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La pace fa più paura della guerra?

La possibilità della pace fa più paura della continuazione della guerra. Una condizione che dice molto sullo stato confusionale dello schieramento europeo, tagliato seccamente fuori da ogni livello di trattativa tra Russia e Stati Uniti, ma ora attraversato da una febbrile corsa a gonfiare di effettivi e/o “riserve strategiche” i propri eserciti precedentemente snelliti perché tanto le guerre si facevano soltanto contro avversari molto più deboli (Jugoslavia, Iraq, Libia, Afghanistan) e sotto l’ala protettrice degli Usa.

Si vede anche ad occhio nudo che la prospettivo di un “riarmo da paura” è ormai entrata nelle teste della classe dirigente continentale come l’unica possibilità di invertire il declino industriale ed economico. Con tutte le conseguenze del caso.

La guerra in Ucraina ha chiarito anche agli scemi che la Russia non è un paese economicamente in crisi, né tanto meno militarmente debole (ricordate quanta propaganda è stata fatta sull'”hanno finito i missili e le munizioni“, “rubano i chip delle lavatrici“, ecc?), che le tecniche della guerra sono ora parecchio cambiate, specie se si combatte “simmetricamente” (grosso modo: con armamenti di livello simile), e che la quantità ad un costo minore è più utile di una qualità costosissima ma con pochi pezzi da utilizzare.

Subito dopo, la svolta politica statunitense ha messo in campo una diversa scelta strategica della superpotenza (più attenzione all’America Latina e al Pacifico, molta meno all’Europa), che toglie quella “garanzia di protezione” fornita per 80 anni.

Logica vorrebbe che si prendesse atto di due debolezze non facilmente colmabili in tempi brevi – eserciti continentali non strutturati nè dimensionati per le nuove modalità belliche e “disattenzione” dell’imperatore-alleato – e si avviasse quindi una fase di recupero dei rapporti diplomatici ed economici con i tre quarti del mondo che avvertono ormai con chiarezza il declino del “padrone del mondo” (del resto, se la nuova ciurma di Washington ha in programma di “fare l’America di nuovo grande” si vede che non si sentono più così sicuri di esserlo). Magari, hai visto mai, si potrebbe riuscire ad invertire anche il proprio declino…

E invece le parole d’ordine sono: a) no a trattative di pace con la Russia (“perché Putin non vuole la pace”, così evitiamo anche di pensarci), a meno che non si arrenda; b) riarmiamo i paesi europei con un piano che lascia ad ognuno la possibilità di scegliere cosa fare; c) rilanciamo la leva di massa, per riportare all’uso delle armi una certa quantità di uomini e donne pronti a diventare carne da cannone.

Germania e Francia hanno aperto le danze, l’Italia si accoda con la proposta di Crosetto che già nella formulazione dimostra quanti problemi ci siano: “introdurre la leva ma su base volontaria”.

Abituati ormai a giocare con le parole davanti ai microfoni, gli esponenti di questa classe dirigente sembrano non sapere più di cosa stanno parlando. Se si introduce o riattiva un servizio di levaper definizione – questo è obbligatorio per tutti (per i maschi, almeno), perché tutti siamo uguali davanti alla legge e alla “difesa della patria” (passateci l’espressione, è solo per farci capire…). Se invece si punta a gonfiare l’arruolamento volontario allora si ha in testa una esercito professionale più grande, con ovvi problemi di costi e politici, ma anche di non corrispondenza allo scopo dichiarato (avere molti più soldati disponibili, magari “di riserva”).

I militari di leva di solito non vengono pagati, se non con cifre simboliche; i professionisti hanno stipendi consistenti, anche perché nella guerra contemporanea servono competenze tecnologiche che consentono di trovare buoni stipendi senza il rischio di lasciarci la pelle.

