La Ragioneria Generale dello Stato ha da poco pubblicato uno dei suoi costanti rapporti sulla spesa sanitaria in Italia. E la sintesi è che, come avviene ormai da anni, quella privata sta crescendo molto più velocemente di quella pubblica per coprirne i tagli e le mancanze: è ormai arrivata a valere quasi un terzo di quella pubblica.
Quest’ultima, nel 2023, è cresciuta rispetto all’anno precedente del 2%, raggiungendo quasi la soglia dei 133 miliardi di euro. Anche se può sembrare una cifra esorbitante, in realtà l’Italia si posiziona solo al 16esimo posto tra i paesi UE per spesa pubblica pro-capite in ambito sanitario, ed è ultima nel G7.
Se il Bel Paese impegna il 6,2% del proprio PIL nella tutela della salute, che viene spesso additata come un ingestibile ‘pozzo senza fondo’, bisogna ricordare che la media europea e la media OCSE sono rispettivamente al 6,8% e al 6,9%.
Quando vengono additati “sprechi” o eccessi di personale e strutture spesso lo si fa soprattutto per nascondere la speculazione di consorterie private, che hanno un costo infinitamente superiore per i fondi pubblici.
Nei fatti, l’Italia presenta una netta mancanza di infermieri: nel 2022, solo 6,5 ogni mille abitanti rispetto agli 8,4 della media UE, come evidenziato dal Rapporto Health at a Glance Europe 2024 dell’OCSE. Anche se si calcola la spesa nel settore privato, il totale pro-capite della spesa sanitaria italiana si attesta quasi 600 euro al di sotto della media europea.
Tornando all’analisi della Ragioneria dello Stato, questo avviene nonostante gli esborsi “out of pocket“, come vengono chiamati quelli fatti direttamente dalle tasche dei cittadini, che hanno comunque superato i 43 miliardi con un incremento del 7% nel 2023.
La spesa privata si è diretta soprattutto verso visite specialistiche ambulatoriali ed interventi (47%), in linea con gli anni precedenti.
Parliamo, dunque, di quelle prestazioni che sono al centro del dibattito sulle infinite liste d’attesa, che sono diventate ormai un ostacolo concreto a un reale accesso al diritto alla salute. Con il governo che ci si è giocato una partita elettorale, al tempo delle europee, senza però mettere in atto nessun intervento concreto e, tanto meno, risolutivo.
Oggi invece si punta a dare il colpo definitivo alla sanità pubblica attraverso l'”autonomia differenziata”, che sancirà il definitivo spacchettamento del modello nazionale e universalistico in 20 sistemi regionali differenti, sottoposti alle leggi dell'”austerità” e della distribuzione premiale delle risorse.
La Ragioneria dello Stato ha calcolato che il disavanzo regionale totale in materia sanitaria si è attestato, nel 2023, a 1,850 miliardi di euro: come scrive l’istituzione sul suo sito, “emerge come siano ben 14 le Regioni con i conti in rosso e che hanno dovuto mettere mano a risorse proprie (e quindi a tagliare su altre voci di spesa extra sanitarie) per chiudere i bilanci“.
In pratica, non solo la sanità pubblica è peggiorata, ma le sue regole sono diventate un ariete per abbattere in generale l’intera rete di protezioni garantite dallo stato sociale e dai servizi pubblici.
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