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Ddl 1660. Un provvedimento di natura “intimidativa”. Il 19 manifestazioni in decine di città

Intervista a Paolo Di Vetta. Sono diventate più di venti le città italiane dove sabato 19 ottobre si scenderà in piazza contro il Ddl 1660 approvato alla Camera e fermo al Senato che introduce lo stato di polizia in Italia. Sulla natura di questa legge e la crescente mobilitazione sociale che vi si oppone, abbiamo rivolto alcune domande a Paolo Di Vetta dei Blocchi Precari Metropolitani e che sin dall’inizio avevano suonato l’allarme su questo provvedimento del governo dal segno apertamente e pesantemente autoritario.

A che è punto è il ruolino di marcia della Legge 1660?

Il disegno di legge 1660 a prima firma Nordio, Crosetto e Piantedosi ha completato a settembre il proprio iter alla Camera dei Deputati dopo l’analisi dentro le commissioni Giustizia della Camera.

Vale la pena evidenziare come, nel corso dell’esame, il già pessimo testo sia stato ulteriormente peggiorato attraverso l’inserimento di provvedimenti come la cosiddetta “norma anti-accattonaggio” o la richiesta alle persone migranti di esibire il permesso di soggiorno per poter acquistare una sim card.

È stata invece ritirata la proposta leghista di considerare passibili di reato di violenza privata le persone che partecipano a un picchetto sul luogo di lavoro nel corso di scioperi.

Il 24 settembre il ddl 1660 è stato poi assegnato alle Commissioni congiunte Affari Costituzionali e Giustizia del Senato con il numero 1236; attualmente sono iniziate le 50 audizioni a disposizione delle forze parlamentari (25 per la maggioranza e 25 per l’opposizione) e alcune si sono già svolte. Tra queste, l’audizione del presidente dell’Unione Camere Penali Italiane (Ucpi), Francesco Petrelli, che ha parlato di un rapporto di natura “intimidativa” che viene stabilito da questo ddl tra lo Stato e il cittadino usando il mezzo penale come mezzo per dirimere le controversie sociali anziché come strumento residuale.

Una volta calendarizzato l’inizio dei lavori, il ddl dovrà essere discusso e approvato al Senato esattamente nella versione conosciuta finora; in caso di modifiche, anche minime, dovrà ritornare alla Camera dei Deputati per essere nuovamente approvato e inviato al Senato.

Quale è la natura di questa legge che, di fatto, introduce lo stato di polizia nel nostro paese?

A nostro avviso è fondamentale premettere che questo disegno di legge non rappresenta un fulmine a ciel sereno, ma la naturale prosecuzione di provvedimenti bipartisan che, nel corso degli anni, hanno compresso in maniera significativa le libertà di movimento, dissenso e tentato di rendere sempre più residuali (e inoffensive) le pratiche di conflitto tramite cui possono avanzare i diritti più generali, e non solo le singole vertenze.

Si pensi, in tal senso, all’istituzione dei CPT (oggi equiparati a veri e propri istituti di detenzione) attraverso le leggi Turco-Napolitano; all’ampliamento ai contesti urbani del DASPO NEI decreti Minniti-Orlando, e all’allineamento con le misure repressive verso le persone migranti incardinate nella precedente Bossi-Fini; o al tentativo di scoraggiare e punire l’occupazione per necessità di immobili e alloggi vuoti istituzionalizzata dall’articolo 5 della L. 80/2014 conosciuta come “Piano Casa Renzi-Lupi”.

Ciò premesso, questo disegno di legge (molto articolato e complesso) rappresenta uno snodo importante nel continuo slittamento dallo Stato sociale e di diritto allo Stato delle regole e del diritto penale del nemico. Ossia, i soggetti ritenuti socialmente pericolosi (le persone giovani, migranti, politicamente attive, sindacalizzate ecc ecc) vedono la propria vita irregimentata in ogni aspetto e ambito della vita pubblica (e non solo) e anche la solidarietà nei loro confronti diventa reato a tutti gli effetti, mentre coloro che governano, detengono le leve economiche o specifiche proprietà sono esentate da qualsiasi “obbligo” nei confronti della società.

Per fare un esempio pratico, si pensi in questo DDL alla proposta di pena dai 2 ai 7 anni per “chi occupa o detiene senza titolo un immobile destinato a domicilio altrui ovvero impedisce il rientro nel medesimo immobile del proprietario o di colui che lo detiene legittimamente” (estendibile anche alla singola persona sotto sfratto) e coloro che si “intromettono nell’occupazione” stessa (quindi chi fa parte dei movimenti per il diritto all’abitare, o i sindacati dell’inquilinato).

Allo stesso tempo, chi sfratta o specula sugli immobili non viene assoggettato ad alcuna regola, e anzi le corporazioni dei proprietari immobiliari (come Confedilizia), sostenute dal Governo, insistono affinché i regimi fiscali e regolatori per chi affitta o possiede immobili vengano rimossi, e che nessuna richiesta venga fatta a chi fa speculazione o rendita sugli affitti brevi!

Altro soggetto evidentemente esentato dalle regole sono le cosiddette forze dell’ordine, per cui le maglie dell’impunità diventano ulteriormente larghe. Mentre si aumentano a dismisura le pene per gli atti di resistenza e lesioni contro le FdO, a queste stesse viene estesa la tutela legale in caso di reati commessi nel corso dell’esercizio delle proprie funzioni e viene permesso di acquistare armi senza alcun tipo di licenza, segnatamente “armi lunghe da fuoco, rivoltelle o pistole di qualunque misura o bastoni animati la cui lama non abbia una lunghezza inferiore a centimetri 65” (sic!).

Come spieghi che in una situazione piena di emergenze sociali ma ancora indietro sul piano dei conflitti che le rappresentino, le classi dominanti abbiano sentito l’esigenza di rafforzare l’apparato autoritario?

