovo fatto ci ha molto preoccupati e preoccupate. In questi giorni, infatti, le Regioni amministrate dal centro-sinistra hanno approvato, o si accingono ad approvare, delibere che prevedono l’affiancamento – al quesito totalmente abrogativo dell’Autonomia Differenziata – di un quesito soltanto parzialmente abrogativo, che inciderebbe minimamente sul testo della legge 86/2024 (ne lascerebbe inalterato il 98% in termini quantitativi, ma soprattutto sostanzialmente invariata e dunque praticabile la legge sull’AD).

La domanda è: perché le Regioni hanno proposto questo secondo quesito, che non tocca i principali e pericolosissimi aspetti della legge sulla Autonomia Differenziata? Secondo loro, l’operazione sarebbe finalizzata ad individuare una strategia d’uscita, qualora il quesito totalmente abrogativo risultasse inammissibile. Ovviamente è impossibile prevedere se il quesito parziale supererà lo scrutinio di ammissibilità della Corte Costituzionale. Una cosa invece è certa: la legge “di risulta” del quesito parziale aprirebbe la strada alla Autonomia Differenziata, per di più “legittimata” da un eventuale voto referendario, non corrispondente alla reale volontà dei cittadini e delle cittadine. Si voleva a tutti i costi individuare una strategia d’uscita nel caso di inammissibilità? Allora perché non procedere con più quesiti separati che andassero a scardinare, pezzo per pezzo, i numerosi aspetti eversivi di questa legge?

L’Autonomia Differenziata, contro la quale una grande coalizione democratica – La Via Maestra, di cui facciamo parte – si sta battendo, è già una materia difficilissima da spiegare e sulla quale non è opportuno alimentare confusione. Il tema può diventare oggetto di una vera e propria campagna di massa – come tutti/e auspichiamo – solo se la comunicazione verterà su chiarezza e semplicità, e su un’unica possibilità: sì o no; ogni ambiguità potrebbe creare disorientamento. C’è ancora di più: se malauguratamente venisse ammesso ed approvato soltanto il quesito parziale, Calderoli e la Lega finirebbero per ottenere ciò che volevano, forti peraltro della legittimazione popolare: la “secessione dei ricchi”.

Quando i leader dell’opposizione parlamentare parlavano di “inemendabilità” della legge a che cosa si riferivano, dunque? Solo il quesito di abrogazione totale renderà impraticabile la divisione della Repubblica e l’aumento delle diseguaglianze in ogni parte del Paese e consentirà di dire inequivocabilmente se il popolo italiano è contro l’AD, contro il patto scellerato Fratelli d’Italia/Lega, contro un Governo che sottrae costantemente diritti e spazi di democrazia.

Se il referendum sul quesito di abrogazione totale sarà vittorioso, si aprirà peraltro anche la via per riscrivere il Titolo V, la cui “deforma” del 2001 in maniera pressoché unanime viene oggi giudicata da rivedere, anche alla luce delle numerose sentenze della Corte costituzionale. 

Ci appelliamo pertanto ai Consigli regionali, alle forze politiche che amministrano le Regioni di centro-sinistra affinché il quesito parziale non sia approvato da tutti e cinque i Consigli: ci sono ancora tempo e possibilità per farlo, per unire realmente tutte le forze di opposizione sociale e politica. Si tratterebbe di una generosa e coraggiosa convergenza verso un obiettivo alla portata delle forze democratiche del Paese. Allo stesso modo auspichiamo che almeno una delle cinque Regioni ricorra alla Corte Costituzionale secondo le possibilità concesse dall’art. 127 della Costituzione.

Noi Comitati NO AD continueremo coerentemente il percorso intrapreso in questi anni con il Tavolo NO AD e con La Via Maestra, per un NO integrale alla Legge “Calderoli”. Solo questa strada potrà davvero fermare la massima insidia che il testo costituzionale abbia subito nel corso degli anni.

*portavoce nazionale dei Comitati per il ritiro di qualunque Autonomia differenziata, l’uguaglianza dei diritti e della Repubblica

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