Dunque Crosetto – a nome del governo – usa una formula auto-contraddittoria e costituzionalmente a rischio (anche se Mattarella è sempre di manica larga) per dire che vorrebbe, ma senza esagerare, aumentare gli effettivi dell’esercito. Poi, una volta stabilito il precedente, sarà tutto più semplice…

Difficile dimenticare che “il nemico pronto ad invaderci” non c’è. La Russia, infatti, anche se ne avesse l’intenzione – cosa di cui è sano dubitare – appare piuttosto lenta nell’avanzare verso Ovest: in quattro anni non si è presa neanche l’intero Donbass (poche decine di chilometri di profondità, e con una popolazione in maggioranza russa, non “nemica”). Per arrivare all’Italia ci dovrebbe mettere qualche centinaio di anni…

Si dice: ma Mosca ha missili intercontinentali e ipersonici… Vero. Ma non ha le truppe – né la popolazione – sufficienti per occupare un territorio così vasto come quello che va dai suoi confini ai nostri. Dunque che senso avrebbe “distruggere tutto” per poi non farci niente? Mica puoi fare la “riviera dei monti Tatra” o dei Balcani, stile la “Gazaland” sognata da Trump

In ogni caso: diecimila coscritti in più o in meno non cambiano l’equazione complessiva.

Cosa diversa se invece è l’Unione Europea a voler mettere booths on the ground in Ucraina. Allora sì che quei dieci-ventimila soldatini inesperti in più avrebbero una qualche utilità, andando a coprire i ruoli logistico-amministrativi-manutentivi lasciati scoperti dai professionisti che verrebbero mandati “al fronte”.

Ma anche in questo caso, una volta portata la “minaccia esistenziale” a Mosca lambendo i suoi confini, non avremmo difesa possibile contro la sicura risposta missilistica russa. Neanche costruendo a tempo di record l’onirico “Michelangelo Dome” che Cingolani (a.d. di Leonardo, ex ministro con Conte e Draghi) vorrebbe vedersi finanziare per “proteggere l’Italia” sulla falsariga dell’Iron Dome israeliano.

Basterà ricordare che anche quello è risultato inefficace a contenere le risposte missilistiche iraniane qualche mese fa, perché portate con una strategia “a saturazione” (molti droni e missili a basso costo, in numero superiore a quelli anti-missile, costosissimi). E Israele, col suo territorio ridotto (meno della Lombardia), è ben più semplice da “coprire” rispetto a un grande Stivale piazzato in mezzo al mare…

Dunque, di cosa stiamo parlando? Non di “difesa della patria”, ma di dirottare risorse su progetti di riarmo che tengono mirabilmente insieme inefficacia militare, idiozia strategica e “industria della paura”. Qualcosa di estremamente pericoloso. Per noi che qui ci viviamo, non per i russi…

Pensandoci bene, infatti, il riarmo europeo – per diventare “competitivo” rispetto a Russia, Cina e Stati Uniti – avrebbe bisogno di risorse che non ci sono neanche ricorrendo al “debito comune”, tempi di sviluppo e produzione decisamente lunghi, e della speranza che nel frattempo la “concorrenza” si fermi. Specie quella russa. Cosa piuttosto difficile, se si continua a fare la faccia feroce ogni volta che si parla – si parla soltanto – di metter fine alla guerra in corso.

Per continuare a sostenere credibilmente Kiev, infatti, l’ipotesi più realistica è quella di comprare armi Usa per regalarle poi all’Ucraina. Ma in tal modo di spende molto del “fondo” europeo eventualmente stanziato senza produrre granché di “autonomo”. Al massimo si rimpolpano gli arsenali semi-svuotati dalle consegne a Kiev e si “gonfiano” i reparti militari, ma secondo procedure affidare ai singoli paesi.

E qual è l’ipotesi di utilizzo più probabile di arsenali non-strategici in dotazione ad eserciti nazionali? Lo abbiamo detto più volte guardando all’intenzione dichiarata da Friedrich Merz, cancelliere tedesco che vuol ri-fare della Wermacht “l’esercito più potente d’Europa“. Se non ti puoi permettere di far guerra a quelli più forti – Mosca, ça và sans dire – ti resta solo la possibilità di sfogarti con quelli più deboli. In casa UE, insomma. Specie se gli arsenali più potenti saranno pronti quando i neonazisti dell’Afd e gli omologhi in altri paesi diventeranno maggioranza non più solo relativa.

Stiamo marciando in questa direzione per assoluta dabbenaggine dei sedicenti “liberali”. Una riprova? Abbiamo sentito diversi esponenti “democratici” e persino giornalisti mainstream – un esempio per tutti, Alessandro De Angelis, de La Stampa, ex Huffington Post – criticare il governo Meloni per lo “scarso entusiasmo per il riarmo“.

Kaja Kallas può stare tranquilla, sulla sua poltrona. C’è ancora gente peggio di lei, in giro…

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