L’impianto di questo ddl (e delle leggi che lo hanno preceduto) si appoggia su pilastri complementari. Il primo riguarda la deterrenza, e dunque l’intento di prevenire e scoraggiare le lotte sociali che potrebbero irrompere sulla scena pubblica dentro uno scenario sempre più insostenibile su vari fronti, dalla precarietà esistenziale, abitativa e lavorativa al mancato accesso ai servizi basilari, passando per le conseguenze dell’ecocidio in atto che sono sotto gli occhi di chiunque e all’economia di guerra in vigore ormai da anni.

Il secondo riguarda la necessità governativa di imporre una pace sociale “armata” attraverso il bastone della repressione e la carota di alcune concessioni vertenziali sul piano locale. Il terzo, infine, è il piano della punizione che agisce non “solo” sul piano collettivo e delle realtà organizzate, ma con particolare intensità sulle singole persone e i loro corpi, come dimostra l’iper-penalizzazione delle proteste in carcere e CPR (incluso lo sciopero della fame), la criminalizzazione della resistenza passiva, o la razzializzazione di singoli corpi e soggettività messa in campo attraverso la facoltà di incarcerare donne in stato di gravidanza e/o con bambine e bambini di età inferiore a 3 anni.

In questi casi, il Governo sembra cercare di contenere un crescente sentimento individuale di insofferenza e insubordinazione verso i divieti e le imposizioni, come dimostra per esempio quanto accaduto il 5 ottobre in occasione della manifestazione in solidarietà al popolo palestinese e contro il genocidio. In quella giornata, uno dei dati più rilevanti è stata la decisione, da parte di migliaia di persone, di sfidare il divieto imposto da Ministero dell’Interno e dalla Questura di Roma, e di non arretrare davanti all’abnorme dispositivo di recinzione, filtri, identificazione e fotosegnalazione messo in atto con l’evidente obiettivo di scoraggiare l’affluenza in piazza.

La consapevolezza della pericolosità di questa legge è venuta crescendo in questi mesi. Ritieni che il fronte di chi si oppone alla legge possa estendersi?

Proprio piazze come quella del 5 ottobre, e forme di disobbedienza preventiva già attuate in queste settimane (come le iniziative di riappropriazione, o i blocchi stradali e sanzionamenti di determinate aziende e sedi istituzionali) sembrano prefigurare la possibilità di una insorgenza diffusa nei confronti dei divieti e delle restrizioni che formano questo DDL. Mobilitazioni come quella del 19 ottobre, e tutte le iniziative di approfondimento e conoscenza di questi mesi, servono poi a diffondere la consapevolezza che il DDL Sicurezza non è un problema esclusivo delle persone che militano dentro organizzazioni politiche e/o sindacali, o che ricadono nel paradigma del soggetto socialmente pericoloso di turno.

Si tratta di un disegno della società che colpisce ad ampio spettro, dai posti di lavoro e dagli spazi pubblici alle dimensioni più private, domestiche e individuali come quella della casa, o dei comportamenti come il consumo della cosiddetta “cannabis light”. Per questo riteniamo che, di qui all’inizio dell’iter in Senato, ci siano tutte le premesse per sedimentare un percorso di mobilitazione che si dia il concreto obiettivo di fermare questo DDL e le mire di chi lo propone.

Ci aspettiamo inoltre che anche la componente istituzionale (ossia l’opposizione parlamentare) faccia la propria parte per protestare coi propri strumenti contro l’approvazione di un disegno di legge che è assolutamente inemendabile, e pertanto va ostacolato e rigettato in maniera complessiva. Opposizione, va detto, non praticata nel corso dell’iter alla Camera dei Deputati.

Dopo la giornata di mobilitazione del 24 giugno adesso c’è una nuova giornata nazionale di mobilitazione il 19 ottobre. Come si presenta? Che aria tira?

La mobilitazione nazionale del 19 ottobre (in una data peraltro “evocativa” se pensiamo al 2013) arriva a valle di un percorso di confronto e attivazione che, come realtà impegnate sul terreno del diritto all’abitare, ci vede confrontarci già da più un anno (come dimostra la discussione a Metropoliz, nel 2023, sulla proposta di legge Bisa contro le occupazioni, poi incorporata nel ddl 1660).

In questo momento siamo al corrente di iniziative che si terranno il 19 ottobre in diverse città, da Trieste a Catanzaro, passando per i due momenti pensati inizialmente a Roma (h. 14, piazza Esquilino) e Milano (h. 15.30, P.ta Venezia), e il calendario continua a infittirsi di ora in ora.

Inoltre, leggiamo con interesse la decisione assunta dalla Unione delle Camere Penali Italiane di deliberare “l’astensione dalle udienze e da ogni attività giudiziaria nel settore penale per i giorni 4, 5 e 6 novembre 2024, indicendo per il 5 novembre 2024, alle ore 10.00, una manifestazione nazionale da tenersi in Roma presso il Centro Congressi “Roma Eventi Fontana di Trevi”, in Piazza della Pilotta n. 4” davanti alla indifferenza governativa nei confronti delle criticità sollevate da parte dell’avvocatura in merito a diversi profili giuridici.

Pensiamo che la crescente consapevolezza delle implicazioni di questo ddl porterà nelle diverse piazze una composizione eccedente rispetto a quella delle realtà organizzate.

Se questo avverrà, potremo pensare con ancora maggiore forza a come costruire i percorsi di conflitto che servono per opporci con ogni mezzo necessario a ciò che avverrà quando questo DDL approderà effettivamente al Senato, e contro le altre misure autoritarie, liberticide e militaresche che questo governo vorrebbe incardinare in un clima di pace sociale armata.

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