Oggi a Milano ci saranno due appuntamenti di piazza per protestare contro lo sgombero dello storico centro sociale Leoncavallo: uno alle 12.00 dalla Stazione Centrale, che vedrà centri sociali, alcuni sindacati di base, realtà politiche e comitati cittadini che si sono battuti in questi anni contro il “modello-Milano”, e una piazza convocata dal Leoncavallo alle ore 14.00, che vedrà una ampia partecipazione cittadina e nazionale, con arrivo in piazza del Duomo.
A quest’ultimo hanno già annunciato partecipazione anche vari esponenti istituzionali, compreso il PD. Ai nostri lettori può risultare assurdo, visto lo scandalo che ha investito il sindaco Sala e la sua giunta di centro-sinistra a guida PD e cespugli proprio sui temi riguardanti l’urbanistica, la gestione della città e tutto ciò che è stato vissuto sulla pelle di migliaia di abitanti, criticato e contestato da decine di comitati cittadini in questi anni, e scoperchiato anche sul piano giudiziario questa estate, cioè il famigerato Modello-Milano. Per spiegare come sia possibile, serve un po’ di cronaca.
Sgomberare uno spazio sociale, approfittando come da tradizione del periodo estivo, non è certo una novità per la nostra classe politica, tanto più per un governo di fascisti e reazionari come quello Meloni, ma è evidente che nel caso del Leoncavallo la posta in gioco, tempistiche comprese, va oltre l’ordinario.
La campagna elettorale verso le politiche e le comunali delle principali città del paese del 2027 è a tutti gli effetti iniziata e le forze di maggioranza cominciano a giocarsi le loro carte, giustamente preoccupate di rimanere schiacciate tra le responsabilità manifeste con il genocidio in corso a Gaza, l’equilibrismo precario tra il servilismo verso Trump e l’avventurismo guerrafondaio europeo e, non ultimo, la sempre più pesante crisi sociale e democratica che attraversa il paese.
In questo contesto lo scalpo del Leoncavallo, entrando a gamba tesa sopra le trattative ormai in dirittura d’arrivo con il Comune di Milano per l’assegnazione di un nuovo spazio, rappresentava un boccone ghiotto da presentare allo zoccolo più duro del proprio elettorato per farselo scappare. Era chiaro l’intento e il rumore che lo sgombero ha provocato nel dibattito pubblico ne ha dato ragione. Colpendo il Leoncavallo, pur da anni lontano dai radar di qualsivoglia politica conflittuale, si è colpito non tanto quel che è oggi, ma quello che ha rappresentato per decenni per tante e diverse generazioni e che il suo nome ancora continua comunque a evocare, a Milano evidentemente, ma anche in tutto il paese.
Se il governo, e nella dialettica interna alla maggioranza vede un Salvini disperatamente bisognoso di rivitalizzarsi, ha messo a segno il suo colpo, che ne è della giunta Sala (e più in generale del centro-sinistra) che era impegnata a trovare una soluzione alternativa, a quanto pare praticamente pronta, allo stabilimento reclamato dai Cabassi, proprietari dell’immobile di via Watteau?
Anche da quella parte lo sgombero sembra in realtà non cadere “così male”, offrendo un po’ d’ossigeno a un sindaco e una giunta travolti dagli scandali dell’urbanistica e con questi dall’ulteriore emersione e diffusione nella consapevolezza di chi sulla propria pelle subisce le contraddizioni insanabili del “modello Milano”. Sala, e PD e alleati a ruota, hanno colto infatti la palla al balzo per distogliere l’attenzione dalle inchieste giudiziarie e recitare la parte dell’opposizione alle politiche antisociali e repressive del governo Meloni.
E per come si è deciso di costruire e va configurandosi la manifestazione indetta contro lo sgombero, non ci saranno ostacoli a un’operazione di questo tipo, dato che gli stessi portavoce del Leoncavallo – molti con curriculum e incarichi istituzionali importanti nelle maggioranze e perfino nei governi di “centro-sinistra” – hanno annunciato all’ultima assemblea cittadina di costruzione della data, ospitata alla Camera del Lavoro, che se la destra ha aperto con questo sgombero la propria campagna elettorale “la apriamo anche noi con il corteo”.
È facile immaginare, dai numerosi appelli richiamanti l’“unità antifascista” e al massimo “le critiche dopo”, provenienti da esponenti di varie associazioni, ANPI in testa, mentre il segretario PD cittadino seguiva dalla sala i numerosi interventi, di che tipo di “campagna elettorale” si tratta. Non proprio quella dei diritti sociali, del conflitto, per il diritto all’abitare e alla città o dei lavoratori…
Una situazione che ha prodotto alcune prese di posizione, espresse anche nella assemblea cittadina, e alla convocazione di un appuntamento diverso alle ore 12 dalla Stazione Centrale e dove poter rappresentare i temi reali che attraversano la città.
Si è colta intanto la necessità di opporsi alle politiche securitarie e repressive del governo, senza però escludere la critica al centro-sinistra, alla giunta e al “modello-Milano”, indicandone le responsabilità per un’idea di città e di paese, in perfetta continuità con le destre e manifestatamente nemico di giovani, lavoratori, disoccupati e classi popolari.
Una risposta, quella della manifestazione delle 12.00, ancora incompleta e non priva di contraddizioni e di “zone grigie”, ma segno del fatto che a chiunque abbia l’intenzione di percorrere un cammino di opposizione seria e complessiva si pone il problema di rompere le compatibilità con l’ipoteca rappresentata dal centro-sinistra.
A maggior ragione se lo sgombero del Leoncavallo ha ribadito quali continueranno ad essere le modalità dell’attuale governo verso chiunque si ponga, anche solo a parole, all’opposizione, e se si desidera ritornare a parlare e a dare protagonismo ai settori sociali.
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